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ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Paola Taverna (M5S): "Con la Lega ed il contratto di Governo abbiamo fatto bingo"

Intervista con la "pasionaria" del Movimento 5 Stelle che parla del suo rapporto con la Raggi e dei suoi sondaggi per le Europee

S

enatrice, che sta scrivendo?

Schemi per memorizzare. Mi sto laureando in Scienze politiche.

Mentre fa la vicepresidente del Senato e la madre?

Sì, una fatica! Indirizzo amministrativo pubblico.

E la tesi?

Sul reddito di cittadinanza e sul salario minimo. Purtroppo è già scritta.

Non è felice?

(Ride). Sì, ma sono in conflitto di interessi. Se approviamo il salario, da parlamentare festeggio, ma da studente devo rimettere mano al testo!

Cosa le manca?

Due esami: sto preparando economia aziendale.

Che media ha?

Il 28. Anzi, il 27,67: me so’ allargata un po’.

Io vedo solo dei 30.

Ho preso un 23 a istituzioni di diritto pubblico, quanto ho rosicato!

Come mai?

Non ho risposto bene, e avevo rifiutato il voto. Poi ho pensato: «No Paola, tu devi andare avanti, non te lo puoi permettere».

E il professore?

Mi ha detto: «Sa che non l’avevo riconosciuta?».

E questo corso di studi è servito?

Mi ha cambiato moltissimo.

Per esempio?

L’esame di Diritto europeo. Studiando capisci che c’era una grande architettura, in parte snaturata. Ho corretto molte opinioni estremistiche.

Roma, periferia estrema, oltre Torre Maura. Intervisto Paola Taverna nella sua casetta a un passo dal raccordo anulare. Tre stanze, 50 metri quadri: il tavolo basso Foppa Pedretti diventa piano da lavoro. Lei mi fa vedere dalla finestra i pratoni verdi, che si allargano dietro le case popolari: «Vede? L’ho presa per questo scorcio di panorama, è bellissimo. Questo è il mio territorio».

Le piace la periferia?

Sono cresciuta qui. Sono felice di vivere dove mi conoscono, con 30 «secchioni» della spazzatura sotto la finestra.

Ora addirittura le piace «il secchione»!

È il mio termometro. Se c’è un ritardo dell’Ama protestano tutti con me. È il mio istituto di sondaggio privato. Quante discussioni!

Tutti quelli che non vi votano più li trova al cassonetto?

Proprio perché sto qui glielo dico: noi alle Europee non andremo male.

E quando l’attaccano duramente?

(Sorriso). C’è il colpo proibito: «Aho’ ma tu la differenziata la fai? Fammi vede’ nel tuo sacchetto!». Si calmano subito.

È sicura dei suoi sondaggi?

C’è attesa e qualche dubbio sul Municipio, questo sì.

Sulla sua nemica storica, la Raggi.

Ma quale nemica! Io Virginia la stimo. Le riconosco due grandi doti, coraggio e tenacia. Arriveranno i risultati.

Ma lei non era ipercritica con lei?

Ero nel mini-direttorio ed esprimemmo i nostri dubbi sulla scelta di Marra. Erano fondati. Ma se governi, puoi sbagliare. Alla distanza la coerenza paga.

Da che famiglia viene senatrice?

Mio padre faceva il tappezziere per le auto. Era sardo, nato nel 1929. Emigrato a Roma subito dopo la guerra.

E sua madre?

Ha fatto la casalinga. I miei si sono conosciuti qui. Una storia d’amore di altri tempi, semplice e bella: lui è stato l’unico uomo della sua vita.

Il lutto vi colpisce presto.

Quando papà muore avevo 17 anni. L’unica fortuna, in questa tragedia, è che lui per un puro caso, aveva acquistato l’officina dove lavorava.

Per «caso»?

I muri erano di proprietà di una famiglia nobile, i Rocca di Gallogiovine, che l’avevano messa in vendita a una cifra spropositata mentre lui ci lavorava.

E invece?

Tutti quelli che venivano a vederla dicevano: «Ma qui c’è un artigiano. Quello non se ne andrà!». Il prezzo a ogni visita si abbassava. Un giorno è diventato così basso che mio padre ha detto: «Ma allora me la compro io!».

