Migranti sgomberati a Roma
ANSA/ANGELO CARCONI
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Migranti: ecco gli attivisti eritrei che si occupano dell'accoglienza

Vorrebbero aprire le porte ai loro connazionali. Tra politica e aiuto "umanitario", si scagliano contro il governo italiano

"Le porte via mare sono chiuse. Dobbiamo trovare il modo, la strategia per aiutare i migranti, farli entrare e far valere i loro diritti" è l'incitamento di Abrham Tesfai in una diretta Facebook dell'11 agosto da Bologna. Da otto anni in Italia, dichiarato oppositore del regime di Asmara, l'attivista eritreo mescola politica e accoglienza a oltranza utilizzando abilmente il motivo umanitario.

Chi è Abrham Tesfai, attivista eritreo contro il governo

Lo faceva pure quando lavorava, fino a settembre 2017, come mediatore culturale alla Questura di Bologna, pagato dal Viminale. Tesfai è solo la punta dell'iceberg di una "rete" di attivisti eritrei come don Mussie Zerai, Tareke Brhane e Alganesh Fisseha vicini alla sinistra di Laura Boldrini, che vorrebbero abbattere i confini, aprire le porte a tutti e ribaltare il regime di Asmara.

Da metà agosto la pagina Facebook di Tesfai è zeppa di appelli e mobilitazioni per "liberare gli ostaggi", in gran parte eritrei, della nave Diciotti. L'attivista online si scaglia contro il governo italiano colpevole di "insultare i neri, i musulmani, gli immigrati e di voler sbattere fuori gli africani". E sostiene in diretta con i suoi fan, che per questo "dobbiamo combattere".

La Questura di Bologna conferma che Tesfai, con il nome comune Abrahalei, ha lavorato come mediatore culturale per un anno nell'ufficio Immigrazione di via Bovi Campeggi. Ufficialmente il rapporto si sarebbe concluso "perché sono diminuite le richieste degli eritrei". Il sospetto è che fosse imbarazzante per il Viminale pagare un mediatore culturale, che dopo i tumultuosi sgomberi degli africani a Roma dell'agosto 2017 guidava le manifestazioni di protesta con tanto di megafono bollando la Polizia come "inumana".
Il 20 agosto 2017 Tesfai condivideva un eloquente post contro gli sgomberi: "Ancora una volta lo Stato mostra il suo volto feroce contro i più deboli... per far contenti gli imbecilli razzisti. Sempre secondo il volere dei Minniti, dei Di Maio, dei Salvini e di tutti gli sciacalli spudorati che sfruttano l'ignoranza degli italiani".

Tra aiuto "umanitario" e mobilitazione politica

L'11 agosto di quest'anno l'attivista eritreo ha lanciato una delle sue dirette su Facebook in tigrino collegandosi pure con i migranti in Libia, che vogliono sbarcare in Italia. "Le porte del mare sono chiuse" esordisce Tesfai "ma sia noi, che alcuni volontari italiani ci stiamo dando da fare" (per riaprire gli sbarchi). A chi dalla Germania chiede notizie di parenti o amici ancora in Libia spiega che "sono quelli del trafficante Abduselam" oppure che i "poliziotti chiedono molti soldi" per lasciarli andare. E quando l'interlocutore vuole capire cosa può fare o chi deve pagare, Tesfai lo invita a scrivergli "privatamente in modo che ti metto in contatto con quelli che mi hanno informato...".

L'aiuto "umanitario" si mescola alla mobilitazione politica per la manifestazione a Ginevra del 31 agosto, davanti alla sede dell'Onu, "indetta dall'opposizione eritrea (...) per far sì che il dittatore Isaias Afewerki ed i suoi generali siano dichiarati responsabili di crimini contro l'umanità e perseguiti dal Tribunale penale internazionale". Ovviamente alla manifestazione "i partecipanti devono venire con degli slogan contro quello che sta succedendo in Libia e con in mano le foto dei loro parenti", ancora bloccati sull'altra sponda del Mediterraneo.

Il 24 agosto Tesfai ha postato la faccia di un altro membro della rete di influenza eritrea, Tareke Brhane, che tiene in mano un cartello con un appello in tigrino "a tutti gli eritrei che vivono in Europa e agli attivisti" contro "il governo italiano (che) ha sequestrato 150 persone" a bordo della nave della Guardia costiera che era ormeggiata a Catania. Berhane, diventato cittadino italiano, è presidente del Comitato 3 ottobre in ricordo del naufragio al largo di Lampedusa che causò la morte di 368 migranti, nel 2013. Attivo nelle petizioni su Changeorg con l'hastag #apriamoiporti, dopo il giro di vite del ministro dell'Interno Matteo Salvini.

Sulla scia del prete eritreo Mussie Zera

Berhane, così come Tesfai, sono seguaci del prete eritreo Mussie Zerai, soprannominato il "Mosè dei migranti". La procura di Trapani lo ha indagato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ma lui sostiene di avere solo allertato i soccorsi per salvare i migranti in mare. Indiscrezioni di stampa preannunciano che le inchieste sulle Ong, sia a Trapani sia a Catania, saranno presto archiviate. Panorama, però, ha scoperto che don Mussie ha già avuto guai con la giustizia italiana quando era giovane e appena arrivato dall'Eritrea.

Prima di farsi prete è finito in carcere a Roma nel 1994 e "condannato a due anni di reclusione", con rito abbreviato, per concorso in detenzione ai fini di spaccio di 2,2 chilogrammi di hasish. La faccenda della droga non è mai stata citata nelle biografie di Zerai, che pure avrebbe potuto giocare la carta della redenzione con l'abito talare. E il 19 agosto don Mussie mirava alto sul caso Diciotti: "Lo stato di diritto in ostaggio, le persone tratte in salvo ora 'prigioniere' sulla nave, nessun magistrato interviene?". E accusava il Viminale di "politica da pirati e bullismo sulla pelle dei profughi". Chissà come avrà esultato una settimana dopo quando Salvini è stato iscritto nel registro degli indagati per sequestro di persona?


(Articolo pubblicato sul n° 37 di Panorama, in edicola dal 30 agosto 2018, con il titolo "Eritrei double face")

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Fausto Biloslavo