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(Ansa)
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Nella testa di chi pensa o arriva al suicidio

Abbiamo chiesto alla Dott.ssa Cristina Brasi, Psicologa, Criminologa e Analista Scientifica del Linguaggio Non Verbale, quali sono le motivazioni che portano a tali azioni

Riccardo Faggin era uno studente di Scienze Infermieristiche di 26 anni. È morto schiantandosi con la propria vettura contro un platano. Il giorno dopo avrebbe detto a familiari e amici di doversi laureare, ma non vi era in programma nessuna discussione. Quanto accaduto riporta alla mente tutti i casi di studenti universitari che hanno scelto la morte per aver mentito rispetto alla propria carriera universitaria.

Il suicidio è il risultato dell’interazione di vari elementi tra i quali la depressione rappresenta il più comune e significativo, ma non unico, fattore di rischio. Quando si parla di comportamento suicidario ci si riferisce a tre fenomeni: il suicidio compiuto, ovvero un atto intenzionale di autolesionismo che ha portato al decesso; il tentato suicidio, un atto di autolesionismo che voleva portare al decesso e l’ideazione suicidaria ossia pensieri, pianificazione e atti preparatori relativi al suicidio. Statisticamente, questo disturbo dell’umore, sarebbe coinvolto in oltre il 50% dei tentativi di suicidio e in una percentuale anche maggiore di suicidi compiuti. Il rischio di suicidio sarebbe maggiore se il soggetto depresso risulti soffrire anche di grave ansia. Le persone affette da schizofrenia o altri disturbi psicotici potrebbero avere deliri (convinzioni false stabili) che non riescono a gestire, oppure potrebbero sentire voci (allucinazioni uditive) che ordinano loro di uccidersi, ma, anche in questo caso, le persone affette da schizofrenia, tenderebbero alla depressione. La comorbilità avrebbe come conseguenza il fatto che, il tasso di morte per suicidio in questi soggetti, sia molto superiore (10%) rispetto a quello della popolazione generale. Anche i soggetti con disturbo borderline della personalità o con disturbo antisociale della personalità, specialmente quelli con trascorsi di impulsività, aggressività o comportamento violento, presenterebbero un rischio maggiore di suicidio. I soggetti con questi disturbi della personalità tenderebbero infatti ad avere una minore tolleranza alla frustrazione e a reagire impetuosamente allo stress, il che potrebbe comportare azioni autolesionistiche o comportamenti di natura aggressiva.

Secondo la teoria della triade cognitiva di Beck, la perdita di speranza nei confronti di sé stessi, del mondo e del futuro, e la presenza costante di un sentimento di disperazione, possono facilmente portare la persona depressa a vedere nel suicidio l’unica strategia di coping possibile per fronteggiare il proprio dolore. Per Aaron Beck il depresso sarebbe caratterizzato da una triade cognitiva caratterizzata da una visione negativa di sé sotto il profilo del valore personale e dell’amabilità, una visione negativa del mondo e aspettative negative circa il futuro.

Il cognitivismo classico descrive nel depresso pensieri stereotipi caratteristici che tenderebbero a prevalere nei periodi critici. Tra questi ravvisiamo l'eccessiva generalizzazione, ossia il trarre conclusioni generali in tutte le situazioni, sulla base di un singolo incidente; l'esagerazione e la minimizzazione, riferiti alle valutazioni sull’importanza relativa degli eventi; la personalizzazione che descrive la tendenza a correlare eventi esterni a sé stessi, quando non vi sono ragioni per operare una tale connessione e il pensiero dicotomico per mezzo del quale si tenderebbe a ritenere che nella vita se non si ottiene nulla, non si otterrà mai nulla. Se guarda il mondo attraverso il pensiero dicotomico, il soggetto crederà che non vi siano vie di mezzo tra successi e insuccessi. Il depresso utilizzerebbe questa modalità per dimostrare a sé stesso che non vale nulla finché non ha ottenuto il massimo. Questo ultimo elemento sarebbe molto pregnante e sarebbe presente alla base della scelta di mentire rispetto al proprio iter accademico.

È importante considerare che non esisterebbe un profilo suicidario caratteristico, il comportamento suicidario può di fatto interessare uomini e donne di tutte le età, etnie, dottrine, livelli di reddito e di istruzione e di qualsiasi orientamento sessuale.

La scelta della modalità invece dipenderebbe spesso da fattori culturali e dalla disponibilità di mezzi letali per commettere l’atto e può o meno riflettere la serietà dell’intenzione. Alcuni metodi, come gettarsi da un edificio alto, tipologia di scelta molto comune nei ragazzi oggetto di analisi, renderebbero meno probabile la sopravvivenza, mentre altri metodi, come l’overdose da farmaci, consentirebbero maggiormente il soccorso. Tale elemento fornirebbe quindi importanti indicazioni rispetto al fatto che, l’insostenibilità delle menzogne, la paura di avere deluso in maniera percepita i propri cari, e il vissuto di irreparabilità, farebbero convenire solo ad un’unica via di uscita dalla situazione, il togliersi la vita.

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Redazione