Il Di Maio leader che dice addio alla base
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Il Di Maio leader che dice addio alla base

Mentre il Movimento discute di escludere Porta a Porta dalle trasmissioni elettorali, il grillino si faceva intervistare da Bruno Vespa

Ieri sera a Porta a Porta è andato in onda Luigi Di Maio in versione leader. Proprio nel giorno in cui il Movimento 5 Stelle aveva ingaggiato la sua battaglia politica per escludere Bruno Vespa e Fabio Fazio dalla campagna elettorale in quanto contrattualizzati in Rai come “artisti” per aggirare il vincolo del tetto degli stipendi. E’ il primo dietrofront televisivo del leader rispetto alle battaglie del movimento. Ma d’altronde sono i capi a dettare la linea alla base e non viceversa.

Così arriva anche la svolta filo europeista, ammettendo che non è più il tempo di proporre un referendum per uscire dall’euro. Ora che la Cancelliera Merkel è in profonda crisi a casa sua dove da 95 giorni cerca di formare un governo e in Europa la sua figura appare dimezzata.

E’ adesso che il Di Maio premier vuole attirare anche il voto dei moderati, allargando la base elettorale perché con il 29 per cento si rischia di essere il primo partito alle elezioni, ma di non contare nulla.

Così il Movimento impara dagli altri, usa gli stessi stratagemmi, propone candidati “pop” e si apre alle esperienze esterne, in cerca di volti affidabili ed esperienze da spendere in parlamento. Anche se questo vuol dire tradire lo spirito della prima ora e abbattere gli architravi dell’essenza grillina.

Tanto che dopo i brusii per il cambio dello statuto, il timore è che con una leadership così forte e incontrastata di Di Maio, si crei intorno al giovane designato una corte di yesman, dove la base rischia di contare sempre meno ed essere coinvolta solo su questioni marginali.

Di certo il Movimento ha cambiato pelle, il tempo della protesta almeno per il momento è stato archiviato e per chi ambisce a governare diventa sempre più necessario organizzare delle proposte.

L'ultima chance dello studente fuoricorso

Anche perché, lo ha vaticinato lo stesso Di Maio, il 4 marzo in assenza di una maggioranza chiara, sarà necessario aprirsi alle alleanze intorno a un programma. Ancora non si sa con chi, difficile dire chi sarà in grado di sedersi intorno a un tavolo con un Movimento dove non si capisce bene chi comanda tra leader, capi spirituali e piattaforme web. Ma Di Maio assicura trasparenza, con la consapevolezza che per lui, secondo la regola dei due mandati, questa potrebbe essere l’ultima occasione per diventare premier.

Lui che cinque anni fa è entrato in Parlamento come un semplice studente fuori corso e zero esperienze lavorative, scalando il movimento. Prima come vicepresidente della Camera e oggi candidato premier di quel pezzo di popolo che si incontrava nelle piazze per i Vaffa Day e che prometteva non sarebbe mai diventato un partito.

Oggi, uno di quei ragazzi accarezza il sogno di diventare primo ministro di una delle potenze del G7.  E poi si dice che la politica non è una professione.

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Sara Dellabella