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Stadio della Roma: tutti i dubbi sul progetto

Manca il secondo accesso e l'impianto urbanistico è peggiorato. Inoltre, non c'è certezza sui tempi delle opere pubbliche

L’annuncio del via libera allo stadio della Roma a Tor di Valle, a inizio dicembre, è stato accompagnato dal prevedibile entusiasmo generale. Il sindaco di Roma Virginia Raggi e il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti hanno esultato per la conclusione di un iter politico-burocratico che andava avanti da anni e il ministro dello Sport Luca Lotti ha promesso ben 100 milioni di fondi pubblici per un nuovo ponte sul Tevere.

In questa celebrazione collettiva si è parlato poco o niente dei dettagli del progetto, che vanno invece considerati con attenzione per capire quale potrà essere l’impatto del nuovo stadio sulla vita della città.

Il progetto

Fin dal suo insediamento la giunta del M5S ha fatto sapere di considerare il primo progetto della Roma e del costruttore Luca Parnasi, già approvato dal Consiglio comunale al tempo del sindaco Ignazio Marino, troppo pesante dal punto di vista urbanistico. Bisognava ridurre, e di molto, le cubature del “business park”, la cittadella di uffici e negozi da realizzare intorno allo stadio: via le famose torri progettate dall’archistar Daniel Libeskind e via più della metà degli edifici destinati alle attività non direttamente legate allo stadio e alla Roma calcio.

Il progetto appena approvato recepisce pienamente queste indicazioni (i volumi complessivi autorizzati, inizialmente pari a circa un milione sono ora di 500 mila metri cubi), ma la conseguenza paradossale è che l’impatto urbanistico di tutta l’operazione è nettamente peggiorato. La riduzione dei volumi implica infatti una diminuzione degli utili previsti per la società costruttrice, da cui deriva un taglio altrettanto importante delle risorse messe al servizio delle opere pubbliche.

Cosa manca

Di questa evidente debolezza del progetto non parla quasi nessuno, per ragioni politiche ed economiche facilmente comprensibili: due durissime tornate elettorali in arrivo (quella nazionale e quella del Consiglio regionale); un mercato dell’edilizia in faticosa ripresa, anche dal punto di vista occupazionale, dopo la peggior crisi dal dopoguerra; una società incaricata di realizzare il progetto, la Eurnova, cui sono affidate le ambizioni di rinascita della seconda generazione dei Parnasi, storica famiglia di costruttori romani molto indebita le cui attività sono da poco finite in liquidazione in seguito a un accordo con il principale creditore, Unicredit.

Mettere in luce le magagne del nuovo stadio non è facile per nessuno che ricopra posizioni di rilievo, ma i punti critici sono diversi e molto significativi.

Anzitutto c’è la mancanza di una seconda via di accesso e di deflusso. Poiché lo stadio e l’intero nuovo quartiere saranno edificati in un’ansa del Tevere ci sarebbe bisogno di un ponte (di cui già si conosce il nome: ponte di Traiano) per attraversare il fiume e collegare il tutto all’autostrada Roma-Fiumicino. Il progetto iniziale prevedeva che a realizzarlo fosse la società costruttrice ma nell’ultima versione approvata non ce n’è più traccia.

Il ministro Lotti ha detto che ci sono i soldi per farlo costruire allo Stato. Addirittura 100 milioni (cifra esorbitante se si considera la scarsità di risorse con cui Roma è costretta a fare i conti ogni giorno e le opere importanti che non si mettono in cantiere per mancanza di mezzi), ma nessuno può dire se il ponte si farà davvero né quando.

Secondo la Città metropolitana (l’ex provincia), che fa parte della Conferenza dei servizi, le esigenze di sicurezza del secondo accesso potrebbero in parte essere soddisfatte da un aumento della pista ciclabile lungo il fiume, un’affermazione che non può non suscitare perplessità e preoccupazioni.

Lo stesso discorso vale per il rafforzamento della mobilità pubblica. In una prima fase (anche nelle affermazioni del sindaco Raggi) erano previsti investimenti per garantire che almeno il 50 per cento degli spettatori potessero raggiungere lo stadio con mezzi pubblici ma oggi tutti ammettono che quella percentuale resterà una chimera. Si parla di acquistare alcuni nuovi convogli per la Roma-Lido ma poiché la gestione della linea ferroviaria è chiaramente fuori dal controllo dei costruttori è impossibile dire quando sarà.

Inizio lavori

Ed è qui che si arriva al nodo più importante: i tempi.

“Nel vecchio progetto” spiega Anna Maria Bianchi, presidente dell’associazione Carteinregola, attiva da anni sulle più importanti questioni urbanistiche della città “era previsto l’obbligo per la società costruttrice di portare a termine le opere richieste prima del fischio di inizio della prima partita. Ora questa condizione vale solo per alcuni interventi. La realizzazione di elementi importantissimi come il ponte di Traiano e il rafforzamento della ferrovia dipende anche da una pluralità di soggetti pubblici, quindi né la Roma né Eurnova sono chiamati a garantirne la realizzazione. È questa indeterminatezza di tempi e di modi a rappresentare l’aspetto più preoccupante del progetto”.

Insomma, se fra dieci anni il ponte di Traiano o i nuovi mezzi della ferrovia non fossero al loro posto e la zona si rivelasse un inferno di traffico a ogni partita della Roma non sapremmo nemmeno a chi chiederne conto.

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Stefano Caviglia