L’anno dopo il rogito, nel 1986, è morto. Abbiamo affittato il locale un milione al mese, e abbiamo vissuto con quello più i 480 euro, oggi, della sua pensione di reversibilità da artigiano. Poi abbiamo venduto anche l’officina.

A quanto?

Più di 100 mila euro. Grazie a quei soldi  mi sono comprata questa casa. È costata 165 mila euro. Per la differenza ho pagato 310 euro al mese di mutuo.

Ma perché hanno cacciato sua madre dalla casa popolare del Quarticciolo?

(Sospiro, sguardo di fuoco). Non ne ho idea. Sono incazzata nera.

Sembrava che aveste molte proprietà.

Una vicenda incredibile. Mia madre che ha 81 anni e ha vissuto una vita in quella casa, nel lotto popolare, al terzo piano senza ascensore: 50 metri quadri.

Aveva un altro appartamento al mare?

Possiede solo una casetta a Olbia, ereditata da mio padre. Non ci ha mai vissuto.

E ha dovuto perdere il diritto alla casa per questo?

Appunto, secondo me no. Ma ci siamo comportati come normali cittadini.

Cioè?

Non ho chiamato nessuno, non ho cercato Virginia Raggi, né un assessore, né il presidente dell’Aler: nessuno.

E cosa avete fatto?

Abbiamo preso un avvocato e fatto ricorso contro lo sfratto.

Pensa che ci sia stato accanimento contro di lei?

Non mi spiego questo improvviso zelo

verso una donna che abita lì dal 1968!

Risultato?

Ci hanno contestato un passaggio di residenza ritardato, il mio, e quella casa in Sardegna dove mia madre non abita. Alla fine l’hanno cacciata. Il bello è che quell’appartamento è ancora sfitto.

E dove è finita su madre?

(Sorriso). E dove è finita? Qui...

Dove!?

In questa casa, dove vivo con mio figlio.

Dove ci sono solo due stanze e il salotto!

Per ora dorme in cameretta con me. Poi troverò una soluzione.

Da non credere. Torniamo alla sua storia. Che scuola ha fatto?

Un istituto tecnico.

Indirizzo?

Perito aziendale e corrispondente in lingue estere. La fortuna della mia vita.

Come mai?

C’erano due materie-chiave: stenografia e dattilografia, in cui andavo bene. Grazie a quelle ho trovato subito lavoro.

Dove?

In un’azienda di arti grafiche: segretaria.

E poi?

Un giorno l’impaginatore «scazza» con il titolare e se ne va. Il principale, che non sapeva come sostituirlo, mi dice: «Chi metto al suo posto?».

Chi?

(Sorriso). Io! Mi propongo. E così mi scopro adatta al ruolo. Divento grafica editoriale e dopo pochi mesi impaginavo riviste e manifesti. Poi, purtroppo, mi sono sposata.

Dice «purtroppo» perché poi vi siete divorziati?

Nooo... ho ancora un ottimo rapporto con mio marito. «Purtroppo» perché decidiamo che non possiamo crescere un figlio con due stipendi precari.

E quindi?

Lascio il mio lavoro e cerco un posto da dipendente. E lo trovo in un ambulatorio di analisi. È stata una grande esperienza umana.

E il primo voto a chi lo ha dato?

Non sono andata a votare.

Il secondo?

(Sospiro). Una cosa terribile.

Cioè?

Ero giovane, ingenua. Penso di averlo dato al Pds. E un voto persino...

A chi?

(Sgrana gli occhi). A Veltroni! Ma si rende conto? Voglio rimuovere.

Lei era di sinistra?

Allora. Mio padre era un uomo di destra. Molto testardo e orgoglioso, votava Msi. Ma mia sorella, dieci anni più grande di me, era cresciuta nel movimento del 1977, ed era mooolto di sinistra.

E questo cosa comportava?

(Risata). Un duello continuo! Un giorno lei ascoltava gli Inti Illimani, lui arrivò e scoppiò un litigio furibondo. Sui valori...

Del tipo?

