elezioni
(Ansa)
Politica

D’Alimonte: «Il sistema elettorale non è una bacchetta magica»

Per il politologo della Luiss «non basta una riforma elettorale per assicurare il buon governo, ammesso che i cittadini abbiano un’idea di cosa sia il buon governo»

Divisi anche dai recenti esiti elettorali, «il centro-destra continua a difendere l’attuale sistema elettorale in vista delle elezioni politiche, mentre a tanti del centro-sinistra e soprattutto al Movimento 5Stelle piacerebbe tornare al proporzionale: ma tutto resta com’è».

Considerato uno dei padri dell’Italicum, Roberto D’Alimonte ha risposto alle domande di Panorama.it sulle continue tensioni in tema di legge elettorale: «se non miglioriamo anche i meccanismi di selezione della classe politica, la continua ricerca di nuovi sistemi elettorali serve a ben poco».

Professor D’Alimonte, che dice, non sarebbe il caso di cambiare legge elettorale?
«No. La legge elettorale andrebbe cambiata nel quadro di una riforma costituzionale che preveda la modifica del Senato e quella della forma di governo. E’ ora di mettere fine al balletto delle riforme elettorali fatte prima del voto. Siamo il paese che negli ultimi trenta anni ha cambiato più spesso il sistema elettorale».

Il sistema politico sembra essere paralizzato, forse un nuovo sistema di voto imprimerebbe la spinta agognata.

«No. Il sistema elettorale non è una bacchetta magica. La debolezza dei partiti, la sfiducia dei cittadini nell’attuale classe politica, la frammentazione degli interessi, la volatilità delle opinioni non si possono curare con il sistema elettorale. Il sistema elettorale può solo arginare le spinte alla disgregazione o favorirle».

Partiamo da un dato: tutti la invocano, ma la riforma elettorale non sembra argomento di immediata urgenza.

«Interessa poco ai cittadini. E’ una questione che interessa le élites perché è dal sistema elettorale che dipende la possibilità di essere eletti e eventualmente di governare. E tra le élites c’è chi ritiene la riforma elettorale una questione urgente. Per esempio, recentemente, Luciano Violante su Repubblica si è espresso in questo senso interpretando il pensiero di tanti suoi colleghi giuristi che vedono con favore il ritorno al proporzionale».

Anche perché, ad esempio, il centro-destra sembra gradire l’attuale sistema di voto…

«Lo gradisce perché i sondaggi e le difficoltà del centro-sinistra gli fanno pensare che alle prossime politiche potrà vincere. Nel momento in cui questa percezione dovesse cambiare cambieranno anche le preferenze, in particolare di Lega e Fdi. Le preferenze sono frutto delle convenienze di breve periodo. Non riflettono una visione di quello che è l’interesse del paese».

Un centro-destra diviso…

«Diviso da un tarlo che lo rode da dentro e cioè il fatto che dei tre partiti che lo compongono due sono al governo e uno all’opposizione. Quelli al governo sono in una posizione scomoda, in un momento in cui il malessere per la situazione economica si somma alla disaffezione nei confronti della politica in generale».

Litigioso…

«Fratelli d’Italia sfrutta il suo essere alla opposizione per togliere voti in particolare alla Lega. Cosa che ha fatto con successo da molti mesi a questa parte. Va da sé che questa situazione squilibrata genera tensioni. Ma come ho già detto finchè i sondaggi daranno vincente il centro-destra i tre partiti obtorto collo resteranno uniti.

… e sconfitto.

«Quanto alla sconfitta immagino che lei si riferisca all’esito delle recenti comunali. Indubbiamente il centro-destra non è andato bene ma non ha nemmeno subito un tracollo come invece è stato per il M5s. Certe analisi giornalistiche hanno enfatizzato eccessivamente le sconfitte in alcune città: in ogni caso dalle elezioni comunali non si possono fare estrapolazioni per le politiche, sono due arene completamente diverse».

Anche nel centrosinistra il dibattito è aperto: in realtà cosa vorrebbero scegliere Pd e Movimento 5 Stelle, congelare tutto o cambiare legge?

«Il M5s è da sempre schierato a favore del proporzionale. In Commissione affari costituzionale della Camera giace ancora un progetto a forma dell’on. Brescia e a suo tempo sostenuto anche dal Pd di Zingaretti per reintrodurre il proporzionale con una soglia di sbarramento del 5% che è del tutto illusoria visto che nell’attuale parlamento una soglia del genere non passerebbe mai».

Ma oggi c’è Enrico Letta ai comandi.

«Certo, e il suo Pd ha posizioni più variegate. In tanti vorrebbero il proporzionale ma ci sono anche i fautori di sistemi misti. In ogni caso una riforma elettorale di stampo proporzionale non si può fare contro Salvini e Meloni: soltanto se Salvini cambiasse idea si aprirebbe uno spiraglio. Ma come ho detto sopra, Salvini non cambierà idea fino a quando i sondaggi non diranno che con l’attuale sistema non può vincere».

