John Nash, che cos'è e a che cosa serve la sua teoria dei giochi
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John Nash, che cos'è e a che cosa serve la sua teoria dei giochi

Le tesi del matematico scomparso analizzano le strategie per affrontare una competizione con il massimo vantaggio

Quattro amici siedono in un bar. Giovani, carini e occupati nel disquisire del più e del meno (in senso letterale: sono dei matematici), si trovano repentinamente alla mercé delle loro pulsioni ormonali quando nel locale fa il suo ingresso un’avvenente bionda accompagnata da quattro amiche. Subito i ragazzi fanno a gara di spavalderia su chi avrebbe avuto più probabilità di abbordare la procace fanciulla, ma uno di loro, ragionando fuori dal coro, afferma con certezza che il miglior modo per rimorchiare sarebbe stato quello di ignorare la ragazza. “Pensateci: se ci lanciamo tutti e quattro sul formoso obiettivo non faremmo altro che ostacolarci a vicenda, e nessuno riuscirebbe veramente a conoscerla e a far colpo. Quindi, come ripiego, ci butteremmo sulle sue amiche, che, non volendo fare la figura delle ruote di scorta, ci mollerebbero un bel due di picche a tutti. Morale: nessuno di noi concluderebbe qualcosa. L’unico modo per uscire tutti vincitori da questa sfida è lasciar perdere la bionda”. Le parole sono di John Nash, ma non le ha mai veramente pronunciate e anche la scena descritta non è realmente accaduta: si tratta di una finzione che gli sceneggiatori introducono nel film A beautiful mind per spiegare al pubblico nel modo più semplice possibile il significato del teorema di Nash e l’apporto determinante che ha avuto nello sviluppo della teoria dei giochi.

Una teoria complessa e controintuitiva

A dispetto del nome, infatti, la teoria dei giochi (sorta a partire dagli anni ’40 dello scorso secolo ad opera del matematico John Von Neumann) è una scienza vera e propria che si avvale della matematica più complessa per analizzare e studiare come ciascun soggetto coinvolto in una competizione possa sviluppare strategie e maturare le giuste decisioni per ottenere il massimo vantaggio. E si può applicare in tutti gli aspetti della nostra vita, dalla partita a poker del venerdì sera coi colleghi, alle manovre d’alta finanza tra multinazionali rivali per il primato nello specifico settore. E anche per portarsi a letto la più carina del locale. In questo contesto la “bellissima mente” di Nash ha partorito la formula giusta. Non per andare a colpo sicuro rimorchiando in un bar, ovvimente, ma l’esempio è calzante. Secondo la teoria del matematico americano, infatti, in un gruppo di contendenti la spunta chi persiste in un’opzione strategica, anche se spesso non è la più intuitiva, anzi può essere in apparenza controproducente. E i numeri lo provano. Il teorema di Nash dimostra che in una situazione dove gli attori non cooperano, anzi sono in competizione tra di loro e non possono fidarsi l’uno dell’altro o accordarsi (nel caso specifico seguendo alla lettera il motto “tutto è lecito in amore e in guerra”), la mossa vincente, per tutti e per ciascuno, è arrivare a un equilibrio, definito appunto “di Nash”. Nell’esempio della bionda, questo teorema in soldoni si traduce così: tutti vogliono la ragazza ma proprio per questo nessuno può averla, perché i tentativi di ognuno impediscono agli altri di raggiungere l’obiettivo. Ma se ciascuno NON punta alla bionda, allora probabilmente qualcuno riuscirà forse a combinare qualcosa se ci prova con qualche sua amica: il gruppo di ragazze è numericamente superiore di una persona a quello dei ragazzi e le altre donne saranno lusingate di esser preferite alla più appariscente, non sentendosi delle seconde scelte e quindi ben più predisposte a concedere i loro favori. L’importante, è qui sta il fulcro del teorema dello scienziato interpretato sul grande schermo da Russel Crowe, è che tutti i giocatori (in questo caso i corteggiatori) abbiano un valido motivo per non cambiare la propria strategia, che si presume sia seguita anche dagli altri.

E se l’equilibrio non è la migliore opzione per tutti?

Però la situazione appena raccontata non è proprio un vero “equilibrio di Nash”: con gli altri impegnati a darsi da fare con le amiche qualcuno potrebbe trarre il massimo vantaggio per sé cambiando strategia e attaccando bottone con la bionda. L’esempio più usato per spiegare il teorema del celebre matematico, da quando nel 2001 è uscito il film sulla sua vita, è infatti il dilemma del prigioniero.