Papà alla fine diceva: «Ma quale libertà? Libertà di che? Ma che libero amore!?». E poi, rivolto a mia madre: «Questi non vanno da nessuna parte!». Urlando.

Addirittura.

Ci ha amato come solo un padre può con due figlie femmine, ma era molto duro. Era un uomo della destra sociale: popolare e conservatore.

E suo figlio oggi che idee ha?

(Sospiro). Adolescente...

Non vota Cinque stelle?

(Altro sospiro). È un po’ più a destra...

Eppure non ha conosciuto il nonno!

No, no. Ha fatto tutto da solo. È contro l’aborto, contro il divorzio, vuole sposarsi....

Chiaro. È salviniano, tendenza Family day.

Salviniano no, non glielo concedo. Diciamo che in questo momento è un conservatore. Forse cerca quel che non ha avuto.

La famiglia?

È figlio di una madre divorziata, che magari con lui litiga. Ma che rispetta la sua libertà di opinione. È uno da liceo classico, uno smanettone! Che devo di’?

Torniamo all’ambulatorio.

Lì ho visto qualsiasi cosa. Per questo sto’ in fissa con la sanità pubblica.

La sofferenza, la malattia?

Si fanno esami per sopravvivere. E - purtroppo - talvolta per morire. Ho conosciuto le persone nei loro momenti di necessità, quando i soldi fanno la differenza tra la vita e la morte.

Mi racconta una di queste storie?

Ricordo la signora Stefania venuta meno dall’oggi al domani per un tumore fulminante allo stomaco.

Terribile.

La chemio, i capelli che le cadevano: «Paola, non posso più mettere lo smalto perché nemmeno le unghie tengono più». La settimana dopo non c’era più.

E l’incontro con Beppe Grillo?

Nasce anche da questa rabbia, per i diritti negati, per lo Stato che non funziona. Amavo i suoi spettacoli.

Perché?

Parlava e diceva cose che tutti sapevano, ma che nessuno osava raccontare.

Per esempio?

Vado con un amico a vederlo al PalaEur, nel 2006. Quando esco mi dico: «Dobbiamo fare qualcosa».

E come inizia?

La molla per me è stato il blog di Beppe. È stato quello che ci ha trasformato, facendoci passare da spettatori incazzati, rabbiosi e impotenti in attivisti che agivano.

E il gruppo da cui siete partiti?

Eravamo quattro gatti. Ricordo Serenetta Monti, la prima candidata sindaco con «gli amici di Beppe Grillo». Tempi eroici.

Che successe?

Ci eravamo presentati a Roma, con «gli Amici» e avevamo eletto solo quattro consiglieri municipali. Eravamo giovani, carini e un po’ sfigati.

E lei, in quella battaglia?

Corro da presidente nel X Municipio al Tuscolano. Ricordo i banchetti nel metrò. E il nostro volantino!

Com’era?

Con le tre scimmie: non vedo, non sento e non parlo. Indovini chi lo aveva fatto...Prendemmo il 3 per cento, all’epoca un risultato pazzesco.

E le cambia di nuovo la vita.

Fino a quel momento ero una ragazza cresciuta ascoltando i Pink Floyd e i Genesis sui dischi della sorella, con un figlio a carico, che improvvisamente si ritrova a fare politica a tempo pieno.

E suo marito?

Ecco, appunto. La nostra storia è finita anche perché lui non condivideva questo mio impegno.

E la prima volta da deputata?

Restavamo militanti, circondanti da militanti. La mia prima «portaborse» era Ilaria Loquenzi, oggi a capo della comunicazione al Senato. E poi Fabio Massimo Castaldo, detto «Wikipedia», oggi eurodeputato.

Con chi li ha sostituiti, oggi?

Con Irene, conosciuta al supermercato. Laureata in Giurisprudenza ma faceva la promoter e distribuiva i volantini pubblicitari. Ha preso un’altra laurea in Scienze politiche.

Oggi si ritrova vicepresidente del Senato. Cosa le ha detto mamma?

(Pausa). Mi vive come l’orgoglio del suo cuore. Mi ha detto: «Se solo tuo padre ti potesse vedere!» e si è messa a piangere.

Si sente cambiata?

Sono innamorata delle istituzioni.

