L’antagonismo italiano: chi, come e perché
ANSA /Ettore Ferrari
News

L’antagonismo italiano: chi, come e perché

Nelle strade della Capitale la manifestazione contro la precarietà e per il diritto alla casa è degenerata nuovamente in violenza. Analisi del volto della galassia antagonista e ribellistica d’Italia. Quanto costa la guerriglia urbana?

Lookout news

Una famosa canzone-manifesto dell’anarchismo in salsa pop del Novecento, “Anarchy in the UK” dei Sex Pistols, chiariva bene un concetto che ancora oggi possiamo applicare alla galassia insurrezionalista eversiva, protagonista degli scontri di sabato a Roma, da non confondere però con i partecipanti alla manifestazione per il Diritto alla Casa, protesta legittima e pacifica. La canzone dei Sex Pistols recitava “Non so cosa voglio ma so come ottenerlo”, ed è l’illuminante quanto sconcertante concetto-verità che spesso si cela dietro simili episodi. Perché, se il fine ultimo nel portare la violenza in piazza in simili contesti non è chiaro nemmeno ai suoi protagonisti, più facile è leggerne invece il modus operandi.

 

Il tappeto di giacche di plastica blu lasciate in Via veneto e Via del Tritone sono la testimonianza concreta del doppio livello di azione dei gruppi antagonisti. Secondo un modello ormai ampiamente sperimentato, i gruppi organizzati di militanti duri (provenienti in massima parte dal Nord, ma non soltanto) s’inseriscono nei cortei di protesta, meglio se numerosi. Quando poi arrivano vicino a obiettivi sensibili come un ministero, una banca o la sede di un partito o sindacato, si staccano dal corteo e colpiscono duramente. I loro segni di riconoscimento mutano dai caschi alle bandiere, ai colori di vestiti e giacche, appunto. Questi gruppi sono formati in massima parte da militanti che gravitano nei centri sociali e negli spazi dell’anarco-insurrezionalismo e, tra questi, i più organizzati vengono da Torino, Milano e Trento, quest’ultima una delle “capitali” dell’anarchismo italiano.

 

I casi di Cospito e del movimento No Tav

 

Per citare un esempio chiarificatore, il 15 ottobre del 2011 a Roma, all’interno di una più ampia manifestazione contro il governo, un gruppo di centinaia di anarchici devastò Piazza San Giovanni, rifornendosi di spranghe e molotov da un furgone che era stato parcheggiato ad hoc in un angolo della piazza ben due giorni prima. A quegli scontri prese parte anche Alfredo Cospito, il militante del “Nucleo Olga” del FAI (Federazione Anarchica Informale), il quale recentemente è stato condannato a dieci anni di prigione per l’attentato a Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, gambizzato a Genova il 7 maggio del 2012.

 

In una sua lettera-manifesto, pubblicata su ‘Anarchaos’ proprio il giorno degli scontri, Cospito inneggiava a “quelli che [...] non stanno agli ordini di nessuno e che odiano banche e agenzie interinali che sono vessatorie verso tutti”. E aggiungeva che la manifestazione di piazza San Giovanni “non è stata rovinata dalle frange estreme ma anzi dovrà far riflettere maggiormente tutti quei manifestanti che non sono capaci di organizzarsi” come invece riescono i gruppi anarchici.

 

Il crescendo di aggressività all’interno del movimento No Tav della Val di Susa è un altro sintomo di come gli anarco-insurrezionalisti tendano sistematicamente a infiltrarsi all’interno dei movimenti di protesta, per strumentalizzarne le motivazioni e attuare sistematicamente la violenza organizzata, al fine di “innalzare il livello di scontro”. Guardiamo a cosa è successo in Val di Susa negli ultimi anni: siamo partiti dalle tranquille manifestazioni degli abitanti della Valle contro i lavori e siamo finiti alle intimidazioni di stampo mafioso contro i lavoratori delle ditte impegnate nei cantieri, fino ad arrivare al terrorismo vero e proprio: bombe contro i cantieri, minacce di morte contro politici (vedi il Senatore PD Esposito, accusato di sostenere il progetto dell’Alta velocità) e, non ultima, l’aggressione contro l’autista di uno dei magistrati torinesi impegnati nelle indagini sulle violenze No Tav.

 

Quanti e dove sono gli antagonisti?
Ma quanti sono gli antagonisti borderline che operano al confine tra militanza politica arrabbiata e azione clandestina eversiva o terroristica? Stando alle indagini delle magistrature di Torino, Genova e Perugia, dalle decine di migliaia di attivisti radicali ma pacifici, si selezionano poi più ristretti “gruppi di affinità” che rientrano nell’ordine delle centinaia, distribuiti prevalentemente tra le città del nord, ma con significative presenze anche nella capitale, in Emilia Romagna, Toscana e Campania.

 

Si tratta di militanti che non sono inseriti in strutture organizzate gerarchicamente, ma tendono ad aggregarsi in tali gruppi affini in vista di un’azione - secondo gli insegnamenti dell’ideologo dell’anarco-insurrezionalsimo italiano, l’ormai ultrasettantenne Alfredo Maria Bonanno  - per poi sciogliersi e tornare alla normale attività politica dopo aver colpito. 

 

 

Perché non li prendono?
La rete più pericolosa, quella del FAI, è reticolare e orizzontale, e non può essere decapitata semplicemente perché non ha una “testa”. Al contrario, è una variegata struttura formata da micro-gruppi che si attivano e agiscono in base a un “patto di mutuo appoggio” (vero motore della Federazione Anarchica Informale) che ne cementa la stabilità nel tempo.

 

Una volta condivisa dai vari gruppi anarchici l’impostazione rivoluzionaria, i punti chiave della strategia - che sinora ha costituito la prassi - sono: la “solidarietà rivoluzionaria” ovvero l’impegno che ogni gruppo sottoscrive nel sostenere i compagni arrestati con l’azione armata; le “campagne rivoluzionarie” di lotta, altrimenti dette attentati; la “comunicazione attraverso l’azione” ovvero la produzione di messaggi di rivendicazione e di documenti che contengono anche indicazioni su come proseguire la lotta.

 

In conclusione, con gli anarchici e gli antagonisti duri dovremo abituarci a convivere. Senza un’organizzazione precisa e senza una pianificazione strategica sul modello delle Brigate Rosse, è infatti difficile che la Magistratura riesca ad accusarli di reati associativi. Essi restano una realtà orizzontale, difficilmente infiltrabile dall’esterno e poco organizzata proprio per sfuggire alle inchieste. Il web, inoltre, consente loro di fare propaganda anche dura, pur restando anonimi e irrintracciabili. Operando all’insegna del “tanto peggio, tanto meglio” e con l’aria che tira in Italia, è fin troppo prevedibile affermare che li vedremo sicuramente agire anche nel prossimo futuro.

I più letti

avatar-icon

Luciano Tirinnanzi