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Chi vuole la testa di Ignazio Visco e perché

A volere la "sfiducia" il Pd di Matteo Renzi. Dietro, il mancato salvataggio di Banca Etruria e la partita MPS. Una mossa elettorale, populista e sbagliata

Chi vuole la testa di Ignazio Visco e perché? A prima vista la risposta sembra chiara. L’attacco è partito da Matteo Renzi e l’ha condotto in gran segreto il fido Ettore Rosato, quello del Rosatellum. Il capo del governo Paolo Gentiloni sembra fosse all’oscuro di tutto. Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan ha cercato di disinnescare la mina senza riuscirci. Così è toccato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella scendere in campo per bloccare la manovra.

Martedì 17 ottobre è stata una giornata campale nel lungo assedio alla Banca d’Italia. Montecitorio contro palazzo Koch, il Quirinale contro Montecitorio e, di fatto, anche palazzo Chigi, l’intera toponomastica del potere romano è stata sconvolta. Riassumiamo i fatti.

Cosa è successo

“Confermino pure Visco, ma sia chiaro che noi non ci stiamo”: con queste parole ai fedelissimi, pronunciate prima di partire per il tour elettorale, Renzi ha dato il via libera all’operazione. Fino al giorno prima, lunedì 16, sembrava che la strada fosse spianata e a via Nazionale sono rimasti ragionevolmente tranquilli anche quando il consiglio dei ministri, approvata la finanziaria, non ha incluso tra le varie ed eventuali la nomina del governatore.

Gli unici a mettere i bastoni tra le ruote ormai erano i grillini che avevano una mozione alla Camera destinata ad essere bocciata. Forza Italia si era tenuta fuori, anche la Lega, pur in disaccordo, aveva scelto di non aderire né sabotare. Finché nel primo pomeriggio di martedì non scoppia la bomba. Il Partito democratico presenta una mozione che suona come una chiara censura a Visco, chiedendo al governo di individuare “la figura più idonea a garantire nuova fiducia nell’istituto”.  La formulazione è forte, “nuova fiducia” significa sfiducia nei confronti del governatore.

Ma la cosa ancor più sorprendente è che il governo non ostacola la mozione, la ritiene ammissibile, anche se il ministero dell’economia incarica il sottosegretario Pier Paolo Baretta di smussare gli angoli, facendo cadere la frase che di fatto getta sulle spalle della vigilanza, cioè di Bankitalia, la responsabilità delle crisi bancarie e i costi pagati dai risparmiatori e dai contribuenti.

Le crisi bancarie “avrebbero potuto essere mitigate nei loro effetti da una più incisiva e tempestiva attività di prevenzione e gestione”, così stava scritto gettando la responsabilità su una inefficace azione della vigilanza che “ha costretto il governo e il Parlamento ad approvare interventi straordinari”.

Dopo un tira e molla con la prima firmataria, Silvia Fregolent, passa una versione ammorbidita, anche se il testo successivo continua a essere molto critico: “L’efficacia dell'azione di vigilanza della Banca d'Italia è stata, in questi ultimi anni, messa in dubbio dall'emergere di ripetute e rilevanti situazioni di crisi o di dissesto di banche, sulle cui ragioni si pronunceranno gli organi competenti, ivi compresa la Commissione di inchiesta”.

La crisi istituzionale e il ruolo di Mattarella

Gentiloni non sapeva niente? Secondo alcuni ha chiuso gli occhi, ha lasciato fare, non si è opposto perché ha capito da dove veniva l’attacco, cioè direttamente da Renzi. Non è chiaro, tuttavia scoppia una vera e propria crisi istituzionale perché entra in scena il Quirinale. Mattarella al quale spetta l’ultima parola nella nomina (la proposta è del presidente del Consiglio approvata dal consiglio dei ministri sentito il consiglio superiore della Banca d’Italia, ma il decreto è presidenziale) aveva ottenuto senza alcuna difficoltà il via libera di Gentiloni e presumibilmente del governo alla conferma di Visco, non solo per stima nei confronti del governatore, ma per difendere l’istituzione, la sua autonomia e indipendenza. Invece, si trova improvvisamente isolato.

La mozione viene approvata alla Camera con larga maggioranza. Per la prima volta il capo della banca centrale viene sfiduciato dal parlamento. Anche questa mossa, sia pur legittima, viene letta come una intromissione della politica. Preoccupato delle reazioni dei mercati e dell’immagine di confusione e conflittualità permanente che l’Italia getta di nuovo in pasto agli speculatori, Mattarella decide di intervenire chiamando la Reuters, l’agenzia di stampa che muove i mercati, affidandole una nota che suona appoggio chiaro a Visco, senza se e senza ma.

