Marcello Pittella
Marcello Pittella, ex governatore lucano (Getty Images).
Politica

Pittella: «Chi mi ha scaricato dovrebbe chiedermi scusa. In pubblico»

Intervista esclusiva all’ex governatore lucano. A tre anni e mezzo dall’arresto, cadono le accuse a suo carico. Assolto con formula ampia (perchè il fatto non costituisce reato) dal collegio di Matera.

Alla guida della Regione Basilicata dal novembre del 2013, Marcello Pittella era stato arrestato e posto ai domiciliari la mattina del 6 luglio 2018 all’esito dell’operazione Suggello condotta dalla Guardia di Finanza di Matera e coordinata dal procuratore capo Pietro Argentino. Le gravi accuse di falso e abuso d’ufficio, quale dominus della macchina sanitaria regionale, lo vedevano coinvolto insieme ad altre 29 persone, alcuni dei quali condannati: manager, dirigenti e imprenditori legati a vario titolo all’ambiente politico, amministrativo e sanitario regionale. All’epoca il Gip del Tribunale della Città dei sassi, Angela Rosa Nettis, aveva emesso 30 ordinanze cautelari, delle quali la più pesante dal punto di vista degli effetti politici, notificata proprio al presidente in carica: «È Pittella» scrisse, «che influenza le scelte gestionali delle aziende sanitarie e ospedaliere interfacciandosi con i direttori generali che sono stati nominati con validità triennale dalla sua giunta».

A poche ore dalla sua assoluzione con formula piena, dalla casa di Lauria, nel potentino, Marcello Pittella si è concesso a Panorama.it. «Sono stato trattato quasi come un appestato, nell’ombra e nel silenzio, dovendo partecipare al dibattimento e dovendo necessariamente mantenere un comportamento processuale consono» dice. «Non era stato solo il politico-Pittella a finire sul banco degli indagati prima e imputati dopo, ma il cittadino-Pittella, un padre letteralmente sbattuto, come un mostro a occupare le prime pagine per settimane». Provato anche da due gravi complicazioni sanitarie, Marcello Pittella rilascia quest'intervista esclusiva anche per continuare a denunciare la sua innocenza e la stortura di un sistema capace di stritolare anche le tempre più resistenti.

L’immagine di commozione appena ascoltata la lettura del dispositivo parla da sola.

«Ero in totale apnea nel momento in cui il presidente del collegio giudicante, Gaetano Catalani, stava leggendo il dispositivo. Prima la norma del codice di procedura penale, il 530 secondo comma, per l’esattezza, poi la formula ampiamente liberatoria “perché il fatto non costituisce reato”, mi hanno restituito dignità come politico e come cittadino, dopo i mesi passati nel tritacarne mediatico-giudiziario dal quel 6 luglio del 2018, data del mio arresto».

Liberazione come cittadino e come politico.

«Non ero assolutamente lucido: sono scoppiato in lacrime perché quelle parole assolutorie sono giunte dopo mesi nei quali avevo avvertito il procedimento ed il successivo processo come una profonda ingiustizia che mi aveva colpito, relegandomi all’ossequioso silenzio, visto che era in ballo un dibattimento che mi obbligava a mantenere un comportamento processuale consono. Ho vissuto una puntuale recisione della mia personalità: il Pittella politico sul banco degli imputati, e il Pittella cittadino, un padre letteralmente sbattuto come un mostro ad occupare le prime pagine per giorni».

La prima cosa che vorrà fare?

«Una cosa molto semplice che da mesi avevo programmato: camminare per strada, entrare nei locali pubblici, senza sentire più le persone bisbigliare tra loro, e io a trasformarmi nell’imputato senza possibilità di sconti, nel colpevole ad ogni costo, nel politico sul quale tutte le responsabilità del tracollo politico-sanitario della Basilicata erano state cucite addosso non soltanto dagli inquirenti, quanto da avversari politici, da ex compagni di cordata, dai nemici di famiglia di mezzo secolo».

Già, la famiglia Pittella... Non potrà negare che il suo cognome richiami alla mente una presenza quasi asfissiante in Basilicata. E non solo.

«Pittella è un cognome assolutamente scomodo, lo so bene. La mia famiglia, partendo dal mio compianto padre Domenico, per tutti “Don Mimì”, figura di medico ante litteram, calca le scene politiche dal 1971, ed è del tutto naturale essersi attirati addosso invidie, cattiverie, sospetti di ogni sorta, voci incontrollate. Ci sta, è il gioco dell’agone politico, con cui convivo praticamente da ragazzino. Al contempo, questa longevità pubblica è stata supportata da un consenso popolare sempre costante, altrimenti non sarei qui a dialogare con Panorama».

Sarà pure così, ma c’è sempre la vecchia teoria del familismo amorale, un must nella narrazione politica lucana. E non mi faccia scomodare Edward Banfield e la Scuola di Chicago.

