Mussie Zerai
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Chi è Mussie Zerai, il prete indagato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina

Rifugiato eritreo, noto come "l'angelo dei profughi", nel 2015 è stato candidato al Nobel per la Pace. Si difende: "La solidarietà non è un crimine"

Dalla candidatura al Nobel per la Pace, nel 2015, per il suo impegno nel salvare i migranti nel Mediterraneo, al suo nome iscritto oggi tra gli indagati della Procura di Trapani nell'ambito delle indagini sull'attività di salvataggio dei migranti (anticipate dal settimanale Panorama), in cui sarebbero coinvolte delle Ong.

È questo lo strano destino del sacerdote e attivista eritreo Mussie Zerai. Stessa medaglia, due volti opposti: ieri ammirato per il suo impegno umanitario, ora accusato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina

La storia di Mussie Zerai

42 anni, eritreo nato ad Asmara, don Mussie Zerai è un prete cattolico rifugiato in Italia, fondatore e presidente dell'Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo, organizzazione con sede a Roma istituita nel 2006 con l'obiettivo di "svolgere attività di volontariato esclusivamente per fini di solidarietà in favore di richiedenti asilo, rifugiati, beneficiari di protezione umanitaria presenti in Italia" (come si legge nel sito dell'agenzia). 

Espatriato fortunosamente in Italia nel 1992, a 17 anni, come rifugiato politico, finalmente libero a Roma ha sentito l'obbligo morale di mettersi al servizio di altri giovani come lui.
Sacerdote dal 2010, ha esercitato la sua attività pastorale prima a Roma, quindi in Svizzera. Oggi è noto come "l'angelo dei profughi". È stato tra i primi, a partire dall'estate del 2010, a segnalare la tratta degli schiavi nel Sinai. È stato più volte sentito dall'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati. 

Nel 2015 era stato candidato al Premio Nobel per la Pace su proposta di Kristian Berg Harpiken, direttore dell'Istituto di ricerca internazionale di pace di Oslo, per l'opera svolta in difesa dei diritti e della vita stessa dei richiedenti asilo e dei migranti in fuga da guerre, dittature, terrorismo, persecuzioni, fame e miseria.

Alta la sua attenzione verso i migranti che cercano di attraversare il Canale di Sicilia, vittime di una tragedia che, come ripete spesso, affonda le radici anche nel pregiudizio e nell'indifferenza di milioni di uomini e donne nati nella "parte privilegiata" della Terra.

Le dichiarazioni di don Zerai sulle accuse ricevute

"La solidarietà non è un crimine": è il titolo del comunicato stampa che campeggia sul sito dell'agenzia Habeshia, a firma "don Mussie Zerai". Il sacerdote eritreo qui afferma di non aver nulla da nascondere e di aver agito sempre "alla luce del sole e in piena legalità", conferma di aver inviato segnalazioni di soccorso all'Unhcr e a Ong come Medici Senza Frontiere, Sea Watch, Moas e Watch the Med, specificando che ogni volta, prima ancora di interessare le Ong, ha informato la centrale operativa della Guardia Costiera italiana e il comando di quella maltese.

Nonostante le indagini della Procura di Trapani siano iniziate più di otto mesi fa, Zerai è venuto a sapere di essere indagato solo l'8 agosto. Il fascicolo è stato aperto il 24 novembre 2016, l'ipotesi di reato è favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
"Voglio andare a fondo di questa vicenda. Anche per questo motivo sono rientrato a Roma dall'Etiopia dove mi trovavo. Voglio essere qui per capire in prima persona che cosa sta succedendo e perché", dice padre Zerai, sereno. "Io mi sono sempre mosso in buona fede per aiutare chi si trovava in pericolo. L'obiettivo è sempre stato umanitario. Nulla di più".    

La Procura di Trapani indaga anche sulla Ong tedesca Jugend Rettet, di cui ha sequestrato la nave Iuventa, ma padre Zerai sostiene di non aver mai avuto contatti con questa.

In un'intervista a Agorà Estate su Rai 3 ha detto: "Ho il timore di essere stato strumentalizzato, ma non posso far altro che provare a salvare le vite di chi mi chiama". Quanto al rapporto con gli scafisti: "Non ho mai ricevuto chiamate dagli scafisti e non ne ho mai conosciuto nessuno. Ricevo solo chiamate dai migranti in difficoltà, a quel punto chiamo la Guardia Costiera italiana e libica per far partire i soccorsi", aggiungendo infine che "non esiste nessuna chat segreta in cui le Ong si mettono d'accordo". 


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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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