Tutta la verità sulle foto di Vendola
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Tutta la verità sulle foto di Vendola

La vera storia del fidanzato di Patrizia Vendola e delle foto regalate a Panorama - le immagini -

Oggi la notizia del giorno a Bari la offre ai suoi lettori «La Repubblica», sulla prima pagina del dorso locale: «Il partner di Patrizia Vendola: “Ho dato io le foto a Panorama» .

Il sommario chiarisce meglio la vicenda: «Cosimo Ladogana ha presentato denuncia alla Digos accusandosi di aver ceduto lui al settimanale le foto della festa a cui hanno partecipato il governatore (Nichi Vendola ndr) e il gip (Susanna De Felice ndr) che lo ha assolto». Bum!

Ma perché avrebbe tradito la famiglia della fidanzata «all’insaputa di tutti»? Semplice: «Voleva scoprire le carte del settimanale e tutelare la sua donna» sarebbe la versione offerta ai poliziotti. In realtà la storia è andata un po’ diversamente e vale la pena di essere raccontata dall’inizio.

Alle 10 e 52 minuti di giovedì 21 febbraio sul computer della segreteria di Panorama arriva una email di un lettore misterioso, nascosto dietro il nickname Japigia69 (Japigia è un quartiere di Bari). Panorama è da poche ore in edicola con la storia della foto della ormai famosa festa di compleanno a cui parteciparono il Vendola e il giudice De Felice, che lo avrebbe assolto nel 2012 dall’accusa di abuso d’ufficio a fronte di una richiesta di condanna a 20 mesi di reclusione. Il nostro settimanale, però, sino a quel momento, aveva pubblicato solo un disegno, una ricostruzione grafica di quell’evento conviviale. Scrive Japigia:

«La foto originale, scattata da me, del 15 aprile 2007 (non 2006) di cui parlate nell’articolo di oggi è in mio possesso insieme ad altre 30 foto che ritraggono e raccontano l’evento. Se interessati, le cedo molto volentieri, altrimenti passo ad altri che sono in attesa. Grazie».

Panorama, mentre il giornale va in stampa, è riuscito a entrare in possesso dell’immagine del pranzo e la pubblicherà sul suo sito Internet verso mezzogiorno di quella stessa mattina. Ma Japigia non può saperlo e ritiene di poter fare il colpo grosso.

Anche se l’immagine la abbiamo, il cronista è ovviamente interessato a capire meglio la vicenda e invia una email a Japigia. La risposta è rapida e l’appuntamento viene fissato per il pomeriggio successivo, venerdì 22 febbraio. Nel frattempo ci attrezziamo per capirne di più e smascherare l’anonimo. Pochi giorni prima ci aveva telefonato, schermato da un numero privato, un altro mister x e ci aveva offerto immagini a un prezzo cospicuo. L’uomo senza volto dà del «tu» al cronista e sa che ha già visionato (senza riuscire a ottenerla) un’instantanea della festa. La storia non ci piace e pensiamo a come svelare l’identità del trafficante di immagini.

Dopo un consulto con la direzione viene chiamato il procuratore di Lecce Cataldo Motta che, a quanto ci risulta, ha un fascicolo aperto sui rapporti tra De Felice e Vendola. Non sappiamo, né possiamo sapere, che Motta ha già chiesto l’achiviazione per il gip. La risposta del magistrato è secca: «E che c’entro io?». Quindi consiglia: «Avvertite le forze di polizia, se lo ritenete». Noi preferiamo a quel punto raccontare la proposta ricevuta ai nostri lettori.

Torniamo a Japigia. Dopo il primo colloquio, le nostre difese non si abbassano. Ma come i giocatori di poker chiediamo di «vedere». L’uomo, grande e grosso, età apparente sui 45 anni, si presenta nella hall dell’albergo in cui alloggiamo. Si siede con noi a un tavolino e inizia subito a riempire l’aria di millanterie (lo scriverà lui stesso in una mail successiva, quando scoveremo la sua reale identità). Dice di essere tornato in Puglia da un anno, di lavorare per un misterioso gruppo di persone che lo paga profumatamente per trovare notizie «scomode» e di essere iscritto all’albo dei giornalisti.

Questa informazione, come accerteremo, è vera: Ladogana dovrebbe aver fatto il praticante in un piccolo giornale di Sesto San Giovanni (Milano) ai tempi in cui faceva il «galoppino» di alcuni noti politici del luogo, ci rivela un amico dell’epoca, Filippo Penati in primis, ex caposegreteria di Pier Luigi Bersani, oggi afflitto da qualche grattacapo giudiziario.