«Se abbiamo resistito negli anni ad intemperie di varia natura è perché abbiamo costruito un rapporto solido con la gente, con gli elettori, dimostrando di “saper fare politica”, come si usa dire da queste parti. Ed è ovvio che il cognome Pittella, sulla scena da oltre mezzo secolo, sia percepito, ancora, come presenza rassicurante e ingombrante al tempo stesso, una costante nello scenario continuamente cangiante della politica».

Dottor Pittella, la provoco: a leggere ancora oggi gli stralci dell’ordinanza del Gip che l’aveva tratta in arresto - lei definito come il “deus ex machina” della sanità lucana - le parole diventano pietre. E le cito un certo Carlo Levi…

«La lettura è stata distorta ed estremizzata. Un presidente di regione sa bene che la sanità costituisce il 60% del bilancio regionale: può non occuparsi di questo settore? Non credo. Un presidente di regione può svolgerla in più modi e mi spiego: sono, da sempre, uomo di società, di popolo che ha scelto di vivere tra la gente, e non certo barricato nel palazzo di famiglia (la splendida residenza storica di Via Rocco Scotellaro, a Lauria, nda). Ogni qual volta c’era da rispondere al grido di dolore del cittadino, io, la mia famiglia e quel palazzo era sempre aperti».

Su questo conveniamo, soprattutto per l’ambiente geopolitico meridionale. Ma le accuse mossegli erano da rimanere allibiti…

«A provocazione rispondo parimenti: la raccomandazione non è reato, falsificare gli atti lo è, circostanza questa da me sempre respinta. Non mi si poteva incolpare di aver partecipato a tali reati, ovvero un concorso morale sul falso materiale, anche perché non è stato provato il dolo, l’elemento soggettivo del reato, per intenderci, tramite cui io avessi istigato il funzionario regionale addetto alle procedure concorsuali a falsarle. Questo passaggio non si è evinto da nessuna delle 500 pagine del fascicolo d’accusa e da nessun interrogatorio».

La sua difesa ha insistito sul classico teorema accusatorio.

«Esatto: Pittella è il titolare del dipartimento della sanità -circostanza in realtà non vera-.Pittella si occupava della sanità come presidente ed assieme all’assessore al ramo coordinava i processi di cambiamento e di riforma. Da questo a sostenere che il solo fatto che il presidente dominasse la scena regionale sanitaria e, dunque, comandasse come collettore delle raccomandazioni, beh la prospettiva cambia».

Lo ha urlato al Collegio giudicante.

«A domanda del presidente, ho risposto positivamente sulla circostanza di aver raccomandato: sfido chiunque ad affermare il contrario. Quando poi mi è stato chiesto se avessi avvicinato e contattato il dirigente del dipartimento alla sanità, per imporgli di intervenire sugli elaborati concorsuali, di falsificare i risultati, allora la mia risposta, urlata, ieri come in quest’istante, è assolutamente no! Il mio arresto è stato l’esito di un castello indiziario, smontato facilmente in dibattimento».

Quella misura l’avverte ancora eccessiva.

«Come statuì, successivamente, la Suprema Corte di Cassazione accogliendo i rilievi sull’istanza difensiva firmata dai miei due difensori, Franco Coppi e Donatello Cimadomo: e infatti, nella sua reprimenda, il Collegio supremo evidenziò il quadro puramente indiziario, che non avrebbe potuto sostenere la privazione della libertà».

Passando al quadro politico, si è sempre sostenuto che la storica vittoria del centrodestra alle regionali del marzo del 2019, fosse stata facilitata dalla sua uscita di scena.

«Il vento del cambiamento soffiava teso in favore di M5S e Lega, noi ci presentammo come centrodestra per rivincere le elezioni: è chiaro che nel giorno del mio arresto lo scenario subì un’accelerazione insperata. Uno tsunami non assolutamente preventivato e da cui impossibile difendersi con le armi spuntate».

Nonostante tutto, ebbe il coraggio di ricandidarsi come consigliere nella lista Avanti Basilicata, ancora più a sinistra del Pd…

«E ricorda il risultato? Primo consigliere regionale eletto, con 8.803 preferenze, tra tutti i candidati ai blocchi di partenza».

Cosa farà da grande Marcello Pittella?

«Innanzitutto recuperare due S, serenità e salute. Poi non ammainerò le antenne del mio radar politico: è il tratto distintivo della mia famiglia, come anticipato. Non vivo per me stesso, sono un medico specializzato in urologia, titolare di uno studio da sempre all’avanguardia, insieme ad altri specialisti e accademici».

Ultima provocazione. Il Partito democratico che fine ha fatto?

