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Gli scenari e le potenzialità di un'Africa Unita

Il Continente nero è destinato a cambiare gli equilibri mondiali, a partire dai suoi 4,4 miliardi di abitanti previsti entro la fine del secolo

L’Africa vive molti paradossi. Ma forse il principale è la scarsa copertura dei media occidentali, nonostante sia il Continente in maggiore espansione demografica e quindi, a ricaduta, economica e militare dell’intero pianeta.

L’Africa, insomma, volenti o nolenti, sarà il nostro futuro prossimo, ma a ben guardare è già il nostro presente. E’ quindi indispensabile farsi una fotografia reale dell’oggi e dipingere uno scenario di previsione per il domani, evitando che il Continente nero si trasformi nel buco nero della nostra ignoranza o miopia.

Si potrebbe partire dalla carta geografica: oggi l’Africa è divisa in 54 Paesi, ma se fosse unita, se fosse una sola federazione, come si porrebbe nei confronti del mondo?

Potenzialità da potenza

Grande tre volte l’Europa, l’Africa conta 1 miliardo e 200 milioni di abitanti: se oggi, 2018, è terza per numero di abitanti dietro Cina e India, tra soli 5 anni, dicono i demografi, sarà la prima con oltre 1 miliardo e 400 milioni di abitanti.

Dal 1990 a oggi, la sua popolazione è praticamente raddoppiata. Alla fine di questo secolo, la sua popolazione, dice l’Onu, avrà oltrepassato i 4,4 miliardi d’individui, cioè il 39% di tutta la popolazione mondiale. E la demografia, si sa, non sbaglia.

Con un’età media attuale di poco meno di vent’anni per individuo, l’Africa è la grande rimozione politica di qualsiasi tavolo globale, non solo mediatico.

In questa prospettiva la Cina, cioè il nuovo signore coloniale del Continente, ha rafforzato in questi ultimi anni la sua posizione e si trova quindi strategicamente avvantaggiata rispetto a Stati Uniti, Europa e India.

Il Continente delle contraddizioni

Certo le criticità sono estreme, il tenore di vita pro-capite è appena sopra al dollaro giornaliero e l’analfabetismo ancora vicino al 40% (e il 40% di 1.200.000.000 è un numero astronomico), come l’11% di malati di Aids è ugualmente una cifra clamorosa.

Con una diversità etnica che sfugge a qualsiasi statistica, e con un numero di lingue parlate che si aggira attorno alle 3 mila unità, l’Africa è una costellazione di microcosmi dove solo la religione riesce a definire un perimetro.

Nonostante la percezione sbilanciata verso l’Islam, qui cristiani e musulmani sono alla pari, rappresentando ciascuno il 47% dei credenti. Con Lagos quale città più popolosa, coi suoi 22 milioni di abitanti (cioè l’intera Romania) e Addis Abeba come potenziale capitale politica dell’Africa Unita, Il Cairo e Johannesburg sarebbero le capitali economiche. E qui emerge l’altra grande contraddizione dell’Africa: la sua povertà endemica accanto alla sua ricchezza esorbitante in materie prime e pregiate; qui si trova infatti il 90% del platino mondiale, il 50% dell’oro, il 50% dei diamanti e il 33% dell’Uranio. Per limitarci alle principali risorse.

Una visione miope del Continente e dei suoi principali fattori di rischio, compreso il dramma dei flussi migratori, è all’origine di evidenti semplificazioni culturali e politiche. In un’Italia – ad esempio - alla quale gli immigrati regolari apportano all’Inps un contributo annuo fondamentale per l’equilibrio della cassa, e dove rappresentano dal punto di vista demografico l’unico fattore capace d’invertire il saldo di un Paese strutturalmente invecchiato, capire come relazionarsi con l’Africa è cruciale. E soprattutto non è un’opzione negoziabile. Bisognerà farlo, che piaccia o meno.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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