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L’intesa tra Israele e Arabia Saudita nel segno dell’Iran

Spinti dalla necessità di contenere l'espansionismo di Teheran, i due Paesi potrebbero presto avviare anche nuovi rapporti diplomatici

La realpolitik, il nemico comune. Su questo, e su una nuova infornata di politici, si basa la recente intesa tra Israele e Arabia Saudita. Messo a fattor comune il rischio che la guerra in Siria e in Iraq porta con sé un Iran sempre più forte e aggressivo, Gerusalemme e Riad hanno convenuto - sia pur senza accordi ufficiali tra governi - che la strategia da seguire d’ora in avanti è tutta nella proverbiale frase “il nemico del mio nemico è mio amico”.

Anche Egitto e Giordania sono stati coinvolti in questo piano d’azione e, da par loro, entrambi i governi hanno offerto un’efficace triangolazione diplomatica ai due Paesi al fine di farli riavvicinare, nella prospettiva di arginare lo strapotere iraniano di qui ai prossimi anni.

Vale la pena ricordare che l’Arabia Saudita, a differenza di Egitto e Giordania, ancora non riconosce ufficialmente lo Stato di Israele e che, dunque, non ha veri rapporti diplomatici o ambasciate. Ma la riapertura dei canali di comunicazione, in realtà iniziata già dalla prima guerra del Golfo, è stata sufficiente a consentire all’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, di visitare in segreto Israele all’inizio dello scorso settembre.

Tutto passa per il futuro monarca saudita

Il giovane Salman è l’astro nascente di casa Saud. Appena trentenne e già ministro della guerra, è considerato il futuro dell’Arabia Saudita, e il suo peso politico continua a crescere di giorno in giorno.

Basterebbe dire che è la prima volta in assoluto che un re saudita nomina come proprio erede un parente sotto i settant’anni, per capire quanto radicale e drammatica sia la svolta impressa da re Salman a questo paese retrogrado e assolutista.

Il vecchio monarca sa fin troppo bene che la guerra per il controllo della Siria e dell’Iraq è perduta, con Baghdad ormai saldamente in mani sciite e con Damasco attraversata dalle scorribande degli Hezbollah libanesi che, in ultima analisi, rispondono direttamente a Teheran. Così come è consapevole che le riserve di petrolio del suo Paese da sole non possono garantire prosperità e stabilità a lungo termine. Specie se il concorrente diretto si garantirà un corridoio che da Teheran raggiunge Beirut, passando per Damasco e Baghdad.

Da qui nasce la necessità di nominare un uomo forte e dalla lunga prospettiva di vita, tale che possa arginare nel tempo l’espansionismo iraniano e al contempo riesca a sviluppare un piano per diversificare l’economia saudita, come lo stesso giovane Salman ha definito nell’ambizioso progetto economico chiamato Vision 2030.

Complice l’ascesa di Donald Trump, re Salman ha puntato anche sulla ritrovata intesa con gli Stati Uniti d’America, dopo gli anni difficili di Barack Obama durante i quali è stato siglato l’accordo sul nucleare, che ha assestato un colpo ferale alle speranze di quanti volevano un Iran isolato dal resto del mondo.

La svolta dell’accordo sul nucleare

L’aver sollevato Teheran dalle sanzioni economiche ha tolto i freni alle ambizioni degli ayatollah, che da quel momento hanno potuto estendere il proprio ruolo politico ed economico nella regione, complici la guerra e l’implosione dei confini territoriali.

Il governo iraniano si è spinto fino allo Yemen, dove ha ordito un piano per destabilizzare la penisola arabica in funzione anti-saudita, e grazie al suo ritrovato peso economico ha attratto a sé persino l’emirato sunnita del Qatar. Inoltre, ha letteralmente comprato i governi di Baghdad e Damasco, e offerto loro le milizie indispensabili per non collassare sotto il fuoco incrociato delle variegate armate sunnite.

L’Iran ha anche fatto da apripista alla Russia di Vladimir Putin ed è riuscito a gestire il potere in Libano, coordinando una war room con l’intero asse sciita, cosa che ha permesso di imprimere una svolta alla guerra civile, particolarmente fruttuosa nel teatro iracheno.

I tempi dunque sono cambiati, e la politica si deve adeguare. Per questo, il riavvicinamento tra Riad e Gerusalemme, alleato di ferro di Washington, si è reso indispensabile.

Al contrario dell’Arabia Saudita, però, preoccupata dello svantaggio economico nei confronti del competitor iraniano, Israele teme soprattutto un progressivo accerchiamento militare.

Per tutto questo, e per le positive aperture sulla Palestina e sui diritti umani da parte di Riad, il rapporto tra Israele e Arabia Saudita è cresciuto nel segno dell’interesse comune. Non appena il volto all’apparenza più moderato di casa Saud, Mohammed Bin Salman, sarà salito al trono, l’entente cordiale tra Israele e Arabia Saudita potrà prendere quota e misurarsi in nuovi rapporti diplomatici che, oltre alle collaborazioni politiche, certamente riguarderanno da vicino anche le strategie da intraprendere per quanto concerne Siria e Libano.

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Luciano Tirinnanzi