Il Quirinale, infatti, “esprime l’avviso che le prese di posizione riguardanti la Banca d’Italia debbano essere ispirate a esclusivi criteri di salvaguardia dell’autonomia e indipendenza dell’Istituto nell’interesse della situazione economica del nostro Paese e della tutela del risparmio degli italiani e che a questi principi debba attenersi l’azione di tutti gli organi della Repubblica, ciascuno nel rispetto del proprio ruolo”. La chiave è nella frase finale: il proprio ruolo significa che a decidere in ultima istanza sarà proprio Mattarella.

Le motivazioni dell'attacco del PD

Nelle stanze di via Nazionale dove Visco organizza la difesa si tira un sospiro di sollievo, anche se la partita è ancora aperta. La sfiducia c’è e resta. Un secondo mandato in queste condizioni non vuol dire esporre la banca a un continuo fuoco incrociato con le batterie del Pd che s’aggiungono ai cannoncini dei Cinque Stelle e alle bordate della Lega. E cosa farà Forza Italia ora che arriva la campagna elettorale?

Le elezioni sono una delle chiavi per interpretare la mossa del Pd. Ma non solo. Ci sono gli incroci pericolosi nei quali si sono trovati i vertici del partito e in particolare il “giglio magico”. Sanguina la ferita della Banca dell’Etruria e il coinvolgimento del padre di Maria Elena Boschi. Brucia che Visco non abbia salvato la banca e abbia lasciato che fallisse. Ma, attenzione, i coinvolgimenti più o meno indiretti del mondo piddino sono anche più ampi e attraversano tutte le correnti, basti pensare a Monte dei Paschi di Siena e al suo legame incestuoso con il comune di Siena e con le forze politiche da sempre dominanti, quelle che dal Partito comunista arrivano al Partito democratico.

Perché è importante

La miglior difesa è l’attacco? Allora, all’attacco della banca centrale, della vigilanza che non ha vigilato, in nome dei risparmiatori traditi, prendendo a prestito linguaggio e contenuti della campagna populista. Non è la prima volta che Renzi sceglie di sfilare le stesse armi dalla fondina di Beppe Grillo, ma questa volta l’operazione rischia di essere perdente soprattutto perché le opposizioni avranno terreno facile per dimostrare che la messa in mora di Visco è una mossa strumentale per difendere i vertici del Pd.

Non solo. Renzi gioca con il fuoco. È vero che la congiuntura è migliorata, ma l’Italia ha un debito pubblico enorme che deve essere venduto sul mercato e non solo alle banche italiane che sono già ingolfate e debbono ridurre la loro esposizione. Se si diffonde di nuovo la convinzione che l’Italia resta inaffidabile per colpa dei suoi politici, che succederà? Il Pd rischia di innescare una nuova guerra degli spread e in questo caso l’esito elettorale non potrà essere descritto che con un aggettivo: catastrofico. E non solo per un partito, ma per il paese.

Intendiamoci, è più che legittimo mettere in discussione l’operato della vigilanza, ma un’analisi oggettiva delle crisi mostra che gli ispettori della Banca d’Italia hanno fatto il loro dovere e tuttavia per troppo tempo si è cercato di lavare i panni sporchi in famiglia, nel tentativo di non creare effetti dirompenti su un sistema creditizio già piegato dalla lunga recessione. Anche se bisogna ricordare che fu la banca centrale nel 2011 a far cambiare i vertice del Montepaschi. Forse si poteva procedere prima e con maggior determinazione anche per le quattro banchette del Centro Italia o per le due venete (la Popolare di Vicenza e la Veneto Banca). Ed è più che legittimo che il governo decida di cambiare il governatore. Ma, come diceva il sommo fiorentino, “il modo ancor m’offende”. E la forma in politica diventa subito sostanza.

Circola anche una interpretazione machiavellica, anche se generosa nei confronti del Pd: Renzi avrebbe fatto da ariete, rischiando anche di pagare un prezzo nell’immediato, ma in fondo avrebbe tolto le castagne dal fuoco depotenziando la campagna grillina e in generale populista. Vedremo.

La partita può concludersi con la conferma di Visco o con una soluzione diversa, ma nel segno del cambiamento nella continuità, per esempio con la scelta del direttore generale Salvatore Rossi. In questo caso, il Quirinale eviterebbe un trauma, il Pd otterrebbe qualcosa, Fort Koch rimarrebbe inviolato. Ma in ogni caso l’assedio lascia una nuova pesante ombra sulla solidità politica e istituzionale del paese. E l’amaro in bocca a chi ha perduto parte dei propri risparmi senza ancora sapere come e perché.  

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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