Ucraina: la diplomazia delle pacche sulle spalle
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Ucraina: la diplomazia delle pacche sulle spalle

Rispettare la sovranità ucraina e vigilare sulla tenuta della tregua, ha detto Renzi incontrando Poroshenko. Ma il punto è che cosa dirà domani a Putin

Monitorare il cessate il fuoco siglato a Minsk, controllare i confini e le frontiere e rispettare la sovranità territoriale dell'Ucraina cui l'Italia e le sue aziende sono pronte a fornire «tecnologia ed expertise», approfondendo i rapporti economici bilaterali e fornendo supporto nell'ambito della missione Ocse stabilita dall'Unione per vigilare sulla tenuta della tregua.

Nel corso della sua attesa visita a Kiev, dove ha incontrato il presidente Petro Poroshenko, Matteo Renzi ha detto esattamente quello che ci attendevamo che dicesse: a cominciare dal necessario «rispetto dell'indipendenza e della sovranità dell'Ucraina» e dell'impegno italiano a fare «tutti gli sforzi necessari per procedere nella direzione di una pace duratura e stabile».


Che cosa dirà Renzi a Putin? Che, dopo la recente occupazione del terminale del gasdotto Eni Greenstream a Mellitah in Libia, possiamo permetterci di rimanere stritolati in una nuova guerra del gas in Europa orientale?

Ha però sorvolato, Renzi, sulla questione più calda, quella dell'inasprimento delle sanzioni europee contro la Russia, qualora Mosca non rispettasse gli accordi del cessate il fuoco. Non un cenno esplicito, forse perché l'incontro con Vladimir Putin, è previsto per domani, o forse perché siamo, dopo la Germania e la Turchia, il terzo Paese importatore di gas russo, con 25,3 mmc nel 2013 contro i 40 e i 26 di Mosca e Ankara.

Per fare un bilancio della politica estera italiana (ed europea) in Ucraina senza farsi distrarre dalla diplomazia delle pacche sulle spalle su cui il nostro premier è comunque molto abile, occorre insomma attendere perlomeno domani, quando il presidente del Consiglio - dopo aver deposto un fiore sul luogo dove è stato freddatoBoris Nemcov - incontrerà lo zar del Cremlino.

Che cosa gli dirà? Che, dopo la recente occupazione del terminale del gasdotto Eni Greenstream a Mellitah in Libia, possiamo permetterci - data la «florida» situazione energetica in cui versiamo - di rimanere stritolati in una nuova guerra del gas in Europa orientale? Che la defunta pipeline Nabucco per approvvigionare l'Europa è già bell'e che pronta nel caso il conflitto russo-ucraino dovesse proseguire? Che possiamo, noi europei, fare a meno del gasdotto russo che passa dall'Ucraina? O forse giocherà Renzi qualche carta per garantirsi, in cambio della neutralità europea e dell'ammorbidimento delle sanzioni, un maggior impegno russo in Libia e in Siria contro il contagio jihadista?

La verità - al di là della complessità di questa partita diplomatica - è che ridurre la dipendenza energetica da Mosca - come segnala anche uno studio della Oxford University -  appare, almeno nel medio-lungo periodo, improbabile non solo per il nostro Paese. Ne discende che, se l'Ue ha bisogno di importare ogni anno 100 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia, la soluzione del conflitto russo-ucraino non può che prescindere da un accordo con l'ingombrante vicino moscovita. Piaccia o meno. Diritti umani o no.

Le parole sull'integrità territoriale - su cui si sono esercitati anche Merkel e Hollande - lasciano in sostanza il tempo che trovano, se c'è il niet di Mosca a disarmare i separatisti. L'unica arma che abbiamo (noi europei, noi italiani) per spingere la Russia a non violare il cessate il fuoco in Ucraina orientale è, fatta salva l'opzione militare, quella economica. Ma è la classica arma a doppio taglio: affonderemmo la Russia, ma affonderemmo anche noi stessi. Occhi puntati a Mosca, dunque. Perché è a Mosca, e non nella traballante Kiev, che si decide il futuro del conflitto. E anche un po' il nostro. Renzi, pacche sulle spalle a parte, ne dovrebbe essere perfettamente informato. 

nuova guerra del gas nell’Europa orientale


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Paolo Papi