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(Ansa)
Politica

Zan, l'uomo dei diritti per tutti tranne che per Giorgia Meloni

Il parlamentare Pd noto per la sua legge affossata ha detto che la leader di FdI tratta la comunità Lgbt come i fascisti trattavano gli ebrei

Il fatto che in questa campagna elettorale i livelli di follia siano fuori controllo (molto più del prezzo del gas alla borsa di Amsterdam), lo dimostra l’ultimo tweet farneticante di Alessandro Zan. Il padre della Legge Zan, affossata in parlamento, arriva a paragonare Giorgia Meloni a una sorta di gerarca nazista. La colpa sarebbe quella di avere evocato una “lobby Lgbt”, che secondo Zan equivarrebbe alle crociate del “fascismo” contro la lobby ebraica. Testualmente, Zan sostiene che “la teoria del complotto di una lobby gay che mirerebbe a sovvertire l’ordine naturale assomiglia drammaticamente ai più terribili discorsi d’odio del fascismo contro presunte ‘lobby ebraiche’. Alimentare paure per il consenso è criminale”.

Fare campagna elettorale a colpi di vittimismo, è il sintomo di una disperazione strisciante. Giorgia Meloni ha espresso su questi temi la sua linea politica, non inneggia alla violenza o all’emarginazione, è una posizione legittima sulla quale si può essere d’accordo o meno. Tirare in ballo i drammi del novecento per raccattare qualche voto in più, invece, è una tecnica adatta per chi teme seriamente di perdere le elezioni.

Zan, che si candida come capolista in Veneto tra le file del Pd, farebbe bene a prendersela con il suo partito, se la battaglia della legge che porta al suo nome si è arenata tra le aule parlamentari. Il ddl Zan, che al di là delle buone intenzioni era scritto con i piedi, ha sollevato da più parti seri motivi di legittimità, soprattutto in quell’articolo 4 che ampliava a dismisura le fattispecie discriminatorie. L’altro punto discutibile riguardava l’insegnamento nelle scuole della cosiddetta “teoria gender”, che suscitò le proteste della Santa Sede. Pur essendo a conoscenza di questi punti deboli da aggiustare, il Partito Democratico decise di mantenere il testo invariato, premendo sull’acceleratore e facendo schiantare il Ddl Zan in Senato, per poi gridare all’assassinio dei diritti. Ma è stato proprio il partito di Zan a correre contro un muro, probabilmente mettendoci anche una manina, visto che nel conteggio finale, ai voti del centrodestra si aggiunsero una ventina di franchi tiratori.

Oggi Zan sembra aver dimenticato tutto, forse perché deve tutelare la candidatura in Veneto in quello stesso partito. Ma scomodare le pagine più nere della Storia per raggiungere l’obiettivo, non è un diritto, e nemmeno un crimine: è semplicemente l’ultima spiaggia della campagna elettorale.

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Federico Novella