E il suo Pd è uscito vincitore dall’appuntamento elettorale di metà giugno…

«Come la sconfitta del centro-destra è stata sopravvalutata, così lo è stata anche la vittoria del centro-sinistra. Il Pd è andato meglio delle aspettative ma da qui a concludere che queste elezioni possano aiutarlo a individuare una strategia vincente a livello nazionale ce ne corre. Di queste elezioni si può dire una cosa netta: il M5s è l’unico chiaro sconfitto».

E poi ci siamo noi cittadini che attendiamo da tempo (troppo) un sistema elettorale che ci assicuri stabilità politica…

«Qui torno a una cosa già detta sopra. Alla massa dei cittadini il sistema elettorale non interessa. C’è stato un momento, nel 1993, in cui si sono illusi che andando a votare per un incomprensibile referendum sul sistema elettorale del Senato (il referendum Segni) tutto potesse cambiare. Non è andata così perché non basta una riforma elettorale per assicurare il buon governo, ammesso che i cittadini abbiano una idea di cosa sia il buon governo».

A chi conviene il proporzionale?

«Sono convinto che tutti i partiti oggi preferirebbero il proporzionale per liberarsi del fastidio di doversi presentare davanti agli elettori con delle coalizioni e dei programmi già fatti. Per tutti sarebbe meglio correre per conto proprio senza prendere impegni con gli elettori e dopo aver contato i voti decidere con chi allearsi per fare il governo. Per di più l’attuale sistema elettorale li costringe a scegliere dei candidati comuni da presentare nei collegi. E questa è una operazione faticosa e conflittuale».

Con il proporzionale sarebbe tutto più semplice.

«Ognuno sarebbe libero di fare quello che vuole. Ai partiti interessa la propria sopravvivenza, nessuno si pone dal punto di vista dell’interesse del Paese. Nessuno si chiede quale sia il sistema elettorale che in questa fase storica potrebbe favorire un minimo di governabilità in condizioni particolarmente difficili. Ciò premesso, ho già detto che dato che i sondaggi dicono che con il Rosatellum oggi potrebbe vincere il centro-destra a questo schieramento non conviene il proporzionale».

Qualche mese addietro lei propose un modello misto, come quello di Comuni e Regioni, che combinasse elementi di presidenzialismo e di parlamentarismo. Ce lo spieghi!

«E’ quello che chiamo il “modello italiano di governo”, proprio perché è una nostra peculiarità. A me piace soprattutto nella versione per i comuni sopra i 15.000 abitanti: è stato introdotto nel 1993 con la legge Ciaffi, una delle riforme più efficaci fatte nella stagione di transizione tra Prima e Seconda Repubblica. Ne ricordo gli ingredienti essenziali: elezione diretta del sindaco, sistema elettorale a premio di maggioranza e possibilità per i consigli comunali di sfiduciare il sindaco con automatico ritorno alle urne. Con questa riforma abbiamo fatto il miracolo di stabilizzare i governi dei nostri comuni».

Risultato non da poco…

«Durante la Prima Repubblica i sindaci duravano in carica mediamente poco più di un anno. Adesso, con poche eccezioni, restano in carica cinque anni e alla fine del mandato possono essere giudicati per quello che fanno e per quello che non fanno. Questo meccanismo crea un circuito virtuoso tra elettori ed eletti e favorisce la responsabilizzazione degli uni e degli altri. Così può crescere la fiducia nelle istituzioni».

Tra l’altro il ricorso al ballottaggio impegna tanti elettori a utilizzare una seconda preferenza nella scelta del sindaco.

«E questo incoraggia la propensione al compromesso che è un ingrediente essenziale della democrazia liberale. Naturalmente tutto ciò non basta ad assicurare il buon governo se non miglioriamo anche i meccanismi di selezione della classe politica. Ma alla introduzione del “modello italiano di governo” a livello nazionale si oppone l’argomento che sia troppo rischioso lasciare ai cittadini la scelta diretta del capo del governo. E’ la sindrome della deriva autoritaria. E così tutto resta come è».Molisano di Guglionesi (Cb), classe 1947, laureatosi in Scienze politiche alla Cesare Alfieri di Firenze con Giovanni Sartori e specializzatosi negli Usa ad Harvard e a Berkeley, Roberto D’Alimonte ha insegnato dal 1974 al 2009 nell’ateneo fiorentino prima di approdare alla Luiss di Roma di cui è stato anche direttore del dipartimento di Scienze politiche. Già docente nei prestigiosi atenei statunitensi di Stanford e Yale, ha fondato e diretto fino al 2 il Centro italiano di studi elettorali (CISE) ed attualmente è titolare, presso l’ateneo della Confindustria, dell’insegnamento di Sistema politico italiano, settore di studio in cui concentra la pluridecennale esperienza maturata in tema di sistemi elettorali. Con lo storico Giuseppe Mammarella ha appena pubblicato L’Italia della svolta. 2011-2021 (Il Mulino).

I più letti

avatar-icon

Egidio Lorito