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Salute

Ecco il batterio «mangia plastica»

Si chiama Ideonella sakaiensis, capace di digerire il polietilene tereftalato (PET), il materiale plastico di cui sono fatte bottiglie e contenitori per bevande e cibi ma anche certi tessuti

Nel mondo vengono prodotti circa 400 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica ogni anno. La maggior parte finisce nelle discariche, una minima parte (9 per cento) viene riciclata e il resto va a inquinare l’ambiente ed entra nel ciclo biologico, esseri umani compresi. Basti pensare che nell’Oceano Pacifico c’è un tratto di mare grande quanto la Francia disseminato di 79mila tonnellate di rifiuti di plastica. In Italia viene riciclato poco più della metà dei rifiuti plastici e il resto viene convertito in energia aumentando le emissioni di anidride carbonica. Il mondo dunque ha un urgente bisogno di trovare rimedi naturali per smaltire i rifiuti in plastica.

L’idea di organismi capaci di nutrirsi di plastica risale ai primi anni ’90, quando furono identificati i primi microbi capaci di digerire tipi di plastica biodegradabile e di bassa consistenza. Negli anni 2000 furono poi identificati enzimi capaci di digerire tipi di plastica più robusta ma fu solo due anni fa che fu scoperto un batterio, l’Ideonella sakaiensis, capace di digerire il polietilene tereftalato (PET), il materiale plastico di cui sono fatte bottiglie e contenitori per bevande e cibi ma anche certi tessuti.

Il problema era che dal processo emergeva una sostanza chimica di scarto che non poteva essere smaltita e dunque che non risolveva veramente il problema dell’inquinamento. Ora, una ricerca pubblicata nei Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), che ha tragli autori Jen DuBois, del Montana State University, e John McGeehan dell’università di Portsmouth, il quale nel 2018 aveva pubblicato i primi risultati sull’ Ideonella sakaiensis, risolve il problema identificando un enzima capace di scindere questa sostanza.

L’Ideonella sakaiensis produce due enzimi, cioè complessi molecolari che possono accelerare le reazioni chimiche, come quelle che servono a digerire i cibi. Sono gli enzimi PETase e MHTase che rompono il polietilene tereftalato (PET) negli elementi costitutivi glicoletilene (EG) e il tereftalato (TPA). Mentre il glicoletilene è una sostanza chimica dai molti usi – lo si trova per esempio nell’antigelo di un auto– il tereftalato non ha altri usi al di fuori di quello del PET e non viene digerito da nessun tipo di batterio conosciuto. Lo studio su Pnas adesso rivela l’identificazione da parte dei ricercatori di un altro enzima, chiamato TPADO, che riconosce il tereftalato e lo rompe con estrema efficienza. Di questo enzima è stata studiata la struttura dettagliata in 3D: adesso non solo si sa come si comporta nelle reazioni cruciali ma lo si sa anche ingegnerizzare. Siamo quindi a un passo cruciale nella lotta ai rifiuti plastici tramite processi naturali: un super-enzima che lega insieme PETase, MHATase e TPADO, suscettibile a essere ingegnerizzato per portare la velocità di digestione della plastica fino a sei volte quella dei tre enzimi separatamente.

Un fatto molto interessante è che c’è evidenza che ovunque nel mondo si stanno evolvendo batteri con enzimi capaci di scindere vari tipi di plastica. Vari gruppi di ricerca stanno cercando di ingegnerizzarli per renderli capaci di effettuare il processo molto più velocemente ma molte delle ricerche sono rimaste a livello universitario. La sfida è quindi quella di riprodurre questi processi a livello industriale, come sta facendo l’industria biotecnologica francese Carbios. L’obiettivo finale è quello di creare un processo di riciclo veramente circolare. Le forme di quest’ulrimo processo ora in uso portano sempre a uno scadimento della qualità della plastica finché a un certo punto il prodotto non può più essere riciclato e deve essere incenerito con ulteriore produzione di emissioni di CO2. Di contro, un processo di scissione enzimatica che scinde la plastica nei suoi costituenti molecolari, che verrebbero poi riassemblati, consterebbe di queste fasi: costruzione, uso, decostruzione e ricostruzione di plastica di alta qualità con danni ambientali ridotti quasi a zero. Oggi sappiamo che a livello teorico questo obiettivo è alla portata dell’umanità.

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Luca Sciortino