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Laura Lezza/Getty Images - ottobre 2018
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Missioni all'estero, cosa cambierà per l'Italia

Si punta sulla presenza in Africa (Niger e Tunisia), meno uomini in Medio Oriente. La spesa non calerebbe

Più Africa, meno Medio Oriente. Le voci che circolavano già da qualche settimana sembrano trovare sempre più conferme. Il Governo punterebbe a rafforzare le missioni militari italiane nei Paesi del nord Africa, dove è già presente, soprattutto inLibia, confermando la presenza strategica in Niger (ai fini del contrasto al traffico di esseri umani e all’immigrazione clandestina) e consolidando quando avviato anche la Tunisia.  

In compenso il Ministero della Difesa, guidato da Elisabetta Trenta, vorrebbe ridurre l’impegno in Afghanistan e Iraq. Proprio in quest’ultimo Paese, l’obiettivo sarebbe quello di chiudere la missione Praesidium a Mosul nei primi mesi del 2019, perché si ritiene che siano venute meno le necessità di mantenere un contingente.

Niger: più Africa in chiave anti immigrazione

Nei mesi scorsi era finita nel mirino delle polemiche la missione in Niger, già annunciata dal precedente esecutivo e ritenuta strategica ai fini del contrasto ai traffici di esseri umani. Data la collocazione del Paese, che si trova al confine meridionale della Libia, il fatto di poter contare su un presidio in loco che controlli gli accessi proprio al territorio libico da sud era considerato di grande importanza. Dopo un apparente stop e voci contrastanti, la missione è stata di recente autorizzata. Al momento la presenza militare in Niger è limitata a una cinquantina di uomini, ma dovrebbe arrivare a 470 unità massime nell’arco di un anno, supportati da 130 mezzi terrestri e due aerei.

Si tratta di un impegno militare “non combat”, come già chiarito a suo tempo dall’ex ministro Pinotti, che “nasce per mettere le sentinelle ai confini: i nigerini ci hanno chiesto di aiutarli a diventare capaci di controllare i loro confini” aveva spiegato Pinotti, confermando regole di ingaggio identiche a quelle seguite in Iraq e Afghanistan.

La base operativa per le forze italiane è stata individuata nell’ ex fortino della Legione straniera a Madama, al confine con la Libia meridionale, ma è previsto che i militari possano avere all’occorrenza un raggio d’azione che arrivi fino alla Mauritania, al Benin e alla Nigeria.

Il destino della Libia

Sempre in territorio africano, la Libia resta strategica. Al momento la missione Ippocrate (partita a settembre 2016) presso l’aeroporto di Misurata, non è messa in discussione, anche se potrebbe subire cambiamenti nella dislocazione del personale, con una possibile unificazione con i militari impiegati invece nell’azione di addestramento della Guardia costiera libica per controllare i flussi migratori nel Mediterraneo. Si tratta dell’impegno più costoso, con 34 milioni di euro autorizzati dal Parlamento. Circa 400 i militari coinvolti.

La Tunisia

A queste missioni si aggiunge la presenza militare italiana in Tunisia. In questo caso l’Italia è già operativa sotto egida NATO, per contribuire alla realizzazione di un sistema di difesa aereo e missilistico, il cosiddetto Air policing, che impegna circa 250 uomini e 12,5 milioni. Il decreto del Consiglio dei Ministri, approvato dal Parlamento lo scorso gennaio e ora da rinnovare, prevedeva però anche una missione ad hoc, chiesta dalla Tunisia alla NATO stessa, per migliorare le proprie capacità di condurre operazioni interforze nel controllo delle proprie frontiere e in chiave antiterrorismo. Prevede l’impiego di circa 60 militari e una spesa complessiva autorizzata di 4,9 milioni di euro (contro i 30 previsti per il Niger).

Lo scenario nei mesi scorsi è però mutato. Dopo lo scambio di battute al vetriolo tra il ministro dell’Interno, Salvini, e il Governo tunisino, ritenuto troppo “morbido” nei controlli lungo le proprie coste, i rapporti si sono distesi, tanto che lo stesso Salvini è stato in visita a Tunisi a fine settembre. Obiettivo del viaggio è stato mettere a punto un piano di contrasto al traffico di esseri umani. Da qui l’impegno ad aumentare i voli per il rimpatrio di migranti illegali e migliorare i sistemi di controllo delle coste tunisine: “Contrastare l’immigrazione clandestina è una priorità condivisa dai due Paesi” ha spiegato il titolare del Viminale, che sarebbe pronto a fornire aiuti economici e agevolare investimenti italiani in cambio di una maggiore velocità e semplificazione delle procedure di rimpatrio. Se questo possa tradursi in un maggiore impegno militare italiano nel paese nordafricano lo si vedrà nelle prossime settimane.

Meno Iraq e Afghanistan

Ad essere ridimensionate, invece, saranno le missioni in Medio Oriente, a partire dalla presenza militare italiana in Iraq e in particolare a Mosul. La necessità di mantenere un contingente addetto al controllo della diga, con lamissione Presidium, sembra ormai venuta meno e l’obiettivo è quello di ridurla già entro fine anno con il rimpatrio di 50 uomini. La “chiusura completa della missione Praesidium” sarebbe invece prevista “nel primo trimestre del 2019”.

Anche il numero complessivo di uomini impiegati nell’ambito della Coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica dell’Isis in Iraq (circa 1.100) potrebbe essere dimezzato.

Una progressiva riduzione è prevista anche in Afghanistan, dove la presenza italiana è concentrata a Herat, ma potrebbe diminuire già entro poche settimane: “entro il 31 ottobre”, secondo quanto riferito da fonti della Difesa all’Ansa. Si parla di progressivo “graduale disimpegno voluto dal ministro”, pari a circa 100 militari in meno sui circa 950 attualmente presenti sul territorio. “Considerato l'imminente processo elettorale, abbiamo tuttavia agito con responsabilità anche verso gli alleati. Nel 2019 si procederà ad ulteriori riduzioni, mantenendo sempre la capacità operativa della missione” spiegano le fonti.

Il budget

In totale, secondo quanto approvato dal Parlamento, nel 2018 sono state e saranno impiegate più di 6.000 unità, oltre a 1.400 mezzi terrestri, 60 mezzi aerei e 20 navi, comprese le missioni in Libano, Kosovo e nel Mediterraneo e Mar Rosso, come nel caso del Sinai.

I fondi complessivi stanziati sono stati pari a circa 900 milioni di euro per i primi 9 mesi dell’anno, che dovranno essere riapprovati o modificati nelle prossime settimane. Resta, dunque, da vedere se le intenzioni e le voci circolate in questi giorni saranno confermate, in particolare nell’intento di rafforzare la presenza in Africa, già ritenuta nel documento della Camera dei Deputati “di prioritario interesse strategico in relazione alle esigenze di sicurezza e difesa nazionali”. Rispetto al 2017 il budget per il continente africano è già passato dal 9% al 17% di quello complessivo delle missioni estere, con una riduzione invece per quelle asiatiche, dal 58% al 51%.

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Eleonora Lorusso