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Notre Dame, fantasmi nella cattedrale di Parigi

Ritardi nei lavori, inquinamento da piombo, polemiche. La ricostruzione della cattedrale procede a rilento, un problema per Macron

Quattro gru ferme, qualche suono sordo che arriva dall’interno del cantiere e un telone di plastica sul cratere di un drammatico incendio. «Ricostruiremo insieme questa cattedrale in cinque anni»  fu la promessa di Emmanuel Macron la notte del 15 aprile scorso, quando Notre-Dame venne distrutta dalle fiamme. A sette mesi dal rogo, però, tutto è bloccato, nonostante siano stati raccolti 850 milioni di euro, di cui 380 già stanziati. Panorama è andato a Parigi per vedere dal vivo cosa c’è di vero sulla rinascita del principale luogo di culto cattolico della città. Il problema principale sono le 300 tonnellate di piombo presenti sul tetto della chiesa gotica che si sono fuse (e i cui vapori sono stati rilasciati nell’aria) durante l’incendio. Di qui lo stop ai lavori ordinato dal prefetto nel luglio scorso, visto che alcune associazioni ritengono si sia sottovalutato il rischio sanitario. C’è da dire che i parigini sentono particolarmente il problema della qualità dell’aria, soprattutto per quanto riguarda i bambini: non è difficile trovare affissi per strada manifesti di sensibilizzazione sul tema. «Rebellons-nous pour que nos enfants respirent un jour de l’air pur», scrive l’Association Respire per chiedere aria pura come diritto per le scuole d’infanzia attorno a Notre-Dame.

Ricostruzione: lavori «blindati»

In quella terribile notte la flèche, la sottile guglia progettata dall’architetto Viollet-le-Duc, è stata distrutta dal fuoco. L’incendio ha avuto origine dall’impalcatura che si trovava all’altezza della guglia e che resta in attesa di rimozione.  Ci sono 150 persone al lavoro nel cantiere, ma solo per operazioni di consolidamento e di messa in sicurezza, che hanno già accumulato già tre mesi di ritardo. Per ora gli interventi hanno riguardato le vetrate laterali, che sono state tolte, così come le statue, per preparare la struttura alla futura ricostruzione. Dove ci sono i caratteristici archi rampanti, sono stati apposti rinforzi di legno. All’interno la cattedrale - chiusa in un cantiere blindatissimo - è stata svuotata dai detriti, ma Pascal, un cittadino, ci dice che alcuni di essi non sarebbero stati spostati per evitare di diffondere nell’aria altre particelle. Il cratere, infine, è stato sigillato con teloni di plastica. Carlo Blasi, architetto fiorentino del team di restauro, ha spiegato che l’inizio dei lavori sarà tra cinque mesi, ma nulla fa pensare che si farà in tempo: l’umore degli abitanti è sconsolato, la città si sente ferita. 

Anche Didier Durant, titolare di Pierrenoel, una delle ditte appaltatrici, ha lamentato che la situazione «va avanti come una ruota quadrata». La burocrazia ha impedito che l’impalcatura da cui si è sviluppato l’incendio venisse rimossa, così le 250 tonnellate di ferro di cui è costituita incombono tuttora dall’alto. All’interno della cattedrale il pavimento è stato ripulito, ma sopra la navata centrale restano cumuli macerie e di cenere contenente la temutissima lega di piombo. Inoltre, c’è un grande ponteggio che non può essere tolto perché si è fuso nell’incendio e va smontano a pezzi, così da non danneggiare l’abside.

Notre Dame: quei mali antichi

Prima o poi la risposta diplomatica di Macron sulla ricostruzione entro cinque anni dal rogo dovrà scontrarsi con i fatti concreti. «Siamo un popolo di costruttori» l’altra frase del 41enne presidente della Repubblica francese dopo le fiamme. Facendo i conti, la coincidenza della data promessa dal capo di Stato con i ventitreesimi Giochi olimpici che si terranno proprio a Parigi, suona piuttosto controversa. Girando per il IV arrondissement, ma un po’ per tutta la città, nelle librerie va a ruba un saggio, in un piccolo formato 13 per 18, scritto da Adrien Goetz dell’Accademia di belle arti, professore di storia dell’arte alla Sorbona, che non solo racconta, ma tratteggia i contorni della gigantesca polemica attorno alla «nuova vita» di Notre-Dame. Il cantiere dovrà essere un modello, mostrare ai visitatori che «restaurare può essere uno sport» scrive Goetz «forse più bello di altri». Tra i francesi serpeggia questa ossessione di una Notre-Dame «plus belle encore», come ha detto Macron. Frase che è stata fin dal principio molto criticata. Che tipo di operazione ha in mente Monsieur le Président? Vuole tradire la storia della cattedrale? Punta su Notre-Dame per fermare il crollo di consensi nelle elezioni del 2022 in cui è prevedibile una sfida con Marine Le Pen?

