Nell’infinito scontro legale per l’eredità Agnelli, già puntualmente documentato da Panorama, c’è un’importante novità. Che potrebbe allargare – e di molto – il numero di beneficiari del tesoro miliardario. Con prevedibili, ulteriori conflitti.
La pace è impossibile. Perfino un semplice incontro in cui le due parti in causa finalmente scoprano le carte e avanzino le condizioni per farla finita. Dice il cugino più saggio ed esperto dell’ex Royal Family: «È più facile far sedere allo stesso tavolo Putin e Zelensky o Netanyahu e il capo di Hamas, piuttosto che Margherita Agnelli e John». La Guerra dei vent’anni – l’insieme delle cause giudiziarie che dal 2004 al 2019 ha visto contrapporsi «Princesse Marella», la vedova di Gianni Agnelli, e sua figlia Margherita, la «Contessa del lago» – ha registrato un nuovo e inatteso colpo di scena in questa seconda e ancor più aspra fase che da cinque anni con la morte della Vedova (23 febbraio 2019) si è trasformata nella madre di tutte le battaglie. Essa, infatti, può ridimensionare il potere di John Elkann e ribaltare i destini di Dicembre società semplice, la holding di famiglia che controlla a cascata la Giovanni Agnelli BV insieme ad Exor, e quindi un impero di oltre 30 miliardi di euro con preziose quote di Stellantis, Ferrari, Cnh, Lingotto, Juventus, Gedi, The Economist. Questa infinita partenogenesi di azioni giudiziarie che nei tribunali svizzeri e italiani vede contrapposti genitrice e figlio, con il contorno di Lapo e Ginevra e dei quattro dei cinque fratellastri de Pahlen (che hanno a loro volta denunciato gli altri tre), ha appunto fatto registrare un punto a favore della Contessa del Lago grazie a una sentenza della Corte di cassazione resa nota ai primi di gennaio, una vittoria molto importante per Margherita e un indubitabile smacco per la «triade» Elkann. La Cassazione ha infatti annullato la pilatesca decisione della corte di Torino di sospendere il processo, in attesa dell’esito delle decisioni giudiziarie svizzere, dopo che erano state riunificate due cause promosse dalla figlia dell’Avvocato.
La prima con la richiesta alla giudice Nicoletta Aloj di far valere la giurisdizione italiana nella successione di Marella Agnelli, visto che la residenza in Svizzera della defunta era da considerarsi fittizia poiché non avveniva per i prescritti sei mesi l’anno, ma si svolgeva prevalentemente tra l’Italia e il Marocco. Ne consegue che i suoi tre testamenti (del 2011, 2012, 2014) debbano essere regolati dal diritto successorio italiano. E quindi il patrimonio della defunta non vada diviso solo tra i nipoti Elkann ma tocchi per metà anche alla figlia. In pratica, John, Lapo e Ginevra dovrebbero rinunciare alla metà dei 4,8 miliardi di euro lasciati loro dalla nonna (fanno credere che il suo patrimonio fosse «soltanto» di 181 milioni, «dimenticando» il valore immenso delle quote della Dicembre) e versarne 2,4 alla propria madre. Appare molto improbabile che ciascuno voglia privarsi di 800 milioni di euro… La seconda causa a Torino riguarda invece la denuncia di Margherita contro il notaio svizzero Urs von Gruningen chiamato in causa con l’accusa di aver falsificato i testamenti di Princesse Marella. Alcuni elementi fanno pensare che la signora non fosse nel pieno delle sue facoltà: gli atti sono redatti evidentemente solo grazie a un traduttore Google poiché Marella non conosceva la lingua tedesca e il notaio non parlava l’italiano… Inoltre le tre firme della vedova Agnelli presentano molti dubbi di forma.
L’avvocato di Margherita, lo scorso giugno, aveva subito impugnato in Cassazione la scelta di Torino di non decidere e attendere le sentenze dei tre procedimenti pendenti in Svizzera (Ginevra e Thun) sullo stesso argomento. E la seconda sezione della Cassazione civile ha rinviato le carte a Torino esprimendo il proprio disaccordo. Quindi il processo va avanti, la Suprema corte riconosce che il tribunale italiano è competente ad affrontare la questione della successione Agnelli. Secondo i supremi giudici, il provvedimento di sospensione del tribunale torinese avrebbe dovuto essere meglio motivato. E avrebbe anche dovuto essere meglio motivata la pregiudizialità di quelle cause, non solo riguardo alla «successione Caracciolo» ma – è il fatto più rilevante – anche la «successione Agnelli». Un fatto rilevante poiché è la prima volta che una Corte italiana lo sostiene scrivendo che la competenza a decidere è e resta in Italia. E qui sta l’importanza di tutto, poiché la causa prima e principale, l’architrave di tutta la «guerra» è la richiesta di Margherita affinché venga dichiarato nullo l’Accord Transactionel di Ginevra firmato con la madre nel febbraio 2004 e venga quindi annullato il Pacte Successoral (Patto ereditario o Accordo tombale) con cui aveva imprudentemente rinunciato (ma i suoi avvocati non l’avevano avvertita?) alla quota di sua spettanza nell’eredità di sua madre il giorno in cui la vedova Agnelli fosse venuta a mancare. La vicenda è appunto rimandata a Torino, dove entro tre mesi le parti torneranno a confrontarsi. In attesa dei giudizi svizzeri.
