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L'ultimo Xmas Game di Kobe Bryant: "Poi forse le Olimpiadi, ma niente Europa"

Alla vigilia del derby di Natale contro i Clippers, la stella dei Lakers ripercorre il suo passato e anticipa il suo futuro "al servizio della Nba"

Il lungo addio di Kobe Bryant al basket e all'Nba passa anche attraverso il Christmas Game 2015, quando la guardia dei Lakers scenderà in campo per la sedicesima volta in assoluto (mai nessuno come lui) nel derby contro i Los Angeles Clippers. Dopo di che sarà un lungo tributo di tutti i fan del basket pro sino al termine della stagione, con la prospettiva di un "gran finale" in quel di Rio con la maglia dell'ennesimo Dream Team Usa agli ordini di coach Mike Krzyzewski...

Kobe, quanto ti renderebbe felice la convocazione per le Olimpiadi 2016?
"Sicuramente farne parte sarebbe un onore e una splendida esperienza, ma non la vivo come un’ossessione. Sono cresciuto in giro per il mondo, ho conosciuto la pallacanestro in Italia e poter chiudere la mia carriera in una competizione internazionale sarebbe una grande soddisfazione. Valuteremo le possibilità quando ci avvicineremo alla manifestazione".

Un pensiero anche all'Europa, intesa come una futura stagione in qualche club di vertice dell'Eurolega?
"No, questo lo escludo categoricamente. Purtroppo il mio corpo non mi permette più di competere ad alti livelli ed è l’unica certezza che ho. Mi sarebbe realmente piaciuto giocare anche in un torneo diverso dall'Nba, mi sarei voluto confrontare con un altro tipo di gioco ma è impossibile. Tuttavia guardo ai miei infortuni in maniera 'positiva': ognuno di loro ha assunto un ben preciso significato nella mia carriera. E in un certo senso mi ha aiutato a sfruttare diversamente il mio corpo e a gestire il mio tipo di gioco".


In tanti stanno spingendo per vederti per l’ultima volta all’All Star Game. Lo stesso Commissioner Adam Silver vorrebbe che tu partecipassi. Se non fossi votato, accetteresti una convocazione "ad honorem"?

"Sono già stato fortunato a partecipare a tanti All Star Game nella mia carriera. Non essere votato per partecipare non sarà un grosso problema: lo ripeto, il mio percorso da giocatore l’ho fatto e mi sono levato tante soddisfazioni. E' chiaro comunque che sono sempre disponibile per aiutare il nostro movimento a crescere: quindi qualsiasi ruolo vorrà darmi la lega al prossimo All Star Game, sarà ben lieto di accettarlo".

Dopo 20 anni di carriera e di supremazia, cosa senti di esserti lasciato alle spalle? E cosa porterai con te?
"Non so cosa posso aver lasciato a chi mi ha seguito in tutti questi anni. Posso dire quello che, forse, ho lasciato in termini di gioco: la dedizione nell’allenamento e il modo di giocare, segnare e difendere. Con me invece porterò tantissime cose di questa fantastica esperienza, che mi ha aiutato a crescere a qualsiasi livello: in 20 stagioni ho infatti dovuto saper convivere con la sconfitta, ho dovuto imparare a gestire il successo e le vittorie, ma ho anche imparato a comunicare con gli altri e a far parte di un gruppo".

Cosa farai una volta terminato di giocare? Rivestirai un ruolo nei Lakers?
"Personalmente mi piacerebbe essere una sorta di testimonial non solo per i Lakers ma per tutta la NBA. Come ho già detto, sono sempre disponibile, e lo faccio con piacere, nel permettere alla lega di espandersi e far conoscere a livello globale il proprio nome. Ad esempio mi piacerebbe poter fare qualcosa in Africa, insegnando ai ragazzi il gioco della pallacanestro".

Se potessi fare una classifica delle cinque squadre e dei cinque migliori giocatori che hai affrontato nella tua carriera, quale sarebbe?
"Per quanto riguarda le squadre sicuramente i San Antonio Spurs degli ultimi anni sono sicuramente una squadra eccezionale. Poi inserirei i Sacramento Kings dei vari Divac, Williams e Webber, i Detroit Piston del 2004 e i Boston Celtics del 2008. Una menzione particolare poi la faccio per i Chicago Bulls dei primi anni della mia carriera, che erano veramente fortissimi. Parlare di giocatori invece è un po’ più difficile, perché quando ho esordito nella lega c’erano ancora stelle come Stockton, Hardaway, Payton e tanti altri. Ma se devo darti i cinque più forti direi: Hakeem Olajuwan, Michael Jordan, Kevin Durant, LeBron James e Clyde Drexler".

Una domanda calcistica: sei cresciuto in Italia e sei sempre stato un appassionato di calcio. Cosa ne pensi della squalifica di Blatter e Platini da parte della Fifa?
"In un mondo pieno di interessi e business è impossibile poter controllare tutto. Credo che questa squalifica sia il primo passo per ripulire l’ambiente e ripartire in maniera sana e trasparente. Lo sport deve essere divertimento e deve offrire spettacolo alle persone. Quando accadono cose di questo tipo, non è ovviamente mai un bene per il buon nome dello sport: sono convinto che c’è ancora tanto da fare, ma questo può essere un buon inizio".

Torniamo al basket: hai intenzione di fare un tour di addio per salutare tutti i tuoi fan?
"Non penso a un tour al momento. Ho sempre giocato avendo grande rispetto e considerazione per i tifosi ed è stato emozionante vedere e sentire il loro attaccamento. Non avrei potuto immaginare un trattamento migliore all’inizio della mia carriera, ma quello che dovevo fare - incluso sviluppare un rapporto speciale con i miei fan - l’ho fatto nelle mie 20 stagioni da professionista".

Il tributo a Kobe di tutta l'Nba

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Doug Pensinger/Getty Images
Il saluto dei suoi fan a Denver, in occasione del match contro i Nuggets

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Gianpaolo Ansalone