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ANSA/ARCHIVIO (senza data)
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Inter, Mario Corso e quel maledetto 1967

Cinquant'anni fa finiva il ciclo della Grande Inter con la sconfitta in finale di Coppa Campioni contro il Celtic Glasgow, la beffa di Mantova all'ultima giornata di campionato. "Herrera? un allenatore mediocre"

"Meritammo di perdere, c'è poco di dire". Mario Corso, il piede sinistro di Dio, rievoca così la maledetta finale di Lisbona di cinquant'anni fa, quando l'Inter mancò il tris e il triplete. Poteva essere tris di Coppa Campioni, dopo i successi del '65 e '66, poteva essere il triplete, ma in campionato una papera di Giuliano Sarti contro il Mantova all'ultima giornata regalò lo scudetto alla Juventus e una incredibile sconfitta in semifinale di Coppa Italia con il Padova.

"Se gestiti meglio, con un paio di innesti, potevamo durare ancora un paio d'anni. Non eravamo mica tutti alla frutta. Probabilmente incise la stanchezza del presidente Angelo Moratti, desideroso di lasciare".

L'anno dopo, 1968, Moratti senior lasciò la guida della squadra a Ivanoe Fraizzoli. "A Lisbona potevamo vincere, era una partita alla nostra portata, probabilmente pensammo di avere la Coppa in tasca dopo il vantaggio di Mazzola, ma alla fine il Celtic giocò meglio. Ricordo l'ala destra Johnstone che giocò una grande partita. Noi avevamo qualche defezione importante, al posto di Luis Suarez, infortunato, scendemmo in campo con Mauro Bicicli. Un'assenza non da poco".

E dire che l'Inter sul suo cammino aveva fatto fuori in maniera perentoria il Real Madrid di Di Stefano con due vittorie a Milano e Madrid (1-0 e 2-0). "Forse pesò un po' anche la stanchezza della tripla semifinale con il Cska Sofia".

Dopo infatti due pareggi per 1-1, fu necessario giocare una terza partita di spareggio. Il pareggio del Celtic lo segnò Tommy Gemmel, terzino sinistro, idolo dei tifosi, scomparso ieri all'età di 73 anni. Una squadra rimasta nella leggenda per i tifosi cattolici scozzesi, interamente formata da giocatori del posto, tutti nati nel raggio di 50 chilometri dalla capitale. 

Mariolino Corso fu un protagonista indiscusso della Grande Inter, le sue fughe sulla fascia e le punizioni a foglia morta sono rimaste nella storia nerazzurra. Il rapporto però con il Mago Helenio Herrera fu piuttosto turbolento.

"Diciamoci la verità, Herrera era un allenatore modesto. Ha avuto la grande fortuna di trovarsi una squadra composta da fuoriclasse, scelti tutti da Italo Allodi. Era bravo, durante la settimana, a motivare i giocatori, in particolare quelli con meno personalità che necessitavano di un incoraggiamento. Poi durante la partita spariva. Non sopportava chi aveva carattere e si opponeva a lui. Tutte le estati voleva vendere me, Picchi e Guarneri. Alla fine nel '73, quando tornò, riuscì a farmi andare via, ma ormai era un'altra Inter".

Dissente totalmente da Sandro Mazzola che vede analogie tra il Mago e José Mourinho (lo ha raccontato qui): "non scherziamo, Mourinho la domenica è uno presente, che si fa sentire, incide. Herrera, ripeto, spariva". 

Come allenatore Corso ha lavorato soprattutto con i ragazzi delle giovanili, "il ruolo che prediligevo", poi nel 1985 il presidente Pellegrini gli chiese di subentrare a Ilario Castagner.

"Lo feci per spirito di servizio, perché me lo chiedeva la società. Non cercavo una conferma, sapevo che sarei tornato con i ragazzi". Nella sua biografia "Tutto o niente", Marco Tardelli, a quel tempo giocatore interista, ha avuto parole non tenere nei riguardi del suo ex allenatore, rimproverandogli di aver sempre puntato a fare le scarpe a Castagner. "Non è assolutamente vero, nella mia vita ho sempre puntato tutto sulla correttezza e con Castagner ho tutt'ora un buon rapporto". Per Tardelli poi Corso voleva riportarlo in difesa, dove si affermò da ragazzo, facendolo giocare da libero: "non avrebbe potuto giocare in quel ruolo, Tardelli era un centrocampista di quantità, non aveva la classe per fare il libero, e poi venuto meno nel suo rendimento fisico era diventato un giocatore normale". 

Sul periodo attuale Corso è fiducioso. "Pioli ha fatto un gran lavoro, sì, ha sbagliato la partita con la Roma, sacrificando troppo Perisic in compiti di copertura e schierando un Brozovic non ancora recuperato appieno. Vorrei anche vedere in campo di più il nostro miglior giocatore, Ever Banega. Incompatibilità con Joao Mario? No, non direi, i bravi giocatori possono sempre convivere". 

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Filippo Nassetti