Al di là dei continui scambi di «artiglieria» in punta di diritto, la domanda è: come e se si può arrivare alla conclusione di questa «guerra»? John non capisce il danno alla propria reputazione che il perdurare di tale situazione comporta? A sua volta, Margherita che cosa chiede, che cosa vuole per placare finalmente questa autentica sete di «vendetta» (o «giustizia e verità», come lei dice)? Al primogenito della casata molti segnali sono giunti ad altissimo livello dalla comunità degli affari – specie internazionali – affinché abbassi la cresta e cerchi di trovare una soluzione. Si era mosso perfino Henry Kissinger alcuni mesi prima di morire. Ma Margherita non aveva nemmeno voluto sentir pronunciare quel nome, ritenendolo a lei avverso. Di recente, anche all’interno di Stellantis è emerso un certo malumore, espresso a John non ufficialmente ma in maniera inequivocabile. E non era ancora venuta alla luce la vicenda di cattivo gusto dei quadri che la madre accusa il figlio di averle sottratto da Villa Frescot. Panorama ha ricostruito la vicenda in un servizio in due puntate pubblicate l’anno scorso. La pervicacia con cui John si comporta lascia intendere che ci sia qualcosa da nascondere. Il fatto che non voglia dichiarare il possesso di quelle preziose tele come prevede la legge italiana, non fa certo onore a un uomo d’affari con ambizioni di editore e comunicatore ad alto livello e che dovrebbe avere molto a cuore la trasparenza. A cominciare dai propri comportamenti.
Tempo fa c’era stato un intervento su John da parte di un autorevole cugino per vedere se esistevano qualche spazio di ricomposizione familiare. Aveva mostrato una certa dose di coraggio. Nessuno, infatti, osa fare a John simili accenni a causa della sua permalosa suscettibilità insieme al fatto che, in questi anni, egli ha fatto guadagnare ai vari rami della dinastia una quantità di denaro che nemmeno ai tempi belli dell’Avvocato si sarebbero sognati. John, inoltre, non vuole sentire parlare della «bega» con la madre poiché la vicenda dimostra che egli non è in grado di rivestire il ruolo di «capo-famiglia» di cui si è auto-investito, visto che non riesce nemmeno a risolvere un problema che riguarda il proprio parentado. In questa mediazione, oltre alla difficoltà di scegliere un nome gradito e accettato dalle parti, gli ostacoli erano e sono molti a cominciare dalla reale volontà dei due protagonisti di guardarsi negli occhi e di parlarsi dopo quasi cinque anni (preceduti da altri 14 caratterizzati perfino dal mancato invito a Margherita di partecipare al battesimo dei tre figli di John e Lavinia). Inoltre i due ultimi incontri – ravvicinati e inevitabili – tra madre e figlio sono stati disastrosi.
Il primo: Marrakech, chiesetta all’interno del riad di donna Marella, matrimonio di Ginevra Elkann col principe Giovanni Gaetani dell’Aquila d’Aragona (terminato dopo tre figli e 13 anni di unione). Quando l’officiante, monsignor Vincenzo Paglia della Comunità di Sant’Egidio, invita i presenti a scambiarsi il segno di pace, Margherita si volta verso John e Lavinia seduti alle sue spalle. Porge la mano, sorride, pronuncia la parola «pace», ma i due abbassano gli occhi e restano gelidi. Un secondo, inevitabile contatto avviene nel febbraio 2019 ai funerali di donna Marella. Tutti si abbracciano, piangono, pregano, nel ricordo della nonna. Pochi giorni dopo i contatti riprendono con una chat di famiglia in cui ognuno dice la sua cercando di riannodare i molti fili spezzati. John e la madre dimostrano finalmente un po’ di buona volontà e lei invita tutti ad Allaman, in Svizzera, per una «passeggiata intorno al lago che ci aiuti a riflettere e a parlare liberamente». John aderisce con entusiasmo e dice di fremere dal desiderio di conoscere Theodora, la figlia di Pietro de Pahlen, il fratellastro da cui John teme un giorno di veder avanzare, per via giudiziaria, diritti sull’Impero.
Nonostante le premesse, quell’incontro era saltato all’ultimo istante, ufficialmente per il fatto che Margherita aveva chiesto la presenza del suo avvocato nel faccia-a-faccia con John. Ed egli aveva colto l’occasione per cancellare tutto con la pretesa, a quel punto, di farsi accompagnare anch’egli dal proprio legale. In realtà la madre era venuta a sapere, proprio in quelle ore, di un grave gesto che John le aveva riservato: nello stesso giorno dei funerali di donna Marella, tra un abbraccio e una lacrima, il primogenito aveva dato il via ai suoi legali svizzeri di depositare la causa al Tribunale di Ginevra dove ricorreva contro l’azione giudiziaria di Margherita in cui la controparte non era più la defunta ma lo stesso John. E in più aggiungeva anche Lapo e Ginevra in una nuova azione giudiziaria con la richiesta che la madre venga condannata al risarcimento del danno patrimoniale, reputazionale e non patrimoniale da loro «patito» per causa sua. Da allora, la battaglia legale si è intensificata tra dossier, investigatori privati, scoperte di «nefandezze» all’interno di una famiglia, in cui i rancori si sono ancor più sedimentati e che oggi, francamente, appaiono ancor più inestirpabili.
