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Corea del Nord: perché non possiamo fidarci di Donald Trump

Forte dei successi economici in Usa, il Presidente minaccia l'attacco nucleare a Pyongyang. C'è da sperare in un doppio bluff o nel ruolo di Cina e Russia

Ecco l’errore della Red Line. E, come già visto con Obama, commesso su un tema militare. Quindi delicatissimo.

La linea rossa, che smaliziati giornalisti poche settimane fa hanno di fatto messo in bocca a Trump sul tema Russiagate, questa volta è stata evocata proprio dal Presidente. Parlando a braccio, ma in un contesto ufficiale, il Commander in Chief l’ha tracciata dichiarando testualmente “la Corea del Nord andrà in contro a fuoco, furia e potere come il mondo non ha mai visto prima”.

La questione va al di là del "Classic Trump" citato dal Senatore McCain per tentare di metterci una toppa. Obama aveva, a suo tempo, commesso lo stesso passo falso minacciando il regime siriano di Assad di reazione americana se l’uso di armi chimiche fosse stato provato e reiterato da parte delle truppe governative.

La sporca guerra chimica non si fermò, ma Obama non rispose come promesso. La credibilità internazionale di un Presidente che sino a quel punto si era distinto per un sapiente uso del soft-power (cioè il primato della diplomazia e la delega della gestione delle crisi alle potenze regionali) crollò. Contemporaneamente la Russia cresceva come player Mediorentale e a tutt’oggi è Mosca a dettare le regole del gioco in Siria.

Perché Trump ha sbagliato

Trump, e i suoi consiglieri, non hanno evidentemente imparato nulla da quella lezione. Ammesso che la credibilità del Presidente possa essere ulteriormente compromissibile, l’esternazione irresponsabile contro la Corea del Nord giunge, per paradosso, proprio quando i numeri dell’economia danno clamorosamente ragione a Trump.

Le cifre record di Wall Street, i nuovi posti di lavoro creati che hanno portato l’America di Trump alla piena occupazione sono stati festeggiati dal Tycoon nel peggiore dei modi. Dal suo punto di vista, ma questa è una valutazione anche di ordine psicologico, l’entusiasmo per i successi economici potrebbero averlo galvanizzato, facendogli credere di poter pronunciare parole incendiare quando la minaccia sul tavolo è di livello nucleare.

Il ruolo dell'Onu

In questo probabilmente gioca un ruolo la clamorosa debolezza delle Nazioni Unite e del Segretario Generale, il portoghese António Guterres, che in molti danno diplomaticamente per "mai pervenuto" dal giorno del suo insediamento. Se è vero che le Nazioni Unite hanno appena approvato, su input statunitense, un ulteriore pacchetto di sanzioni contro Pyongyang è anche vero che, dal punto di vista simbolico, appelli sostanziali alla pace e alla moderazione dei toni non sono mai giunti.

Se non è saggio aspettarsi passi costruttivi da Kim Jong-un, da Trump sarebbe invece auspicabile farlo. Certo nessuno dei due è Putin, cioè un leader che prima colpisce e poi attiva i diplomatici (vedi crisi in Georgia, in Crimea, nel Donbass e in altre ex Repubbliche minori sovietiche), ma resta il fatto che certe parole hanno un peso terribile, anche quando a pronunciarle sono leader eccentrici. E, soprattutto, è vero che Mosca non ha mai giocato d’azzardo quando sul terreno era presente una minaccia nucleare.

Cosa possiamo aspettarci

Auspici e certezze quindi. I primi sono quelli che fanno sperare in un doppio bluff, in una partita a poker mal giocata, tra due leader stravaganti. La certezza è invece una e solo una: stoppare l’escalation. Anche l’indiscrezione d’intelligence sulla mini-testata nucleare a disposizione del regime è tutta da verificare: sia nel merito (le armi di distruzione di massa di Saddam ancora le stiamo aspettando) sia nelle potenziali conseguenze.

Con Trump alla Casa Bianca, qualsiasi scintilla può essere l’inizio del caos. Anche Cina e Russia dovrebbero per una volta apparire meno imperturbabili e portare Pyongyang, loro che possono, a più miti consigli. Il gioco, alla fine, potrebbe sfuggire di mano a tutti.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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