Lo stato di salute della struttura prima dell’incendio era tutt’altro che buono e ora, con tutto il clamore del post-rogo, in pochi se ne ricordano. Le pietre erano corrose, gli archi rampanti a rischio sgretolamento, le giunture mal sigillate e anche oggi, se si osserva l’edificio, si nota tanta sporcizia accumulata prima del tragico 15 aprile. «L’incendio è arrivato in un momento in cui Notre-Dame aveva già bisogno di cure» e c’era l’urgenza di «cercare mecenati perché i fondi stanziati dal ministero della Cultura non erano sufficienti» prosegue Goetz. «Lo Stato dovrebbe riconoscere che certi luoghi, che dipendono direttamente da esso, come le cattedrali di prima del 1905, non hanno beneficiato di tutti gli interventi indispensabili» e quindi parlare di monumenti «più belli ancora» fa saltare la mosca al naso a chi ha visto la chiesa-simbolo perdere la sua bellezza nel tempo. «Come far rivivere la cattedrale di domani?» si domanda Goetz. «Fare da capo, ricostruire, riparare o restaurare?». L’autore sostiene che si debba innanzi tutto «restaurare la sua anima» e in generale, quando si tratta di capolavori dell’arte e dell’architettura, «attrarre mecenati e investitori quando non è ancora troppo tardi». Charlotte Hubert, presidente dei capo-architetti dei monumenti di Francia, teme gli interventi troppo «modernizzatori», così come quelli troppo arroccati sulla fedeltà assoluta all’originale.

A Roma, a Palazzo Farnese, in occasione di «Notre-Dame sei mesi dopo», Hubert aveva avvertito che «il restauro, o conservazione, deve affrontare la forma, la tecnica costruttiva, la scelta dei materiali e anche, in modo ragionevole, tenere conto del desiderio delle persone». Quindi l’eternità dei monumenti è un concetto che di questi tempi è messo in discussione. Se ci pensiamo, anche la fléche era stata ricostruita in stile neogotico nel 1858-59 su progetto appunto di Viollet-le-Duc al posto dell’originale duecentesca demolita nel 1792. Ora però si tratta di capire se le intenzioni di Macron di «ricostruire con materiali moderni», come acciaio, titanio e carbonio non metta a rischio un pezzo del patrimonio dell’umanità. Che si userà acciaio lo fa pensare la partecipazione a titolo gratuito di ArcelorMittal, che ha offerto appunto acciaio per contribuire alla ricostruzione, ma anche servizi per l’architettura e le sue competenze nell’edilizia.

Marine Le Pen si era subito scagliata contro le parole del capo di Stato, ma anche contro il primo ministro Edouard Philippe, che ha parlato di un concorso internazionale d’architettura per riscostruire la storica guglia. Il punto vero è che Macron e i suoi collaboratori sanno che se per la ricostruzione si dovessero impiegare le stesse travi di quercia usate per la costruzione originale, non basterebbero i pochi anni che separano dal 2024. Eppure sarebbe un peccato mortale svilire il monumento, anche alla luce del fatto che Groupama offrirebbe gratuitamente 1.300 querce centenarie per la ricostruzione del telaio in legno.   

Donazioni milionarie

Ma chi è stato a finanziare la ricostruzione? L’imprenditore multimiliardario francese François Pinault e il figlio, François-Henri, hanno accantonato per la cattedrale 100 milioni di euro. Il loro rivale, Bernard Arnault del gruppo del lusso LVMH ha impegnato 200 milioni di euro. Stessa cifra anche per L’Oréal e gli eredi di Liliane Bettencourt. Cento milioni da parte della compagnia petrolifera Total, 20 da Bnp Parisbas, 10 dalle assicurazioni Axa. La holding Fimalac, concorrente di Moody’s e Standard & Poor’s, ne ha destinati 10, e lo stesso vale per la famiglia del banchiere libanese di origini ebraiche Edmond Safra, morto in un misterioso incendio nel 1999. Contributi anche da Sanofi, dall’uomo d’affari americano (repubblicano) Henry Kravis, da Crédit agricole, dalla Walt Disney, dalla Française des Jeux, che ha il monopolio delle lotterie in Francia e dalla rumena UiPath. Salta all’occhio la donazione di Ubisoft, che ha reso gratuito il download di un videogioco con la riproduzione in 3D della cattedrale che doveva essere usata per ricostruire l’edificio.

Altro punto interessante è il mezzo milione dato dal Comitato internazionale olimpico, che riapre il dibattito sulle promesse di Macron. Alla domanda sugli importi necessari per il restauro, l’arcivescovo metropolita di Parigi Michel Christian Alain Aupetit, che presiede la Fondazione, ha spiegato che «aspetterà fino a primavera (2020, ndr) per sapere quanto durerà e quanto costerà». Finora il totale è di 46 mila persone, 168 aziende e 29 autorità pubbliche in Francia e all’estero che hanno contribuito, con un ritmo di 140 donazioni a settimana. Speriamo che a Macron bastino.   

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Maria Elena Capitanio