iStock-indagini
CSA Images/Mod Art Collection
News

Pignatone, la gogna e l'indagine "ritardata"

Prescrive ai suoi pm d'iscrivere al registro gli indagati solo in presenza di "elementi indizianti". Ma così, paradossalmente, riduce le garanzie

Sorprende davvero l'ultima mossa del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone sulla “gogna mediatico giudiziaria”.

Alle prese con 350 mila notizie di reato all'anno, lo scorso 2 ottobre Pignatone ha spedito una circolare ai suoi sostituti, nella quale raccomanda grande prudenza nell’avvio stesso delle indagini.

Che cosa sostiene, Pignatone? Che l’iscrizione sul registro degli indagati, come è scritto nel nostro Codice, nasce sì da esigenze di garanzia nei confronti delle persone coinvolte in un procedimento penale, ma che "la condizione d’indagato è connotata da aspetti innegabilmente negativi". E fin qui, com'è ovvio, niente di più vero. 

Pignatone aggiunge che "dall’iscrizione e dai fisiologici atti processuali che ne conseguono (per esempio l'inoltro di un avviso di garanzia, ndr), si dispiegano per la persona indagata effetti pregiudizievoli non indifferenti, sia sotto il profilo professionale sia in termini di reputazione". Anche qui: come negarlo? 

Il procuratore ricorda poi che anche un atto tecnicamente neutro come l'avviso "diventa strumentalmente utilizzabile, dai denuncianti o da altri, per fini diversi da quelli dell’accertamento processuale, specie in contesti di contrapposizione di carattere politico, economico, professionale, sindacale". Vero: è tutto disastrosamente vero.

Per tutto questo, conclude poi Pignatone, nasce "l’esigenza di non procedere a iscrizioni in modo affrettato", anche perché "procedere a iscrizioni non necessarie è tanto inappropriato quanto omettere le iscrizioni dovute". E qui, scusatemi, il garantista inizia a sollevare un sopracciglio.

Il sopracciglio si muove perché il procuratore di Roma, che è un alto e importe magistrato, si dice portato a "escludere che l'iscrizione di un nominativo (al registro degli indagati, ndr) rappresenti un atto dovuto (...)". "Tale errata conclusione" prosegue "è frutto dell'impropria interpretazione dell'articolo 335 del Codice di procedura penale".

Insomma, Pignatone spiega che non possano essere né il privato che fa una denuncia né l'agente di polizia giudiziaria che segnala un reato a decidere se un nome debba essere o meno iscritto nel registro: "Questo potere non può essere che esclusivo del pubblico ministero". E qui il garantista conincia a storcere il naso...

E il naso gira vorticosamente a leggere quel che ne consegue nella circolare, cioè le nuove disposizioni dettate da Pignatone sulle modalità d'iscrizione delle notizie di reato: "All'iscrizione si procederà soltanto allorché sarà supportata da elementi indizianti di carattere specifico (...). Abbandonando pertanto il criterio formale dell'attribuzione del reato, il vaglio (...) dovrà necessariamente muovere da una corretta e attenta individuazione del fatto che sta alla base della notizia di reato".

Quindi dal 2 ottobre, a Roma, non si può più procedere all’immediata e meccanica trasformazione del denunciato in "indagato", ma il pm deve agire esclusivamente in presenza di "elementi indizianti di carattere specifico". Ed è soltanto lui a decidere.

La circolare di Pignatone propone due ordini di problemi (forse tre).

Il primo problema: se soltanto il pubblico ministero può decidere quale sia il momento “giusto” per l’iscrizione al registro degli indagati, magari ritardandola per mesi, per l’indagato cade un'importante garanzia. Perché proprio dalla data di iscrizione scattano termini precisi di tempo per tutti gli atti che l’accusa può e deve compiere.

È evidente che attribuire una totale discrezionalità al pm e permettergli di dilatare i termini di iscrizione di un soggetto nel registro può essere molto svantaggioso per qualsiasi indagato. Non si possono comprimere i diritti della difesa. La strada di regalare ai pm piena discrezionalità sui tempi non pare nemmeno costituzionalmente corretta. 

Il secondo problema: perché Pignatone “scopre” il problema della gogna che scaturisce dall'avviso di garanzia soltanto nell’ottobre 2017?

Non è una domanda peregrina. Perché il garantismo di tanti magistrati arriva soltanto oggi, 25 anni dopo Tangentopoli, quando la strumentalità delle denunce conobbe il suo trionfo? Quando l'avviso di garanzia, ideato come strumento di difesa, si trasformò in condanna preventiva?

E a chi si riferisce, esattamente, il procuratore di Roma quando parla di "contrapposizioni di carattere politico" e contesta le "strumentalizzazioni" delle denunce? Di certo non a Silvio Berlusconi, che pure nel 1994 vide cadere il suo primo governo proprio per un avviso di garanzia contenente un ordine di comparizione, ricevuto dalla Procura di Milano e pubblicato in anteprima sul Corriere della Sera (peraltro in una delle tante inchieste poi finite in nulla...).

La vera questione di base, e il dottor Pignatone lo sa, è un'altra: il vero problema è l'obbligatorietà dell'azione penale, quella finzione scenica che "impone" ai magistrati italiani di dare seguito a ogni notizia di reato. Una finzione, certo. Perché è ormai un'evidenza più che lampante che in tutte le Procure della Repubblica i pm scelgano personalmente i fascicoli sui quali indagare, e quelli da tenere in secondo piano

Se il motivo da cui prende le mosse la circolare di Pignatone è, come pare, la mole crescente delle notizie di reato che ogni anno la Procura di Roma deve vagliare, non pare giusto che si debba risolvere il problema (nella Capitale come altrove) con un nuovo incremento della discrezionalità dei pm.

Si agisca, piuttosto, sull'obbligatorità dell'azione penale. Si stabilisca, per esempio, di demandare alla responsabilità politica del Parlamento, oppure al ruolo tecnico della Procura generale presso la Corte di cassazione, l'individuazione delle categorie di reati sui quali di anno in anno agire di preferenza: la corruzione, i furti d'appartamento, gli stupri, il crimine organizzato...

Quano alla gogna mediatico-giudiziaria, non sarà certo posticipando l'iscrizione al registro degli indagati che la si attenuerà. 

Per saperne di più

I più letti

avatar-icon

Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

Read More