In albergo Cosimo (ma lui si presenta come Domenico, anche se a un certo punto si confonde e dichiara il vero nome) tira fuori tre quattro fogli formato A4 pieni di foto, stampe di provini o di cartelle digitali, e ce le mostra. Ci sono gli scatti del pranzo (sono davvero una trentina) e quelle di un altro evento molto più recente. Cosimo insiste su questo punto, dice che risalgono all’1 maggio del 2012 e che erano presenti sia De Felice che Patrizia Vendola. Aggiunge pure che ci sono altre foto delle due donne in occasione di una Pasquetta e di un Capodanno trascorsi insieme, sempre successivi al 2009 e quindi «pericolosamente» recenti per la famiglia Vendola. Sono questi scatti vicini nel tempo la merce che prova a vendere in questo mercatino improvvisato, visto che le immagini del pranzo del 2007 hanno perso valore alla borsa della notizia dopo la pubblicazione della prima foto su Panorama.it.

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L’informatore dice di avere estratto le istantanee da un vecchio telefonino della Vendola, poi si contraddice e racconta di aver pagato un tecnico per recuperare un hard-disk usato della donna, pagando 3 mila euro. Una cifra buttata lì, quasi a dare un prezzo al pacchetto. Japigia non capisce, o forse sì, che quegli scatti, con tali premesse, diventano roba buona per i ricettatori. Lui, per tranquilizzarci, si propone per una collaborazione che duri nel tempo con il giornale, ovviamente da realizzare con la sua reale identità.

Nel frattempo sul tavolo srotola altre storie. Dice di avere degli audio compromettenti di un magistrato a colloquio con Patrizia Vendola e che quelle registrazioni le aveva suggerite un parlamentare del Pd. Sostiene inoltre di avere  il file di un colloquio tra due imprenditori che scagionerebbe Penati. Gli riferiamo che il nostro tempo è scaduto perché dobbiamo andare al comizio di Vendola per provare a intervistarlo. Sospendiamo la trattativa, con la promessa di rivederci.

Siamo in una fase di studio: il racconto di Cosimo è confuso, le foto sono chiaramente autentiche, lui preferisce rimanere anonimo. La sera lo incrociamo in compagnia di una donna (tra poche righe scoprirete la sua identità). Ci ignoriamo volutamente. Il giorno dopo, altro appuntamento in albergo, ma la matassa non si sbroglia. Anzi. Japigia ci dà appuntamento a Roma, promette di svelare il suo nome e di consegnarci il materiale. In realtà sparisce dai radar. Salvo inviare quattro foto via email: «Sta a voi decidere se ringraziarmi» precisa. Anche senza pagare un centesimo, l’accusa per Panorama di essere una macchina del fango (un ritornello che Vendola aveva già cantilenato dopo una nostra intervista alla sorella) è dietro l’angolo. E sebbene scopriremo che quella melma Vendola ce l’ha in casa, con la direzione decidiamo di pubblicare le istantanee e di descrivere così chi ce le ha consegnate:

«Ma qual è l’identità della fonte e come è entrata in possesso delle foto? Il percorso non è chiaro. Potrebbe essere tortuoso, financo illegale. “Carbonara” (nel pezzo lo chiamiamo così ndr) dice di essere un giornalista freelance e di aver videoregistrato il nostro incontro. Quindi scompare e non si fa più sentire (…). Un approccio indecifrabile. Anche perché nelle stesse ore il cronista incrocia Carbonara per le vie di Bari, e lui fa finta di niente. Passeggia con una signora, con cui sembra in confidenza. Il cronista la riconosce: è Patrizia Vendola (ecco chi è la donna ndr). Gioco o doppiogioco? In ogni caso non è divertente».

Secondo noi ce n’è abbastanza per incuriosire le forze dell’ordine o un magistrato. Ma nessuno, a Bari, sembra interessato alla nostra storia. Nessuno si preoccupa di verificare chi siano gli strani personaggi che offrono foto di cronaca in città senza rivelare la propria identità. Proviamo a chiedere aiuto a Gianrico Carofiglio, magistrato, senatore Pd e grande amico dei Vendola: «So chi è la vostra fonte, ma vi rivelerò la sua identità solo se prima mi racconterete tutto».

Quello che avevamo da dire sull’informatore lo abbiamo scritto, replichiamo. A Carofiglio non basta, vuole altri particolari, cerca conferme ai suoi sospetti. Eppure quanto pubblicato su Panorama sembra sia bastato a rendere identificabile Ladogana all’interno del cerchio magico di Vendola. Per lo meno questo sostiene Japigia, che il 28 febbraio ricompare con una email intestata «Ringraziamenti»:

«Davvero un peccato. Tutto sommato anche previsto. Grazie. Buona giornata».

Il messaggio è vagamente minaccioso. Rispondiamo spiegando che il suo comportamento, le sue parole e le sue frequentazioni ci avevano fatto sospettare di una trappola. Lui si indigna: «Io ero sincero, volevo darvi sul serio una mano, per motivi personali, non ho preteso soldi (…) non sono scomparso, aspettavo il vostro articolo. È andata così, pazienza». Lo abbiamo reso riconoscibile e questo lo ha mandato nel panico: «Beh, almeno adesso avete la certezza che non era un trappolone come lo chiamate voi, che non ero in combutta con nessuno. Cellulare bollente il mio oggi, insulti a non finire, dai miei ex conoscenti, impossibile negare e quindi reo confesso».

