La mia scuola (del futuro) negli Stati Uniti
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La mia scuola (del futuro) negli Stati Uniti

Dopo la sua vita a -20° la nostra "inviata" per studi nel Maine ci racconta la sua High School, che, paragonata al nostro liceo...

La classe in cui siedo adesso si trova nell’ala B della High school di Farmington, Maine. È molto diversa dalla classe del liceo di Roma in cui sedevo fino a giugno dell’anno scorso. I banchi sono nuovi. A dire il vero, tutto è nuovo. La scuola è stata da poco ristrutturata. I 64 milioni di dollari investiti nella ristrutturazione ne hanno fatto la struttura più bella del Maine.

A studiare qui sembra di stare nel futuro. Scrivo adesso sul MacBook Air che la scuola ha dato a ogni alunno. Se voglio, posso entrare nel mio “powerschool”, il mio sito privato, e vedere quanto ho preso all’ultimo test. Se sono assente a una lezione, mi basta inviare una e-mail all’insegnante, o consultare il programma delle materie pubblicato e giornalmente aggiornato su google drive. Per convocarti nel suo ufficio, alla preside basta pronunciare il tuo nome nell’altoparlante. Nelle classi, lavagna nera e gessetti bianchi si sono estinti da lungo tempo. Lunghe lavagne bianche e nuovissimi proiettori “smart” hanno preso il loro posto.

Accanto alla lavagna, in ogni aula, è appesa la bandiera americana. È là, in alto, orgogliosamente messa in mostra. Ogni mattina, prima delle lezioni, rivolti a quella bandiera, in piedi e con la mano sul cuore, alunni e insegnanti recitano ad alta voce il loro “Pledge of allegiance”, il loro giuramento di fedeltà alla nazione, alla loro Repubblica che promette, recitano, “Liberty and Justice for all”, libertà e giustizia per tutti. Quando dico ai miei amici che noi in Italia non ce l’abbiamo un giuramento di fedeltà, tutti mi guardano strano. Ci alziamo anche noi, dico, ma non per la nazione. Ci alziamo quando gli insegnanti entrano in classe, e quando escono. Qui in America questo non succede.

Il rapporto insegnante-alunno è diverso. C’e più collaborazione, meno subordinazione. Insegnanti e alunni spesso si comportano da amici tra loro, c’è più spazio per lo scherzo e il dialogo. In America gli insegnanti stanno fermi in una classe, sono gli alunni a fare le corse di aula in aula nel poco tempo tra un’ora e l’altra, per seguire le loro lezioni. E se un insegnante non ti piace puoi abbandonare la classe e cercare di seguire le lezioni di un altro insegnante, magari migliore, in un’altra aula. In questa maniera in America non sono solo gli alunni a essere giudicati, ma anche i loro insegnanti. 

È un sistema completamente diverso. E anche il modo di insegnare è diverso. Non ci sono interrogazioni, ma progetti. Tanti progetti. È questa la strategia della scuola americana per valorizzare la creatività e unicità di ogni alunno. Ti danno un tema. Un spunto. E ti chiedono di creare, e di farlo nel modo che più si confà alla tua personalità. Il liceo classico ti insegna a studiare, a ripetere, a fare i compiti in classe e a ragionare, il che è meraviglioso. Ma la scuola americana ti dà più spazio per essere quello che sei. Sai scrivere? Ecco per te una classe di scrittura creativa. Hai l’occhio del fotografo? Ala A secondo piano, fotografia. Ci sono materie che per legge gli americani devono studiare. Il resto è nelle loro mani. Scelgono loro, gli alunni, di anno in anno. E se sono bravi, il loro impegno e il loro talento vengono valorizzati. Nella mia High school, se eccelli puoi vincere premi di ogni tipo. Puoi diventare studente del mese, entrare nella “honor society”. Il tuo nome compare sul giornale locale tra gli “honors”, “high honors” o “highest honors”. Alla fine dell’anno si tiene una “honor night” in cui banche, il Rotary Club e altri soggetti locali offrono borse di studio ai seniors (i diplomandi) che vantano eccellenti carriere scolastiche.

Quello che ho imparato studiando qui nel Maine è che in America gli insegnanti ti dicono “work hard”, lavora sodo. In America puoi anche essere intelligente, ma se non ti impegni non vai da nessuna parte. Per questo gli americani sono così fissati con lo sport. Per questo sono così competitivi. L’impegno è ciò che importa. E l’impegno è ciò che viene valorizzato. Nella scuola italiana l’impegno è importante. Ma se vai bene perché ti impegni sei un secchione. Se vai bene solo perché sei intelligente sei un genio. Nella scuola italiana i geni vengono premiati. In America gli “hardworkers”. Ecco la differenza. E questo è un vero peccato, perché il paradosso è che, grazie ai nostri insegnanti, il livello di istruzione nella scuola italiana è molto alto. 

Le nostre due scuole sono mondi a parte. Ho cercato di spiegare ai miei amici americani come funziona da noi. Sono arrivata anche a parlare dell’occupazione. Ho detto di come blocchiamo la scuola, come ci chiudiamo dentro, come protestiamo, come impediamo a chiunque di entrare. Loro ci hanno riflettuto su per un attimo. Forse hanno anche cercato di immaginarla, l’occupazione, i ragazzini italiani che fanno irruzione in una scuola e si chiudono dentro. Ma non credo mi abbiano capita. Loro una cosa del genere non la concepiscono, non ci riescono proprio. Se lo facessimo noi, mi hanno detto, finiremmo tutti in prigione. Quando ho tentato di spiegare una seconda volta cosa un’occupazione fosse ci ho provato con Alyce, la mia “host mother”. Quando ho smesso di parlare, lei si è messa a ridere. Pensava scherzassi. Poi, quando ha capito che non scherzavo affatto, mi ha guardata strano e mi ha detto: siete scatenati laggiù! A quel punto ho smesso di provarci, e mi sono arresa all’idea che per gli americani l’occupazione sia cosa dell’altro mondo.

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Silvia Ventura