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ANSA/CLAUDIO PERI
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Salvini sfida Berlusconi: la sua candidata a Roma è Giorgia Meloni

L'ex premier conferma Bertolaso, ma ci sono anche Storace e Marchini. Ma così diviso il centrodestra rischia

L'annuncio alle 12.30 di oggi in piazza del Pantheon. Giorgia Meloniè ufficialmente la quarta candidata sindaco di Roma del centrodestra insieme a Guido Bertolaso, Alfio Marchini e Francesco Storace. Annunciando la sua maternità, un mese e mezzo fa la presidente di Fratelli d'Italia aveva escluso di poter affrontare una campagna elettorale nel suo stato. Se non come extrema ratio nel caso tutte le forze della coalizione non avessero trovato l'accordo su un nome condiviso. Inizialmente quell'accordo c'era e il candidato unitario doveva essere l'ex capo della Protezione civile. Ma poi la Lega si è sfilata. Matteo Salvini, infatti, non accettò le frasi di Bertolaso sui rom e le carinerie nei confronti del candidato sindaco del Pd Roberto Giachetti. Vennero organizzati dei banchetti per far esprimere ai romani le loro preferenze. Il più votato risultò Marchini ma nessuno dei nomi presenti sulla scheda riuscì a raggiungere la maggioranza assoluta. In compenso, in circa 900 scrissero nello spazio lasciato in bianco proprio il nome della Meloni.


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Romana “dè Roma”, "l'unico posto dove non mi rimproverano se parlo romano", 37 anni, cresciuta nel quartiere rosso della Garbatella, a 15 anni Giorgia già faceva politica nel Fronte della Gioventù. Impegnata nei movimenti studenteschi di destra, per mantenersi agli studi ha lavorato come cameriera e baby sitter (anche della famiglia Fiorello). Il suo mentore è stato Fabio Rampelli, capo della potente corrente aennina dei Gabbiani. Lei è più brava di lui però e dopo una serie di incarchi sia di partito che amministrativi, nel 2006, a soli 29 anni, viene eletta al Parlamento. Prima che Luigi Di Maio le soffiasse il record, è stata la più giovane vicepresidente della Camera dove instaura, fin da subito, un ottimo rapporto con Fausto Bertinotti al punto che quando nel 2008 lui non sarà rieletto la Meloni dichiarò pubblicamente il suo rammarico. Silvio Berlusconi l'ha nominata ministro della Gioventù offrendole così una ribalta nazionale che le permetterà di mettere ancora più in mostra le sue doti. Nel 2012 si batte perché nel Pdl possano essere celebrate le primarie, non avendole ottenute esce dal partito e fonda Fratelli d'Italia. Dal 2013 è stabilmente alleata di Salvini all'opposizione di tutti i governi che da quel momento si sono succeduti (da quello Monti ancora precedente, a quelli Letta e Renzi).

Al netto di qualche polemica e reciproci sospetti (è la stessa Meloni a non aver nascosto ai suoi il dubbio che con il suo appoggio Salvini le sia preparando una sorta di trappola) i due, Giorgia e Matteo, si sono sempre piaciuti. In questi ultimi giorni pare addirittura che siano rimasti costantemente in contatto telefonico. Ieri sera si sono incontrati a Roma per ripassare la road map delle prossime settimane: creare un asse che abbia come riferimenti al Nord il leader leghista, al Centro la Meloni e al Sud forse Raffaele Fitto. Candidare l'ex vicepresidente della Camera a sindaco di Roma per dimostrare a Silvio Berlusconi che ormai non è più lui a dettare le condizioni, tentare di costringerlo a ritirare Bertolaso e, in caso contrario (come ovviamente Salvini ormai auspica), lasciarlo da solo a subire un'umiliante sconfitta nella Capitale.

Tra i due, l'ex premier e il suo ex ministro della Gioventù, si è insinuato però anche un motivo d'astio più personale. I ben informati riferiscono di una Meloni arrabbiatissima con Berlusconi schierato con Bertolaso nel sostenere che una mamma non può fare “un lavoro terribile” come il sindaco di Roma. Berlusconi, a sua volta, si sente tradito da lei. Fatto sta che il vero obiettivo della partita che si sta giocando a Roma è la leadership contesa da due milanesi: il fondatore Berlusconi e Salvini, il rappresentante più in vista di una generazione di 40enni cresciuti alla sua ombra e che ormai da tempo scalpitano per rottamarlo e trasformare il centrodestra italiano in una sorta di succursale del Front National di Marin Le Pen. Anche a prezzo di condannarlo, almeno per come lo si era conosciuto negli ultimi 22 anni, al definitivo tramonto, a una deflagrazione che inevitabilmente rischia di comportare una serie di batoste elettorali nelle città chiamate al voto il prossimo giugno.

Una prospettiva che non tutti, né dentro Forza Italia né nella Lega, mostrano di accettare a cuor leggero. Su un fronte c'è infatti chi vorrebbe che Berlusconi uscisse dall'isolamento al quale i voltafaccia di Salvini e Meloni lo avrebbero condannato rassegnandosi a rinunciare a una candidatura, quella del “suo” Guido, che nel partito convince ben pochi (“rischiamo di ammazzare il partito, di non avere neanche un consigliere comunale” il timore di molti dirigenti azzurri). Sull'altro c'è chi, come il presidente della Lombardia Roberto Maroni secondo il quale “Roma andava lasciata a Berlusconi” per evitare che la crisi romana contagiasse altre realtà locali dove Forza Italia potrebbe, a questo punto, togliere il sostegno ai candidati leghisti.

Tra i due, comunque, quello più in difficoltà è inevitabilmente Silvio Berlusconi: se accetta di rinunciare a Bertolaso dimostra di essersi piegato al diktat di Salvini, ma se non lo fa sancisce lo strappo definitivo della famosa foto di Bologna già ridotta a ritratto ingiallito. Ma anche Salvini dovrà, prima o poi, misurarsi in prima persona. A Milano ha rinunciato a candidarsi sindaco nonostante il sostegno che l'intero centrodestra gli avrebbe garantito. Giorgia Meloni lo ha detto proprio oggi annunciando la sua candidatura: “un vero leader si misura sul consenso che riesce a ottenere, altrimenti rimane solo un cooptato dai partiti”.

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Claudia Daconto