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ANSA/DANIEL DAL ZENNARO
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Papa Francesco a San Vittore: perché è importante

È il Primo Pontefice a varcare la soglia del carcere. Prima di lui solo l'arcivescovo Montini (poi Paolo VI) e il vescovo Carlo Maria Martini

Papa Francesco nel carcere di San Vittore di Milano. Evento storico, una delle tappe più attese che Jorge Mario Bergoglio fa sabato 25 marzo nel corso della sua visita nel capoluogo lombardo, quando sarà il primo Pontefice a varcare come tale la soglia di S. Vittore.

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Per Papa Francesco è il terzo carcere in cui entra da pontefice: la prima volta appena eletto, nel 2013 andò a Casal del Marmo per la celebrazione dell'Ultima Cena (In Coena Domini) del Giovedì Santo e nel 2015 a Rebibbia. Va anche ricordato che spesso e volentieri Bergoglio ha telefonato a reclusi di Buenos Aires, forse sulla scia dei ricordi di quanto aveva fatto quando era arcivescovo della Capitale argentina.

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Ma, non meno significativa è stata la storica la giornata dei detenuti celebrata lo scorso anno nella basilica di S.Pietro alla fine del Giubileo della Misericordia da papa Francesco, il quale ogni volta che incontra reclusi o parla del mondo delle carceri non dimentica mai di ricordare che “è bene chiederci sempre perchè quelli sono caduti e non noi?”. Interrogativo-monito che, probabilmente, non mancherà di essere rilanciato anche a S. Vittore.  

PRIMA DI LUI
Prima di lui tra i detenuti dello storico carcere milanese c'era stato solo l'allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, eletto al Soglio di Pietro il 21 giugno 1963, Paolo VI. Una visita alle stesse carceri milanesi, in seguito, sarà fatta anche, nel primo giorno del suo arrivo a Milano da Carlo Maria Martini.

Il primo pontefice ad andare in mezzo ai reclusi, tuttavia, fu Giovanni XXIII con la visita al carcere romano di Regina Coeli il 26 dicembre 1958, in una delle prime uscite ufficiali dopo l'elezione papale avvenuta due mesi prima, il 28 ottobre. Il predecessore, Pio XII non fece altrettanto in tutto il suo lungo pontificato, ma nel Natale del 1951 inviò un messaggio augurale a tutti i detenuti del mondo. Senza andare troppo indietro nella storia della Chiesa, da ricordare nel 1650 e nel 1704 le visite rispettivamente di Innocenzo X e di Clemente XI ai cantieri delle carceri Nuove di via Giulia e di S.Michele a Porto. Anche Pio IX visitò un carcere, il 26 ottobre 1868, a Civitavecchia nel penitenziario dei detenuti politici.

Nella storia più recente, dopo Giovanni XXIII, a Regina Coeli il 9 aprile 1964 si reca Paolo VI; il 27 dicembre 1983 Giovanni Paolo II va a Rebibbia per incontrare il suo attentatore Alì Agca e poi a Regina Coeli per il Giubileo del 2000. Due le visite carcerarie di Benedetto XVI, il 18 marzo 2007 ai ragazzi di Casal del Marmo e il 18 febbraio 2011 a Rebibbia.

IL TEOLOGO IN CARCERE A S. VITTORE PER “FINTA”
Il carcere di San Vittore è indissolubilmente legato a un suo storico cappellano, don Cesare Curioni, scomparso il 12 gennaio 1996 all'età di 73 anni. Monsignor Curioni (ma i detenuti lo hanno sempre chiamato semplicemente don Cesare), ha lasciato una traccia indelebile non solo a S.Vittore, ma in tutta la popolazione carceraria che ha avuto la fortuna di conoscerlo da vicino. Il suo tratto umano e paterno – con l'immancabile sigaro - ha fatto sempre breccia in quanti erano costretti a vivere dietro le sbarre. E da ultimo fu anche il tramite di Paolo VI nel tentativo di trovare uno spiraglio per la liberazione di Aldo Moro rapito dalle Br il 16 marzo 1978 e ucciso il successivo 9 maggio.

"Don Cesare, grande figura, prete esemplare e cappellano che ha speso tutta la sua vita per stare vicino ai carcerati. È giusto ricordarlo proprio in occasione della visita di papa Francesco a S.Vittore, il carcere che lui ha servito come un padre appassionato e sincero, ricevendo sempre affetto e filiale rispetto”, ricorda uno dei suoi più grandi amici, Gianni Gennari, teologo, ex docente alla Pontificia Università Lateranense, da anni editorialista e firma del quotidiano cattolico Avvenire, dove cura la seguitissima rubrica “Lupus in pagina”, in cui analizza l'informazione religiosa veicolata sulla stampa nazionale ed internazionale.  

Ma tra Gennari e Curioni, oltre ad una profonda amicizia durata tutta la vita, c'è stato anche un fitto rapporto fatto di complicità pastorale. E su questo aspetto c'è un aneddoto che il teologo ha tenuto sempre per sé, non privo di una simpatica curiosità: il finto arresto e la finta incarcerazione a San Vittore per Gianni Gennari deciso da don Cesare con l'autorizzazione della direzione del carcere. “Fu un escamotage – racconta il teologo – messo a punto per farmi trascorrere un po' di giorni a stretto contatto con i carcerati”.

Ecco come oggi il teologo ne parla per la prima volta. “Era verso la metà degli anni settanta ed ero stato invitato da don Cesare a tenere una serie di incontri nella sezione femminile di S. Vittore; ma sulle prime, pur lusingato dall'invito, ebbi qualche perplessità dovute al fatto”, ricorda Gennari, “che non mi sentivo di parlare a persone ferite dalla vita e costrette a vivere dentro celle anguste e private della libertà. Come avrei potuto parlare loro senza conoscere almeno un po' della loro quotidianità di recluse?”.

Il dubbio fu prontamente risolto da don Curioni che si attivò – con il placet della direzione del carcere – per far “arrestare” il teologo, sotto falso nome, in una cella insieme ad altri detenuti, dopo essere stato sottoposto alla classica trafila prevista per l'entrata in carcere di persone arrestate con la consegna di tutti gli effetti personali, i vestiti, documenti, soldi. “Fu per me una esperienza molto importante – racconta – appena arrivai i 'colleghi' detenuti mi chiesero perchè ero lì. Io raccontai di essere stato incastrato dall'emissione di alcuni assegni scoperti, ma che me la sarei cavata in pochi giorni”. Ed infatti Gennari lasciò la cella dopo tre giorni, per recarsi nella sezione femminile di S. Vittore dove tenne alcuni incontri seguitissimi dalle detenute. “Grazie anche all'esperienza fatta in quei tre giorni di prigionia durante i quali ebbi modo di condividere quanto sia dura e triste la vita dietro le sbarre, ma dove è possibile cogliere anche il senso di tanta umanità che alberga anche nei reclusi apparentemente più provati”.

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Orazio La Rocca