«Busserò alla sua porta soprattutto per verificare la possibilità di far recuperare quello spirito collaborativo in favore di chi ha palesemente subito un’ingiustizia. Una parte mi scaricò platealmente ed oggi è tempo del redde rationem. La politica ha bisogno di correttezza: il Partito democratico dovrebbe porsi un problema di agibilità interna. Gli porrò il tema».

Qualcuno si è fatto sentire in queste ore?

«Molti, anche dal centrodestra regionale e nazionale. La mia parte sembra ancora latitare, in molti nomi apicali».

Incuriosisce la S salute.

«Ai problemi cardiaci di qualche anno addietro, riaffiorati, evidentemente, si è aggiunto un severo problema oncologico, superato dopo un anno di cure dolorose».

Sarà salito in qualche centro di eccellenza del Nord…

«Mi aspettavo la domanda. Assolutamente no: il buon Dio ha guidato la mano dei sanitari del reparto di ematologia del San Carlo di Potenza, intanto destinato a supportare, come Policlinico universitario, la neonata facoltà di medicina. Il trapianto autologo è perfettamente riuscito: il midollo funziona bene».

Ecco il suo essere politico organico al territorio.

«Bella chiosa».




La vicenda politico-giudiziaria

La vicenda aveva suscitato ampio clamore negli ambienti politici anche nazionali, nei quali la famiglia Pittella rappresentano una presenza costante dal 1971: il fratello Gianni, medico legale, già presidente della delegazione italiana dei Ds dell’emiciclo di Strasburgo e vicepresidente vicario del Parlamento europeo, è attualmente senatore in carica nel sentro-sinistra e sindaco della città di Lauria, nell’area sud-occidentale della Basilicata. Prima dell’arresto, lo stesso governatore aveva già manifestato l’intenzione di ricandidarsi alla guida della giunta regionale, e in questa sfumatura venne letta l’ordinanza della Gip Nettis, evidenziando come «essendo quantomai attuale e concreto il pericolo di reiterazione dei reati, ciò fa ritenere che continuerà a garantire favori e imporre placet ai suoi accoliti pur di consolidare il suo bacino clientelare, potendo contare su appoggi locali, in uno scambio di utilità vicendevoli». In una delle numerose intercettazioni depositate dalla Procura, tra l’altro Pittella venne captato nel dichiarare che «Dobbiamo accontentare tutti», circostanza che per gli inquirenti provava come il governatore fosse impegnato a gestire nomine e pubblici concorsi in maniera poco limpida. Pittella era rimasto circa 80 giorni agli arresti domiciliari nella sua residenza di Lauria, in provincia di Potenza, sostituita il successivo 24 settembre da un divieto di dimora nella città capoluogo, misura, quest’ultima, che non gli aveva consentito di esercitare le funzioni di capo della giunta regionale. Dal 26 novembre Pittella non aveva più esigenze cautelari a suo carico, dopo che la Quinta sezione penale della Cassazione aveva accolto il ricorso presentato dai suoi difensori Franco Coppi e Donatello Cimadomo: a fine dicembre, poi, il Tribunale del Riesame della città capoluogo, era stato investito della questione dopo che la Corte di Cassazione aveva mostrato rilievi sull’istanza difensiva firmata dai due difensori. Intanto Pittella aveva continuato a subire il divieto di dimora nel capoluogo e la sospensione dall’incarico per effetto della Legge Severino. Il successivo 11 gennaio anche il Gip di Matera, competente per territorio nell’inchiesta, si era espresso sulla permanenza del divieto di dimora del governatore, lasciando di fatto la Regione senza una guida politica. Qualche giorno dopo proprio lo stesso governatore aveva rassegnato le dimissioni da presidente della giunta regionale, formalizzate nelle mani del presidente del Consiglio Vito Santarsiero: quest’ultimo dichiarò di «aver ricevuto una comunicazione a firma dell’ormai ex presidente nella quale a seguito del decreto di indizione delle nuove elezioni fissate per il 24 marzo 2019, ritenuto esaurito il mandato ricevuto dagli elettori», e Pittella presentava «le sue irrevocabili dimissioni dalla carica di presidente della giunta regionale». Seguirono giorni convulsi, anche perchè Pittella aveva manifestato al suo entourage la volontà di candidarsi per un secondo mandato, mentre nei mesi addietro si era orientato a lasciare la vita politica regionale. Invece arrivò a candidarsi come consigliere a sostegno del candidato presidente del centro-sinistra, il farmacista potentino Carlo Trerotola, nella lista Avanti Basilicata, risultando eletto con il maggior numero di voti (8.803). A settembre il pm Salvatore Colella, aveva chiesto, per lui, la condanna a 3 anni di reclusione. Il 22 dicembre il collegio giudicante materano, presieduto da Gaetano Catalani, l’ha assolto con formula ampia, provato da mesi di gogna mediatica, da problemi di salute -da ultimo un tumore in fase risolutiva- e da un processo defatigante.

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Egidio Lorito