Kherson
(Ansa)
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La Russia perde Kherson e Dugin chiede l'addio di Putin

L'ennesima sconfitta sul campo di battaglia, forse la più pesante dall'inizio della guerra per l'esercito russo, ha conseguenze non solo in Ucraina, ma anche al Cremlino. Come reagirà il leader?

Ieri mattina alle prime luci dell’alba l’esercito russo impiegato sulla riva destra del fiume Dnipro ha abbandonato la città di Kherson. L'ordine impartito dalle forze di Kiev ai militari russi è quello di «Arrendersi immediatamente perché ogni soldato russo che resisterà sarà eliminato». Mentre ieri la bandiera ucraina veniva di nuovo issata nella centrale Piazza della Libertà la popolazione è uscita dai rifugi per festeggiare e ci sono stati caroselli di auto, soldati sollevati dalla folla, grida di gioia, abbracci e tante lacrime anche per chi è morto per mano dell’invasore russo.

Le forze russe sono state costrette ad abbandonare l'unico capoluogo di provincia che erano riusciti a conquistare dall’invasione di febbraio. Proprio come la fallita conquista di Kiev, mantenere Kherson era diventato semplicemente insostenibile.Si tratta dell’ennesimo rovescio militare per i russi che in questi mesi hanno visto l’affondamento dell'ammiraglia della flotta del Mar Nero, la distruzione del ponte di Kerch, che collega la Crimea alla Russia e la morte di almeno centomila soldati al fronte. A proposito di vittime, il generale Carl Milley, capo di Stato maggiore americano, ha parlato «di centomila tra morti e feriti per parte».

Duecentomila morti in otto mesi e mezzo di guerra sono una cifra enorme se confrontati all’invasione russa in Afghanistan durata dieci anni, dove morirono secondo le stime ufficiali 15.000 soldati russi. Sia chiaro, i russi non sono certo sconfitti, tuttavia, l’abbandono di Kherson è l’ennesimo rovescio militare per i russi che in questi mesi, dopo aver fallito la conquista di Kiev, hanno visto l’affondamento dell’incrociatore Moskva, nave l'ammiraglia della flotta russa del Mar Nero, e la distruzione parziale del ponte Kerch, ad oggi ancora fuori uso e o lo sarà per i prossimi dieci mesi. Volodymyr Zelensky in un video ha dichiarato: «Oggi è una giornata storica. Ci riprendiamo Kherson», mentre il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, parlando al vertice del sud-est asiatico in Cambogia ha detto che «la guerra continua, dopo il successo di Kherson. Capisco che tutti vogliono che questa guerra finisca il prima possibile e noi siamo sicuramente quelli che lo vogliono più di chiunque altro».

Per tornare al ritiro da Kherson questa mattina sono arrivate le clamorose dichiarazioni di Aleksandr Dugin, filosofo e ideologo del nazionalismo grande-russo, che lo ha definito come «l’ultimo possibile», avvertendo che, in caso di nuovi rovesci militari, «chi è al potere dovrebbe essere eliminato». Un attacco senza precedenti diretto a Vladimir Putin con il quale da tempo i rapporti si sono raffreddati anche perché Dugin si aspettava la vendetta russa dopo la morte di sua figlia Darya Dugina, uccisa in un attentato (compiuto secondo gli USA dai servizi segreti ucraini) lo scorso 20 agosto in un sobborgo di Mosca. Dopo i funerali sulla vicenda è calato il silenzio. Dopo pochi minuti l’articolo è stato cancellato dal blog del filosofo ma alcuni giornalisti sono riusciti a copiarne il contenuto prima della sua cancellazione. Dugin ha definito la ritirata da Kherson «l’ultima linea rossa accettabile per l’operazione militare speciale russa in Ucraina. Le autorità in Russia non possono più cedere nulla. Il limite è stato raggiunto», ha scritto il filosofo che ha definito Kherson come «una città russa, capoluogo di una delle regioni della Russiache è andata perduta».

Ma c’è chi ritiene che la durissima presa di posizione di Aleksandr Dugin sia un modo per spingere il Cremlino ad aumentare la potenza di fuoco sull’Ucraina. In ogni caso il consigliere fidato dello Zar da questa mattina farebbe bene a non avvicinarsi troppo alle finestre e a fare attenzione al cibo perché si sa che chi critica il padre padrone della Russia unico responsabile di questa scriteriata guerra, ha sempre vita breve. Anche se per anni è stato il filosofo di Putin.

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Stefano Piazza