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Festival del cinema di Venezia: il Frankenstein di Guillermo del Toro tra mostruosità e speranza

Festival del cinema di Venezia: il Frankenstein di Guillermo del Toro tra mostruosità e speranza

Film in concorso, anche se non sorprende commuove. Il regista messicano: «Nel mondo reale i mostri indossano giacca e cravatta»

È una storia nota e arcinota, eppure con Frankenstein si piange ancora, dolcemente e rabbiosamente. Forse perché Guillermo del Toro mette nella ricerca di amore e umanità della sua Creatura, come pure nei tormenti di Victor, tutta la sua ricerca iniziata quando aveva sette anni, quando vide per la prima volta il Frankenstein del 1931 di James Whale e, guardando gli occhi di Boris Karloff, la Creatura, sentì un fremito di riconoscimento. È da allora che l’horror gotico divenne la sua vocazione. «Quando ho visto Karloff ho capito qual era l’aspetto di un messia», dice del Toro al Lido. «Ora sono in depressione post parto», sorride con simpatia.

Il regista messicano torna alla Mostra del cinema di Venezia, dove nel 2017 vinse il Leone d’oro con La forma dell’acqua – The Shape of Water, che poi si guadagnò quattro Oscar (tra i quali miglior regia e film). E torna a parlare di mostri, abbracciando quel Frankenstein di Mary Shelley da cui è nata tutta la sua esplorazione artistica.

«Fin da bambino, dal mio primo film in Super 8 fino a oggi, ho sognato di fare due film, Pinocchio e Frankenstein», le riflessioni di Toro. «Pensavo che raccontassero la stessa storia: cosa significa essere umani, cosa significa vivere una vita segnata da due forze come l’eternità e la morte. Volevo rendere Frankenstein il più personale possibile».

Pinocchio e Frankenstein sono state due storie fondamentali per l’identità di del Toro, lo hanno aiutato a comprendere e accettare la sua umanità. Nel 2022 ha visto la luce il film d’animazione Pinocchio di Guillermo del Toro, con successivo trionfo agli Oscar. Ora con il film in concorso a Venezia 82 è come se chiudesse un ciclo.

«Il dna di una diciannovenne inglese, Mary Shelley, si è riempito del dna di un bambino di sette anni», spiega del Toro, generoso con giornalisti al Lido. «Io sono Victor Frankenstein. Io sono ogni personaggio. Questo film è il frutto di un dialogo continuo con me stesso, nel periodo in cui ho imparato cosa significa essere un figlio, quando poi ho imparato cosa significa essere un padre, mentre ho imparato come andare avanti».

Festival del cinema di Venezia: il Frankenstein di Guillermo del Toro tra mostruosità e speranza
Oscar Isaac è Victor Frankenstein in “Frankenstein” (CreditS: Ken Woroner / Netflix)

Dopo aver trascorso decenni a elaborare la sua visione, del Toro ha deciso di ambientare il suo dramma gotico umanistico sullo sfondo della guerra di Crimea, anno 1855. Per modellare il suo Prometeo, il suo uomo perfetto che sconfigge la morte, lo scienziato Victor Frankenstein assembla parti di cadaveri di soldati morti.
“Victor, Victor, Victor”, quel Victor creatore potente e crudele il cui nome viene ripetuto come una preghiera dalla Creatura ha il volto di Oscar Isaac. La Creatura, torreggiante ma non così spaventosa, ha il corpo di Jacob Elordi, 1 metro e 96 di altezza decisamente propizio al ruolo: addosso a lui 42 protesi diverse. Solo per la testa e le spalle sono state necessarie 12 protesi in silicone sovrapposte.

«Abbiamo pensato di avvicinarci a Victor come a un artista e non tanto a uno scienziato, nei movimenti, nei vestiti. Abbiamo cercato di rappresentare gli outsider», racconta Isaac. «Io mi sono sempre sentito come dietro un vetro. Questo film anche per me è molto personale. Si chiede come si fa ad andare avanti con un cuore spezzato».

Nel Frankenstein di Guillermo del Toro ci sono la vita e la morte, ci sono domande esistenziali feroci e struggenti, ci sono il rifiuto, il bisogno di accettazione, la conflittualità tra padre e figlio. C’è tanto dolore, che solo la gentilezza sa placare. C’è l’amore, invocato, negato, recuperato. E infine la speranza.

Festival del cinema di Venezia: il Frankenstein di Guillermo del Toro tra mostruosità e speranza
Jacob Elordi è la Creatura in “Frankenstein” (Credits: Ken Woroner/Netflix)

“Sanguino, provo dolore, sofferenza, non finirà mai”, dice la Creatura immortale e straziata di Elodi. E ancora, rivolta a Victor: “L’uomo ha un solo rimedio a un simile dolore e tu me l’hai tolto. La morte”.
Nel cast anche Mia Goth, l’Elizabeth che riconosce nella Creatura un animo puro, e Christoph Waltz, che interpreta Heinrich Harlander, il finanziatore dell’esperimento di Frankenstein.

È la Creatura il motore emotivo del film, che infatti ha meno vigore quando quel gigante di cicatrici e purezza non è in scena.
Alcune sequenze stringono il cuore. È commovente l’incontro della Creatura con il cervo nel bosco, come quello con il vecchio cieco.

«Chi sono i mostri oggi? Credo che nel mondo reale i mostri indossino giacca e cravatta», dichiara il regista sceneggiatore.

Del Toro, narratore così umano, non si lascia però sconfiggere dalla mostruosità dell’umanità. Nel suo Frankenstein c’è il ritrovarsi, infine, tra padre e figlio. «Secondo Jean-Paul Sartre il prossimo è l’inferno. Io credo invece che sia la salvezza».

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