L'ultima sigaretta ai tempi del Coronavirus
(Ansa)
Salute

L'ultima sigaretta ai tempi del Coronavirus

I polmoni dei fumatori sono più vulnerabili ad ogni infezione. E, Covid a parte, smettere è l'idea migliore, come spiega il chirurgo toracico Marco Alloisio

Ogni anno, tante persone quante sono quelle che vivono a Bologna e Firenze, per dire due grandi città, ossia 700 mila in Europa, muoiono di malattie collegate al fumo: tumori, patologie cardiovascolari e respiratorie. Quest'anno, poi, ci si è messo di mezzo anche il coronavirus, che pur essendo (come è ormai chiaro) una malattia sistemica che colpisce tutto l'organismo, ha come organi bersaglio proprio i polmoni. E se li trova già malmessi, colpisce più duro.

Nel mondo, il fumo di sigaretta resta la seconda causa di morte, e in Italia chi se le accende ogni giorno sono quasi 12 milioni (11,6, di cui 7,1 milioni uomini e 4,5 milioni donne). In questi giorni, in occasione della Giornata contro il fumo, la Lilt, Lega italiana per la lotta contro i tumori, ha condotto un'indagine su 2.623 italiani, donne e uomini provenienti da tutte le regioni, di diverse fasce di età, fumatori e non. Obiettivo: capire se e come la quarantena da Covid abbia modificato il rapporto con le sigarette.

Il risultato è che, in generale, la gente sottostima ancora il ruolo del fumo rispetto al rischio di ammalarsi di Sars Cov-2. Molti ritengono che siano altri fattori a rendere una persona più vulnerabile all'infezione, come le malattie croniche o l'età avanzata. Se il 50 per cento degli intervistati ha mantenuto inalterate le proprie abitudini, un'altra metà ne ha approfittato per cambiarle radicalmente, in meglio o in peggio: adottando uno stile di vita più sano o buttandosi sulle sigarette per gestire noia, stress, ansia e senso di incertezza.

Quanto però il fumo sia un nemico dei polmoni (e un alleato del coronavirus) lo spiega Marco Alloisio, chirurgo toracico all'Istituto Humanitas di Rozzano e presidente della Lilt di Milano e Monza Brianza.

Intanto, facciamo chiarezza su una notizia abbastanza sorprendente venuta fuori qualche tempo fa, cioè che il fumo addirittura protegga dal covid-19... Può mai essere vero?

No, si tratta di un unico studio osservazionale, che suggeriva come nelle terapie intensive ci fossero meno fumatori rispetto a pazienti che non fumavano, ma non è mai stato ripetuto né confermato. È ormai certo il contrario, che fumare rende una persona più vulnerabile a qualsiasi malattia o infezione respiratoria ed è un fattore di rischio importante per malattie come la broncopneumopatia cronica ostruttiva o l'enfisema, e in generale riduce l'ossigenazione dei tessuti.

Che danni fa il coronavirus ai polmoni, una volta guariti?

In futuro ci aspettiamo che una certa parte di chi si è ammalato in modo grave, cioè è finito in terapia intesiva o intubato, abbia poi esiti di fibrosi polmonare. Lo stiamo già lo valutando, si parla di una percentuale intorno al 50 per cento anche se è un dato da confermare.

Sono conseguenze reversibili?

No la fibrosi polmonare è una cicatrice, e come tale resta. Quello che si può fare per ridurne la portata sono esercizi di ginnastica respiratoria riabilitativa. In Europa,addirittura, i centri trapianti prevedono aumento di trapianti del polmone, anche se io mi auguro che ciò non accada. In tutto questo contesto, il fumatore che si ammala di Sars Cov-2 e finisce in terapia intensiva vivrà una situazione ancora più problematica, mi pare evidente.

È vero che mentre negli uomini c'è una tendenza alla riduzione dell'abitudine al fumo, nelle donne questo non avviene?

Purtroppo è così. Nel mondo occidentale aumentano le donne fumatrici, tanto che la mortalità per tumore al polmone ha superato quella del cancro alla mammella.

Perché le donne ancora non rinunciano alle sigarette?

Bella domanda. Forse perché, rispetto agli uomini, si ritrovano con maggiori carichi di tipo sociale e familiare: il lavoro, la gestione della casa, dei figli, dei genitori... E questo probabilmente le porta a ricorrere al fumo come antistress.

Come sta cambiando l'identikit del fumatore in Italia?

Vedo che purtroppo l'età in cui si inizia è sempre più bassa, intorno ai 13 anni. Da decenni l'impegno della Lilt è proprio quello di creare una generation smoke-free, libera dal fumo. Chiaramente deve esserci anche un grandissimo sforzo collettivo delle istituzioni, della società, delle scuole, dei medici.

Le e-cig allontanano dalle sigarette vere, più nocive?

Molti giovani in effetti passano alle sigarette elettroniche, ma altri, peggio ancora, fumano entrambe. Comunque, un dato recente dice che gli studenti che usano e-cig erano l'8 per cento nel 2014 e nel 2018 sono passati al 17 per cento, quindi sono raddoppiati in quattro anni. E più i maschi delle femmine.

Lei che li vede, essendo un chirurgo, come sono i polmoni di una persona che fuma?

Quelli di un fumatore cronico si riconoscono subito: al di là del colore più scuro, avendo subìto nel tempo infiammazioni ripetute sono polmoni molto meno elastici, più rigidi, soprattutto in chi ha anche bolle di enfisema dove non ci sono più scambi respiratori, quindi la saturazione dell'ossigeno è scarsa. Non sono polmoni normali, insomma, tranne qualche rara eccezione. E l'85 per cento dei tumori al polmone che io opero appartengono a persone che fumano o fumavano.

E quel 15 per cento che si ammala di cancro al polmone pur non avendo mai toccato una sigaretta, da che cosa dipende?

Può esserci sicuramente una predisposizione familiare, questione di geni ma c'entra anche l'inquinamento.

Dopo quanti anni, se si smette di fumare, si riduce il rischio per la salute?

Per un fumatore che consuma un pacchetto al giorno per vent'anni, e ce ne sono tanti, per tornare al rischio zero per il cuore e i danni cardiovascolari occorrono 10 anni, per il rischio di tumore al polmone 20 anni. Ma ogni anno che passa ovviamente il rischio si riduce. E gli altri benefici all'organismo, alla pelle, alle vie respiratorie, sono molto più immediati. E iniziano già dai primi giorni.

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Daniela Mattalia