La storia è sempre più intricata e Cosimo non intende proprio togliersi la maschera. Scopriamo il suo nome casualmente, da un conoscente vicino al cerchio magico, ma anche questo ci aiuta poco. Esistono diversi omonimi. Iniziamo la caccia. Vogliamo conoscere la verità e glielo facciamo sapere. Chiediamo, sempre per iscritto, di incontrarlo e di parlare a quattr’occhi, per capire i reali motivi del suo comportamento. Non risponde. Gli riferiamo che il materiale in suo possesso ci servirà in vista di eventuali querele già annunciate. Lui preferisce restare nell’ombra. Ma l’uomo è venale e per riagganciarlo gli proponiamo «una soluzione buona per entrambi». Abbocca.

«Non vedo perché dovrei fidarmi di te» scrive riferendosi al cronista, «ti ho incontrato e tu due ore dopo mi vedi in compagnia (di Patrizia Vendola ndr) e decidi di trattarmi così? Mi hai messo tutti contro» si lamenta. Ma alla fine del messaggio apre uno spiraglio: «Quale sarebbe “una buona soluzione per entrambi”?». Restiamo sul vago. Non promettiamo niente di concreto. Lui torna alla carica: «Anche se volessi accettare come potreste tutelarmi da eventuali conseguenze penali e quale sarebbe il mio compenso?».

Proponiamo di continuare a proteggere il suo anonimato ed eventualmente di pagargli foto e collaborazione, se dimostrerà di essere un giornalista, attraverso «un regolare bonifico».

Probabilmente queste condizioni lo scoraggiano e si eclissa di nuovo. Nel frattempo apprendiamo molte infornazioni sul suo conto.

Un ex politico di Sesto San Giovanni ci racconta la sua vera storia, le imprese fallite, l’attuale vita fatta «di espedienti». Ci invia il suo numero di cellulare con questa raccomandazione: «Non fategli male, è un buon diavolo, forse un po’ c…e». Inviamo a Cosimo altre email, messaggini sul cellulare, ma lui continua a non dare segni di vita. Il 4 marzo, a causa della nostra insistenza, probabilmente si sente in trappola e spedisce al cronista poche righe, apparentemente dettate da un leguleio:

«Preciso che tutto quello che ho detto nella nostra chiacchierata, erano invenzioni e millanterie. Ho frequentato Patrizia Vendola per oltre un anno, siamo stati insieme tutti i giorni e nell’arco di quest’anno c’è stato un solo casuale incontro con la dottoressa De Felice. Ogni cosa diversa tu dovessi dire o attribuire virgolettata, sul tuo giornale sarà falso e ne dovrai rispondere alle persone eventualmente diffamate, in sede civile e penale».

Rispondiamo che per tutelarci a noi basta rivelare il suo nome, il fatto che ci abbia consegnato le foto e che ne abbia altre. Il 5 marzo scriviamo un articolo sull’affaire Vendola-De Felice senza citarlo. È l’ultima possibilità che gli diamo per uscire allo scoperto. Gli facciamo capire che lo proteggeremo come fonte in cambio delle prove di quello che abbiamo scritto, riscontri che abbiamo visto, ma che non ci ha consegnato. Ribadiamo che se non si farà vivo saremo costretti a svelare la sua identità per difendere il nostro lavoro con i lettori e nei tribunali.

Quello stesso pomeriggio un collega ci avverte che Ladogana è andato ad autodenunciarsi alla Digos. Alle 19.25 Japigia ci annuncia personalmente la decisione: «Ho riferito tutto alla polizia giudiziaria, consegnando la documentazione. Ognuno si prenderà le proprie responsabilità». La nostra risposta è lapidaria e un po’ ironica: «Bene. Finalmente trionferanno verità e giustizia. Speriamo che almeno alla Digos tu non abbia chiesto soldi, abbia dato le tue vere generalità, consegnato tutto quello di cui parli nell’audio e le foto che ci hai fatto vedere».

Già. Chissà se a qualcuno, adesso, interesseranno le immagini che documentano gli incontri della famiglia Vendola e del giudice De Felice anche in anni molto recenti. Forse ora ci sarà chi proverà a vederci chiaro. Se accadrà, di questo piccolo miracolo dovremo ringraziare Japigia.

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Giacomo Amadori

(Genova, 1970). Ex inviato di Panorama e di Libero. Cerca di studiare i potenti da vicino, senza essere riconosciuto, perciò non ama apparire, neppure in questa foto. Coordina la sezione investigativa dellaVerità. Nel team, i cronisti Fabio Amendolara, Antonio Amorosi e Alessia Pedrielli, l'esperto informaticoGianluca Preite, il fotoreporter Niccolò Celesti. Ha vinto i premi giornalistici Città di Milano, Saint Vincent,Guido Vergani cronista dell'anno e Livatino-Saetta.

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