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Stati Uniti a rischio guerra con la Turchia

In Siria uno scenario da prima guerra mondiale: coinvolgimento di numerose potenze e intrecci di alleanze variabili e mosse con conseguenze imprevedibili

In Siria è cambiato lo scenario della guerra dopo la sconfitta dell'Isis. Ora sembra prospettarsi una condizione ad alto rischio, ma diversa, più complessa. Condizione che gli analisti di Defense One sostengono abbia analogie con quelle che portarono alla Prima Guerra Mondiale nel 1914, nei mesi che precedettero e nelle settimane che seguirono l'attentato di Sarajevo.

Vale a dire: caratterizzata dalle alleanze variabili e che - fra l'altro vede una pericolosissima contrapposizione fra Stati Uniti e Turchia, che sono due partner nella Nato.

Fondamentale il ruolo giocato in modo più o meno esplicito della Russia. L'ultimo gesto destabilizzante in ordine di tempo è arrivato da Washington, che ha appena consegnato nuove armi anti-missile ai miliziani curdi impegnati in Siria.

Una mossa che rischia di far precipitare la situazione, in una escalation che vede Ankara sempre più in rotta di collisione con Washington e sempre più vicina invece alla Russia.

La battaglia cruciale ad Afrin

L'offensiva turca lanciata ad Afrin, la piccola enclave della Siria nordoccidentale governata dai curdi siriani, sembra essere decisiva nei rapporti con gli Stati Uniti.

L'obiettivo dell'operazione Olive Branch ("Ramo d'ulivo"), condotta dalle forze di Ankara, è quello di "neutralizzare" migliaia di terroristi.
Tra questi, però, ci sarebbero anche le milizie curde dello Ypg, ovvero i principali componenti delle Syrian Democratic Forces (Sdf), la milizia creata su spinta americana nel nord-est della Siria per combattere lo Stato Islamico.

Il condizionale è d'obbligo, perché la zona è interdetta alla stampa: a parlare dei bombardamenti dell'aviazione turca è stata Nasrin Abdallah, la donna che comanda le unità di protezione popolari curde femminili (Ypj).
Secondo Nasrin le truppe di Erdogan starebbero, però, utilizzando anche i combattenti di al-Nars, vicini ad al-Qaeda e jihadisti dell'Isis, per contrastare via terra i curdi: il presidente turco Erdogan li considera braccio armato del partito indipendentista curdo Pkk e dunque una potenziale minaccia per la Turchia e la sua integrità territoriale. In pratica Ankara teme che si crei uno stato forte e autonomo curdo.


Le azioni americane

In questo scenario diventano fondamentali il ruolo e le risposte degli Stati Uniti, che sembrano sempre più distanti dalle posizioni turche. Washington ha già addestrato e armato le Syrian Democratic Forces.

Ora, però gli Usa si sono spinti oltre consegnando all'Ypg, secondo quanto riferito dal portale arabo Al-Masdar News, un lotto di lanciarazzi portatili. Avrebbe anche fornito ulteriori equipaggiamenti bellici ai curdi impegnati proprio nella battaglia di Afrin.
Un'operazione che, nonostante dovesse rimanere segreta, appare come un segnale chiaro: le milizie curde ne escono rafforzate, soprattutto in caso di conflitto dichiarato con l'esercito turco e quello siriano. Non è un caso che proprio gli Usa abbiano di recente condotto un raid contro le truppe lealiste di Assad, costato la vita a 400 persone, alcune decine delle quali di nazionalità russa .
Si tratta, però, anche di un messaggio, neppure troppo velato, alla Russia che finora si è mossa dietro le quinte.

Il ruolo della Russia

Dopo aver dichiarato sconfitto l'Isis, infatti, le forze di Mosca non hanno abbandonato il territorio siriano. Non solo. Proprio il Cremlino da un anno e mezzo a questa parte si era fatto garante, insieme alla Casa Bianca, dei territori sotto egida del Pyd, il partito che di fatto controlla il nord della Siria e a cui fanno capo le milizie Ypg. Un tacito accordo finora aveva previsto una "spartizione" tra Russia e Usa: la prima avrebbe mantenuto la propria tutela nella parte occidentale dell'Eufrate, dove si trova Afrin, inviando anche un team di osservatori militari; i secondi, invece, si sarebbero fatti carico di garantire protezione a est del fiume, sostenendo le Sdf.

Ora, però, Mosca pare aver cambiato linea, dimenticando il ruolo dei combattenti curdi nella lotta all'Isis e dando un implicito via libera all'offensiva turca proprio contro le milizie Ypg ad Afrin.
Se le forze turche vincessero nella cittadina siriana, il prossimo obiettivo più volte dichiarato da Erdogan sarebbe Manjib. Si arriverebbe, dunque, ad un faccia-a-faccia con il contingente statunitense, con il rischio di una guerra vera e propria.

Una "nuova" Prima Guerra Mondiale?

Proprio la caratteristica delle geometrie e alleanze variabili che si stanno configurando in Siria tra gli attori presenti sul campo (Stati Uniti, Turchia e Russia) spinge gli osservatori citati da Defense One a ipotizzare analogie con il primo conflitto mondiale. Quanto accaduto negli ultimi mesi, anche all'interno della Turchia, viene letto come una escalation pericolosa nel deterioramento dei rapporti tra Ankara e Washington, ex alleato forte all'interno della NATO.

Le tappe fondamentali:

  • luglio 2016: va in scena un (finto?) golpe in Turchia, con l'effetto immediato di epurare circa 400 ufficiali, sostituiti da altrettanti uomini-chiave voluti da Erdogan e presumibilmente più distanti da posizioni di alleanza con gli Stati Uniti;
  • luglio 2017: Anadolou, l'agenzia di stampa ufficiale di Ankara, rivela la presenza di 10 basi americane nel nord della Siria, mettendo così in pericolo le truppe statunitensi e vanificando l'esito di alcune operazioni segrete;
  • agosto 2017: le forze turche aprono il fuoco contro quelle americane sempre nel nord della Siria;
  • dicembre 2017: la Turchia finalizza l'acquisto di un sistema missilistico di difesa (s-400) dalla Russia; Ankara, oltre, rifiuta l'accesso alle forze di stati membri della NATO in alcune sue basi, come quella strategica di Incirlik;
  • gennaio 2018: offensiva turca ad Afrin, con la "benedizione" russa.

Per saperne di più

Azaz
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Combattenti ribelli siriani con la bandiera della Turchia e quella dell'esercito siriano libero in un posto di blocco nella città siriana di Azaz, su una strada che porta ad Afrin, il 1 febbraio 2018.

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Eleonora Lorusso