Due criminali accusati di complicità in una rapina sono interrogati in celle separate, così nessuno sa cosa dirà l’altro. Gli inquirenti offrono lo stesso accordo a ciascuno: ammetti la tua responsabilità nell’aver organizzato e partecipato alla rapina assieme al tuo complice e sarai rilasciato, e se l’altro si avvale della facoltà di non rispondere prenderà dieci anni grazie alla tua testimonianza. Se confessi, addossando così la colpa anche al tuo compare, ma anche lui fa la stessa cosa, entrambi sarete condannati a scontare otto anni di carcere. Se invece tacete entrambi, non avendo prove sufficienti per incriminarvi, i giudici vi daranno solo un anno di prigione per porto d’armi abusivo. Che fareste voi lettori? L’ultima scelta sembra quella più logica, semplice e vantaggiosa. Ma come sapere, anche previo accordi, se il compagno di merende agirà nello stesso modo? Secondo il teorema di Nash l’equilibrio (cioè l’opzione di massimo profitto e minimo rischio) sta nella scelta di confessare, per entrambi. Anche se così si va dritti dietro le sbarre: lavagnate di calcoli e formule (come quelle mostrate nella pluripremiata pellicola di Ron Howard) decretano infatti che, e può sembrare paradossale, la confessione procura il massimo vantaggio per sé. Provate a fare tutte le combinazioni possibili, alla fine vi convincerete: se un prigioniero confessa può esser libero o scontare otto anni. E sapendo che al suo compare conviene fare la stessa cosa, probabilmente agirà in questo modo. Tacendo, invece, rischia uno o dieci anni: finisce comunque col vedere il sole a scacchi.


L’importanza della teoria dei giochi


Più di un interrogativo sorge spontaneo. Perché cervelli così brillanti, in grado di dipanare formule intricatissime e risolvere teoremi che pochi al mondo erano capaci di comprendere, si dedicarono, spesso con ingenti sovvenzioni pubbliche, a trovare soluzioni per giochini che paiono fini a se stessi? Se avete fatto qualche partita a Risiko potete intuire facilmente il motivo. All’epoca della contrapposizione dei grandi blocchi di nazioni (siamo nel pieno della guerra fredda) lo scacchiere geopolitico mondiale, proprio come nel popolare gioco da tavola, era in mano a diversi protagonisti, ciascuno dei quali aveva un suo preciso obiettivo e doveva decidere come meglio muoversi per volgere la situazione in proprio favore. Senza sapere, o solo ipotizzando, cosa avrebbero fatto gli avversari. Una situazione riprodotta alla perfezione dallo scenario non cooperativo e competitivo formulato nella teoria dei giochi. Solo che al posto dei carrarmatini colorati le superpotenze schieravano armamenti con testate termonucleari: capire e prevedere intenzioni e mosse dei rivali risultava quindi fondamentale. E una teoria, basata su solide basi matematiche, poteva fornire le opzioni giuste da scegliere al momento opportuno. Secondo alcuni studiosi il dilemma del prigioniero rappresenta perfettamente il fenomeno della corsa agli armamenti tra i due blocchi contrapposti dopo la seconda guerra mondiale: se tacere, riprendendo l’esempio del dilemma, equivale al disarmo unilaterale, ecco spiegato perché Usa e Urss (i due "prigionieri") si trovarono a scegliere di non smantellare i propri arsenali. Non potendosi fidare reciprocamente la mossa giusta era, per entrambi, aumentare le rispettive  dotazioni di armi atomiche. Ma il modo di affrontare i problemi attraverso la teoria dei giochi diede anche un’ulteriore spinta al progresso dell’informatica e più in generale a studiare e perfezionare tattiche vincenti per tutte le situazioni che vedono due o più antagonisti ambire alla stessa mèta: elezioni politiche, competizioni sportive e logiche economico finanziarie.

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Angelo Piemontese

Sono nato a Pavia dove mi sono laureato in Fisica. Attratto dall'intrigante connubio tra scienza e scrittura, ho quindi conseguito la specializzazione post accademica in giornalismo scientifico e ho collaborato con le principali riviste del settore, soprattutto in ambito astronomico. Racconto le meraviglie del cielo con i piedi ben piantati a terra, ma anche storie di scienza, medicina e natura.

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