Facciamo un po’ di penitenza allora?

Per cosa?

Si ricorda di aver gridato «vergogna» a quelli del Pd in Aula?

Eeeh...

Di avergli urlato «buffoni»?

Intendiamoci. Una cosa è l’insulto gratuito: talvolta può scappare, è sbagliato. Altro è la battaglia politica, anche dura, che rivendico con orgoglio.

Si autodenunci.

Porca miseria, quante gliene ho dette: «infami!», «pagliacci!», «ladroni!».

Pure.

Ricordo una rissa in aula per i soldi da dare alla Rider cup. Gliene ho urlate di tutti i colori!

Cos’era?

Un emendamento, che avevamo scoperto, voluto da Luca  Lotti. E io che gridavo: «Riempite di soldi quelli del golf. Vergogna! Vergogna! Mettetevi le scarpette bianche e andate a goderveli, ah ah ah».

Non la sento molto contrita.

Ma noi abbiamo vinto proprio perché loro erano questo: i soldi alle banche, i privilegi ai soliti noti, le concessioni per le trivelle, l’arroganza...

Il momento più bello?

Quando abbiamo vinto il referendum costituzionale. Ricordo un comizio a Livorno, con Alessandro (Di Battista, ndr) e faceva un freddo cane. Erano tutti con Matteo Renzi, i giornali, la Rai, i poteri forti... tutti. Ma alla fine abbiamo vinto noi.

Facciamo un test. Mi dica un Dem che adesso stima e col quale potrebbe dialogare e, invece, uno che non può vedere.

Stimo e rispetto la Pinotti. Anche nei momenti più duri una persona disponibile e corretta. E poi, per dire, Nerina Dirindìn, una deputata molto preparata e gentile.

E quello che non le piace?

C’è la fila! Ma su tutti metta il capogruppo, Andrea Marcucci, uno che è l’esatto contrario dei valori che dovrebbe rappresentare la sinistra.

Col nuovo Pd di Zingaretti potrebbe firmare un contratto di governo?

«Nuovo»? Veramente io sto al Senato, e il gruppo è quasi tutto renziano. Gente che ci insulta e ci considera barbari. I poveri zingarettiani sono minoranza.

Addirittura.

Non sono ancora cambiati. Qualcuno si è camuffato, nemmeno troppo bene. Cosa diventeranno domani non lo so.

Cosa non sopporta dei renziani?

So’ degli sfigati. Stanno lì a sputare sul reddito di cittadinanza. Abbiamo fatto più cose di sinistra noi in un anno che loro in mezzo secolo.

È vero che lei non è voluta andare al governo?

È stata una scelta ponderata. In quel momento la priorità era stare vicino a mio figlio. Ho fatto bene.

Ha nostalgia di Di Battista?

Alessandro non puoi non apprezzarlo. È un leader nato. Qualsiasi cosa faccia.

E adesso che è ripartito?

(Sorriso). Mi manca.

E il rapporto con la Lega?

Con il contratto di governo abbiamo fatto «bingo».

Cosa fa sua sorella Annalisa, oggi?

In questo momento è disoccupata, separata, con una figlia di 21 anni.

Non le ha trovato un posto?

(Occhiata incendiaria). Ma lei ha capito con chi sta parlando?

Quanto le rimane del suo stipendio e della sua indennità, togliendo quello che restituisce?

Ogni mese? 3.250 euro.

Se finisce la legislatura, lei non si potrà più ricandidare.

È una nostra regola.

E non ritroverà nemmeno più il suo posto al laboratorio di analisi.

Ci sarebbe tanto da dire. Ma ogni volta che mi preoccupo per il futuro mi ricordo di quando facevo la segretaria alle arti grafiche. Sto subito meglio.

E cosa pensa?

Se un cliente e mi avesse detto che avrei presieduto l’Aula a Palazzo Madama avrei chiamato il 118.

Quindi?

Ora mi laureo. Poi perfeziono il mio inglese.

E dopo?

(Pausa. Sorriso). Sarò come una normale cittadina che, dopo aver fatto cose straordinarie, in tempi di crisi si deve trovare un lavoro con i propri mezzi. n

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Luca Telese