C’è un libro che più di tutti descrive il percorso e la visione di Robert Prevost. Si tratta di «Leone XIV. La Storia» di Francesco Antonio Grana (Editore Elledici, 2025). L’autore analizza di fatto i primi sei mesi del nuovo pontefice, dall’elezione dell’8 maggio fino a novembre 2025. Fin qui, nulla di rivoluzionario. La vera particolarità dell’opera risiede più che altro nelle interviste, nelle testimonianze, nel racconto di episodi inediti della vita del Papa. Ed è proprio da queste sfaccettature semisconosciute della sua esistenza che Grana cerca di far emergere la visione programmatica di Prevost, la sua sensibilità spirituale, la sua energia cristiana.
Il conclave
Ma cominciamo dall’inizio. L’8 maggio il fumo della Cappella Sistina si tinge di bianco. È il momento più atteso dai fedeli. Dal balcone della Loggia delle Benedizioni della Basilica di San Pietro emerge una figura nuova. È un americano, ma non ha il modo di fare chiassoso e vistoso degli americani. È un agostiniano, e ne conserva l’equilibrio tra vita contemplativa e servizio attivo. Lo dimostrano le sue decennali «avventure» da missionario in Sudamerica, in particolare nel Perù. Quell’8 maggio, viene eletto Robert Prevost. È una sorpresa, dato che alla vigilia delle elezioni i grandi favoriti erano i cardinali Pietro Parolin, Luis Antonio Tagle e Matteo Maria Zuppi. Ma si sa, «chi entra Papa in Conclave, ne esce Cardinale».
Il programma di Leone XIV
Secondo Grana, Leone XIV non si è ancora svelato completamente al mondo. Sei mesi, in effetti, sono pochi per individuare un pensiero spirituale completo e del tutto dispiegato nei gesti e nelle iniziative. Eppure, emerge nel disegno della sua Chiesa qualcosa in divenire. Qualcosa di nuovo. Non è Bergoglio (non ne ha, fortunatamente, la vena eccessivamente politicamente corretta e progressista oltre ogni buon senso) e non è Ratzinger (è certamente meno conservatore e non ne ha la profondità teologica).
La sua visione programmatica, Grana la condensa in due frasi di Leone XIV che ben descrivono il suo sentimento cristiano: quello di una «Chiesa unita cercando sempre la pace, cercando di lavorare con donne e uomini fedeli a Cristo senza paura per proclamare il Vangelo ed essere missionari». E poi l’altra, imprescindibile: «Sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo».
Una lunga strada da percorrere
La strada da percorrere per rivoluzionare la Chiesa è molto lunga. Purtroppo, porre rimedio a dodici anni bergogliani di riforme spesso difettose e approssimative, di aperture spesso eccessive e anticristiane e tensioni interne, è tutt’altro che semplice. Soprattutto in questo contesto internazionale di guerre sanguinose, in particolare quella russo-ucraina e israelo-palestinese. Per non parlare della grande sfida (tra opportunità e rischi) che rappresenta l’intelligenza artificiale, un tema molto caro al Papa. No, sarà tutt’altro che semplice. Ma Leone XIV possiede una qualità rara, che lo aiuterà a prendere la direzione giusta, e che forse è la più efficace in assoluto in questo momento: la diplomazia.
