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Cyber attacco a Jaguar Land Rover: cosa succede quando la sicurezza diventa un tema di politica industriale

Cyber attacco a Jaguar Land Rover: cosa succede quando la sicurezza diventa un tema di politica industriale

La Rubrica – Cyber Security Week

Ci sono notizie che nascono come cronaca e finiscono come didattica. L’attacco cyber a Jaguar Land Rover sta lentamente facendo questo percorso: da incidente grave a caso di scuola. Non perché sia il primo, né perché sia il più sofisticato in senso tecnico, ma perché, un aggiornamento dopo l’altro, sta mostrando con una chiarezza quasi imbarazzante cosa succede quando una grande organizzazione ad alta digitalizzazione perde il controllo del proprio ecosistema informativo.

All’inizio c’era la produzione ferma. Un’immagine facile da capire: le linee che si spengono, le fabbriche che tacciono. Già questo sarebbe bastato a spiegare che nel mondo industriale contemporaneo l’informatica non è un supporto, ma un organo vitale. Poi sono arrivati i numeri: miliardi di sterline bruciati, impatti macroeconomici misurabili, punti di PIL che evaporano. Quando un attacco informatico diventa una variabile statistica nazionale, significa che ha smesso da tempo di essere un problema “IT”.

Ora, però, il quadro si è fatto più nitido e anche più inquietante. La compromissione dei dati dei dipendenti: le buste paga, le coordinate bancarie, le informazioni che non servono a far funzionare una catena di montaggio, ma una vita quotidiana. Qui l’attacco cambia natura: da sabotaggio operativo a frattura fiduciaria. Perché, se è vero che una fabbrica può ripartire, è altrettanto vero che la fiducia, una volta incrinata, non torna mai esattamente com’era prima.

A questo punto, però, fermarsi a Jaguar Land Rover sarebbe un errore di prospettiva. Il punto non è più l’azienda colpita, ma la filiera che la sostiene. L’industria europea è un sistema a incastri finissimi: fornitori di primo, secondo e terzo livello, piattaforme condivise, servizi IT esternalizzati, flussi di dati che attraversano confini nazionali e giuridici con la stessa facilità di una mail. Colpire un nodo centrale significa generare onde lunghe che si propagano ben oltre il perimetro dell’organizzazione bersaglio.

È qui che il caso JLR diventa davvero istruttivo. L’impatto economico non si esaurisce nei conti trimestrali dell’azienda, ma si riflette su migliaia di imprese collegate, su ritardi, mancate consegne, blocchi logistici, fino a produrre effetti misurabili a livello macroeconomico. Quando un attacco informatico riesce a togliere decimali alla crescita di un Paese, non siamo più nel campo dell’emergenza, ma in quello della politica industriale.

La filiera europea, fortemente digitalizzata e profondamente interdipendente, amplifica ogni fragilità. Non perché sia progettata male, ma perché è progettata per essere efficiente, veloce, integrata. E l’integrazione, nel mondo digitale, è una forma sofisticata di fiducia tecnica. Il problema è che questa fiducia viene spesso data per scontata, raramente verificata fino in fondo.

È a questo livello che il quadro cambia forma e la metafora diventa inevitabile. L’industria europea assomiglia sempre più a una grande pianura attraversata da canali digitali: dati  e servizi scorrono incessantemente da un’azienda all’altra. Per anni ci siamo concentrati sulla solidità delle singole sponde, rassicurandoci sul fatto che ogni argine fosse sufficientemente alto.

Il problema è che l’acqua è un fluido. Quando la pressione aumenta, basta che un solo tratto sia fragile perché l’allagamento diventi generale. In un sistema iperconnesso la minaccia è una forza fisica: si propaga, cerca il punto più debole, lo sfrutta. E lo fa con una prevedibilità quasi banale.

È qui che si può comprende il senso del cambio di passo europeo con la Direttiva NIS 2. Non più argini costruiti in ordine sparso, affidati alla buona volontà dei singoli, ma un livello minimo di tenuta condivisa. Perché, se il rischio è collettivo, anche la responsabilità deve esserlo. La sicurezza smette di essere una questione tecnica e diventa un problema di governo complessivo. Ogni azienda non è un’isola autosufficiente, ma un tratto di argine. E quando un argine cede, l’acqua non chiede permesso: scorre, invade, ridisegna il paesaggio.

Jaguar Land Rover, allora, smette di essere una notizia e diventa una mappa. Non di ciò che è andato storto, ma di ciò che accade sempre quando si sottovaluta la pressione. Perché, nell’economia digitale europea, l’unica domanda è se gli argini terranno.

Jaguar Land Rover, allora, funge anche da avvertimento. Perché nella manifattura europea del XXI secolo la sicurezza informatica non è più un problema aziendale, ma un requisito di continuità economica.

E forse è proprio questa la lezione finale: regolamentare il rischio cyber non significa limitare l’innovazione, ma riconoscere che, quando tutto è connesso, l’insicurezza di uno diventa rapidamente il problema di tutti.

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