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Il giallo irrisolto di Giulio Regeni, a due anni dalla scomparsa

Spionaggio, conflitti politici, interessi economici e manovre internazionali dietro la morte del giovane ricercatore ucciso per le sue ricerche

La tempesta perfetta si abbatté su Giulio Regeni, ventottenne ricercatore italiano dell’Università di Cambridge al Cairo, il 25 gennaio di due anni fa.

Alle 19.41 il suo ultimo sms. Poi, il silenzio. L’ambasciatore italiano fu avvertito subito, ma la notizia divenne pubblica solo quattro giorni dopo. Poi, il 3 febbraio, la tempesta perfetta restituì il corpo martoriato di Giulio sul bordo di una strada di grande scorrimento che porta al Cairo, con una coperta militare che lo copriva, e i segni di una tortura meticolosa dagli effetti agghiaccianti.

La madre avrebbe dichiarato, dopo il riconoscimento, che inconfondibilmente di Giulio era rimasto solo il naso. Il corpo venne ritrovato (meglio, fu fatto ritrovare) in coincidenza con la visita in Egitto del ministro dello Sviluppo economico italiano, Federica Guidi, alla vigilia di colloqui per accordi di interscambio del valore di 7 miliardi di euro. E il ritrovamento non poteva essere casuale, perché a pochi metri dalla strada cominciava il deserto, agli assassini sarebbe bastato scavare una buca per evitare un “caso Regeni” e per trasformarne la scomparsa in un giallo che nessuno avrebbe mai più potuto risolvere.

Niente cadavere, niente autopsia e niente prove. Giulio sarebbe scomparso dai radar mediatici, non avrebbe provocato quella crisi internazionale tra Italia e Egitto che avrebbe indotto il premier Gentiloni a richiamare il nostro ambasciatore, Maurizio Massari.

Le ipotesi in campo

Dietro il sequestro di Regeni, le torture e il ritrovamento del cadavere già si potevano intravedere gli scenari che in questi due anni hanno segnato inchieste, reportage e indiscrezioni sulla sua morte tragica. Nell’anniversario della scomparsa, il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, che personalmente dirige lo staff di magistrati impegnati nella ricerca della verità, in una lettera aperta ai quotidiani ha indicato alcuni punti fermi:

1) Intanto, Giulio è stato ucciso per via delle sue ricerche (studiava sul campo i sindacati indipendenti, in particolare aveva stretto rapporti con i dirigenti degli ambulanti).

2) Il secondo è che è stato “tradito” da alcune delle persone che aveva conosciuto nel corso del suo lavoro.

3) Terzo: in un'indagine ordinaria, sulla base dell’informativa della nostra Procura a quella egiziana, si sarebbero già potuti prendere dei provvedimenti. I magistrati romani hanno messo a fuoco “l’azione degli apparati pubblici egiziani che già nei mesi precedenti avevano concentrato su Giulio la loro attenzione”.

4) Quarto: le indagini portano fino in Gran Bretagna, precisamente a Cambridge, nell’ufficio della professoressa-tutor di Giulio, che ne supervisionava le ricerche. Materiali sequestrati nelle perquisizioni, rese necessarie da contraddizioni emerse nell’Università, sono ora giudicati “utili”.

Ma, al di là degli aspetti giudiziari, la ricostruzione degli "addetti ai lavori" delinea un quadro complesso nel quale è maturata la “tempesta perfetta”, fatale per Giulio, forse un “agente inconsapevole”. Pignatone esclude assolutamente che Regeni svolgesse attività di spionaggio.

Informatore inconsapevole

Eppure le sue ricerche raggiungevano terminali ambigui. E il “tradimento” di suoi contatti al Cairo riguardava la sua attività inconsapevole di “informatore”. Ma questo non sarebbe bastato a creare il “caso”.

Qualcuno, all’interno degli apparati di sicurezza egiziani, ha voluto far ritrovare quel corpo martoriato in quel modo sulla strada della diplomazia economica in corso tra Italia ed Egitto. Un “caso” molto imbarazzante per l’Intelligence vicina al presidente Al Sisi.

C’è chi ipotizza fin dall’inizio uno scontro interno ai servizi del Cairo, tra le branche militare e civile. Il generale Al Sisi mise subito in chiaro che quella vicenda aveva lui come bersaglio.

Tra intelligence e questioni economiche

Altri, ancora, sostengono che il conflitto tra Intelligence militare e civile nasceva dalla diversa strategia dei due apparati: quella militare che faceva capo al ministro della Difesa e puntava al dialogo con Israele, quella civile che invece dipendeva dal ministro dell’Interno, più favorevole ad accordi con i Fratelli musulmani da sempre attivi nel Paese.

All’intrigo politico si è poi saldato quello economico, legato alla scoperta e ai progetti di sfruttamento da parte dell’Eni di Zohr, il più imponente giacimento di gas naturale del Mediterraneo, oltre che alle prospettive di cooperazione economica in settori strategici per l’Egitto come la Difesa.

Il vuoto lasciato dall’Italia con il richiamo del nostro ambasciatore (adesso cambiato e tornato al Cairo) ha dato ancora più spazio a Paesi come la Francia e gli Stati Uniti. Francia che in passato aveva “insabbiato” un caso molto simile a quello di Giulio, che ha avuto per protagonista un cittadino francese.

Il mistero della scomparsa e della morte di Giulio è quindi assai meno misteriosa di quanto non si creda. L’inchiesta ha raggiunto dei punti fermi, a dispetto della difficoltà di collaborazione tra le Procure dei due Paesi. E sullo sfondo di un problema mai risolto di rispetto dei diritti umani in Egitto, c’è però attorno alla vicenda del povero Giulio un mix micidiale di spionaggio, conflitti politici, interessi economici e manovre internazionali.

Tra Cambridge e il Cairo. E oltre.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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