Pietro Pacciani
ANSA ARCHIVIO /Alessandro Bianchi
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Novità nell'inchiesta sui delitti del Mostro di Firenze

Una lettera anonima, una perizia balistica forse manipolata. Si torna a parlare dei delitti per cui venne condannato Pietro Pacciani

«Vorrei fare un appello agli avvocati di Pacciani: che predisponessero con tanto di testimoni ufficiali una ricerca per tutto il terreno del Pacciani con un metal detector in modo che, a risultato negativo, avrebbero una prova schiacciante della sua innocenza. Se poi, successivamente, su ordine della magistratura, venisse richiesta un’altra perizia sul luogo e, guarda caso, “saltasse fuori” la (Beretta, ndr) 22 sarebbe palese che qualcuno, interessato a mettersi l’anima in pace, l’abbia messa a bella posta per “chiudere in bellezza».

Profetica la lettera anonima spedita il 18 novembre 1991 alla Nazione e all’avvocato Piero Fioravanti, storico difensore di Pietro Pacciani. Ventotto anni dopo, infatti, la procura di Firenze decide di indagare proprio sul controverso ritrovamento del proiettile calibro 22 marca Winchester Long Rifle serie H rinvenuto nell’aprile 1992, dopo giorni di perquisizioni a tappeto e con strumenti sofisticatissimi, dalla Squadra mobile fiorentina nell’orto di Pietro Pacciani, indagato per i delitti del mostro di Firenze.

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Lo scoop è del quotidiano La Nazione che, in un articolo a firma di Stefano Brogioni, riporta una frase della richiesta di archiviazione - anticipata a marzo da Panorama - degli ultimi due indagati nell’infinita storia dei delitti delle coppiette, l’ex legionario Giampiero Vigilanti e il medico Francesco Caccamo, entrambi novantenni. Il procuratore aggiunto Luca Turco scrive infatti nella richiesta di archiviazione: «Non occorre in questa sede soffermarsi su problematiche emergenti dalla consulenza balistica non involgenti la posizione degli attuali indagati, problematiche che meritano di essere separatamente esaminate».

Due righe che rivelano le “problematiche”, appunto, su quel proiettile e la decisione della procura guidata da Giuseppe Creazzo di approfondirle “separatamente”. All’origine della decisione degli inquirenti ci sarebbe la nuova perizia balistica effettuata dal dottor Paride Minervini, perito di fama, chiamato ad analizzare i 51 bossoli repertati nei luoghi dei delitti del mostro e il proiettile trovato nell’orto di Pacciani. Una prova che già non resse al processo d’appello che mandò assolto, su richiesta dello stesso procuratore Piero Tony, il contadino di Mercatale.

I giudici (presidente Francesco Ferri) nelle motivazioni scrissero che quel ritrovamento «legittimava obiettive e consistenti perplessità in ordine alla genuinità dell’elemento di prova». Panorama ha contatta il perito Minervini, che si trincera dietro ripetuti «non posso commentare». L’ipotesi è che le striature lasciate sul metallo del proiettile trovato nel foro di un palo di cemento da Ruggero Perugini, allora capo della Sam, la Squadra antimostro, non siano state prodotte “dall’incameramento” del proiettile nella Beretta calibro 22, ma che invece siano state in qualche modo artefatte. A che scopo? Volontariamente e a fini depistatori? Oppure quelle striature sono soltanto la conseguenza dei numerosi esperimenti balistici effettuati sul proiettile in laboratorio? A questa domanda il perito Minervini si lascia sfuggire un sibillino «Non posso saperlo».

La notizia degli approfondimenti disposti dagli inquirenti non sorprende Piero Tony, il primo a dubitare di quella prova a carico di Pacciani: «Se fosse vero che quel reperto è stato manipolato è necessaria l’apertura di un fascicolo di indagine per frode processuale». Panorama ha contatto l’allora dirigente del Gabinetto regionale di Polizia scientifica, dottor Francesco Donato, il primo che esaminò quel proiettile e che depose come perito nel processo di primo grado del 1994. Il dottor Donato, ora in congedo, resta, oggi come allora, convinto che quel proiettile fu caricato nella pistola che uccise sedici giovani: quelle microstriature, dette impronte secondarie, furono prodotte dalla culatta e dell’otturatore nella fase di incameramento e non possono essere state ricostruite artificialmente: «è un’ipotesi assolutamente fantasiosa. Confermo che quelle impronte coincidevano con quelle repertate sugli altri bossoli rinvenuti sui luoghi dei delitti. Vedremo gli sviluppi - aggiunge Donato – ma le ipotesi che mi vengono riferite sono fantasiose e diffamatorie nei confronti di chi operò all’epoca». Chi ha ragione? La lettera anonima acquisisce un nuovo significato alla luce di questa nuova perizia sui bossoli disposta dalla procura di Firenze?

Il documentarista Paolo Cochi, esperto delle vicende del mostro, in un convegno a Prato nel 2018 chiese e ottenne la conferma dall’avvocato Pietro Fioravanti che la lettera fu spedita e recapitata mesi prima della perquisizione nell’orto di Mercatale. Chi è l’anonimo estensore? Sapeva qualcosa o anche lui va annoverato nella lunga lista dei mitomani e – questi sì – depistatori a tempo perso?

Intanto restano i verdetti che non hanno mai completamente dato giustizia alle vittime del mostro di Firenze. Da Natalino Mele, il bambino che era nell’auto dove nel 1968, a Signa, fu uccisa la madre Barbara Locci e il suo amante Antonio Lo Bianco, omicidi per i quali fu ingiustamente condannato il padre, Stefano Mele, alle ultime vittime, i fidanzati francesi Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili, assassinati nell’estate 1985 nella piazzola di Scopeti, tra Firenze e San Casciano.

Il delitto di Signa del 1968 resta ancora senza un colpevole e nessuno ha saputo spiegare, prove alla mano, il passaggio della Beretta calibro 22 da quel duplice omicidio ai quelli riconosciuti come opera del mostro, mentre i compagni di merenda, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, sono stati condannati solo per alcuni dei delitti. E Pacciani, assolto in appello e rimandato a processo dalla Cassazione, morì prima di tornare alla sbarra, portandosi dietro tutti i suoi segreti e impendendo di scoprire cosa abbia fatto delle parti intime strappate ad alcune delle vittime. Ammesso che le abbia asportate lui.

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Giorgio Sturlese Tosi

Giornalista. Fiorentino trapiantato a Milano, studi in Giurisprudenza, ex  poliziotto, ex pugile dilettante. Ho collaborato con varie testate (Panorama,  Mediaset, L'Espresso, QN) e scritto due libri per la Rizzoli ("Una vita da  infiltrato" e "In difesa della giustizia", con Piero Luigi Vigna). Nel 2006 mi  hanno assegnato il Premio cronista dell'anno.

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