I medici ignoranti danneggiano tutti noi
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I medici ignoranti danneggiano tutti noi

Metà dei dottori italiani non partecipa ai corsi di formazione, obbligatori. Mettendo a rischio la salute dei pazienti

La salute è un diritto e la sua tutela un obbligo di legge. Sembra un concetto banale, finanche lapalissiano, ma tale non è. O meglio, non lo è più. Già, perché in Italia sono ormai diventati troppi i medici che non si tengono aggiornati sulla propria professione: quasi la metà dell’intera categoria che, contravvenendo alla legge, espongono i pazienti a rischi potenzialmente molto gravi. Questo dato impressionante è il risultato di un’indagine condotta dal Co.Ge.A.P.S., il Consorzio gestione anagrafica patrimonio sanitario: stando all’ultimo rapporto relativo al triennio 2014/2016, solo il 54 per cento dei camici bianchi è in regola con i programmi di aggiornamento previsti dalla normativa, mentre oltre il 40 per cento rischia sanzioni disciplinari peché non segue i corsi.

Tra le diverse professioni sanitarie, la quota dei professionisti aggiornati scende al 32,94 per cento per veterinari e infermieri, e addirittura al 28 per gli infermieri pediatrici. Assai più virtuose le donne medico, che risultano aggiornate nel 60 per cento dei casi a fronte del solo 40 per cento negli uomini. Anche se i dati della FNOMCeO, Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, divergono - stando alle loro rilevazioni, sarebbe «solo» il 20 per cento dei camici bianchi a non essersi mai aggiornato - si tratta in ogni caso di un numero inaccettabile.

Il ministero della Salute (interrogato sul tema, non ha voluto in alcun modo commentare questi numeri), da oltre un decennio ha reso obbligatori per l’intera categoria gli aggiornamenti periodici attraverso la partecipazione a corsi propedeutici: i cosiddetti Ecm, acronimo di «Educazione continua in medicina», da svolgere nell’arco di un triennio in appositi centri o attraverso la Formazione a distanza (Fad); per il triennio 2017-2019, per esempio, prevedono 150 crediti formativi, salvo esoneri.

Dal 2008 gli Ecm sono stati traferiti all’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) per ottenere un controllo più capillare e migliorare le performance. Attraverso Agenas, la Commissione nazionale formazione continua accredita il 42 per cento degli eventi formativi ai «provider»: 1.130 enti nazionali e 600 regionali che organizzano i corsi generando contributi pari a 16 milioni annui, con un indotto superiore ai 100 mila dipendenti diretti e indiretti.

Basta dare un’occhiata ai titoli di questi corsi, inoltre, per scoprire quanto possano essere utili: informano sulle terapie per il tumore al seno (per esempio la ricostruzione mammaria), sulle dipendenze da internet e il cyberbullismo, sulla «galassie delle vitamine», sulla sindrome metabolica, sull’importanza dei vaccini da zero a 18 anni, sulla cura del diabete... Ciò nonostante, a seguire davvero i corsi è un medico su due o poco più. Proprio quest’anno il ministero della Salute si è visto costretto a depennare più di 6.500 medici, sia pur competenti ma «non aggiornati».

Il primo caso in assoluto di sanzione disciplinare ha riguardato un medico odontoriatra: nello specifico, un professionista di Aosta che, nel 2019, è stato sanzionato dall’Ordine provinciale per mancato aggiornamento(la pena si è tradotta in una sospensione di sei mesi, poi ridotta a tre).

Un aspetto chiave di tutta la vicenda riguarda proprio l’architettura del sistema sanzionatorio. I provvedimenti per i medici che non si aggiornano sono regolate dalla Legge Lorenzin 3/2017 (in precedenza il decreto legislativo 138 del 2011 parlava di «illecito disciplinare»). E la legge stabilisce che a verificare per ogni medico il requisito formativo debbano essere gli Ordini dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri provinciali. Se ciò non accade, la Commissione nazionale Ecm deve richiedere che ogni Ordine inadempiente si adoperi in tal senso.

Ed è proprio qui che emerge in tutta la sua evidenza il conflitto d’interesse che sinora ha reso impossibile sanzionare chi non si è aggiornato: a decidere i provvedimenti sono gli stessi medici che dovrebbero essere «puniti». Basterebbe creare un organismo indipendente che avesse il potere di sanzionare chi non è in regola. Ma la sua creazione è ben lontana dal vedere la luce. Per risolvere la situazione, qualcuno al ministero ha addirittura ipotizzato soluzioni quali una grande sanatoria per i medici che non si sono aggiornati. Sono insorte però le associazioni a tutela dei pazienti e degli altri soggetti coinvolti, che hanno ritenuto una simile mossa un atto lesivo della garanzia del diritto alla salute.

Da allora, nella categoria dei camici bianchi si è acceso un dibattito che, da una parte, vede professionisti virtuosi convinti dell’utilità dell’aggiornamento professionale; dall’altra, una serie di corporazioni che puntano a difendere lo status quo, allontanando lo spettro di inevitabili sanzioni.

Con una lunga tradizione nella professione medica e un patrimonio di un milione e 200 mila camici bianchi - pari a 12,4 medici ogni 100 mila abitanti secondo l’Ocse, cifra record nel mondo - l’Italia è ai primi posti in classifica nella qualità delle cure sanitarie (non così per gli infermieri che sono 20,7 ogni 100 mila abitanti, meno della metà della media). Un primato, il nostro, che però anno dopo anno è sempre più a rischio.

Sebbene il Sistema sanitario nazionale abbia oggettivamente conosciuto un impoverimento progressivo e un calo delle risorse quanto a personale e formazione, la responsabilità di questa situazione non può essere ricondotta solamente ai tagli lineari operati dai governi degli ultimi dieci anni. È vero che la categoria dei medici chirurghi ha dovuto affrontare continue emergenze e disfunzioni del servizio sanitario, ma chi lavora con la salute delle persone non può permettersi di non restare aggiornato sulle cure migliori per i pazienti, specie in una realtà in costante evoluzione sia in termini scientifici che tecnologici come la medicina.

Secondo Luigi Gabriele, responsabile affari istituzionasli di Adiconsum, l’Associazione difesa consumatori e ambiente, l’innovazione in ambito medico e biomedico sta crescendo in maniera esponenziale: «Oggi il medico deve necessariamente sapere cosa sta accadendo nella propria professione, visto che settori come la robotica in un futuro non troppo lontano andranno a sostituire quasi integralmente gli stessi medici chirurghi in alcune aree specialistiche. Noi siamo preoccupati non solo per il rapporto medico-paziente, che presto potrebbe venir meno, ma anche per la percezione immediata che il malato ha sulla competenza del medico che si trova di fronte».

In tutto ciò, lo Stato brucia ogni anno 10 miliardi di euro per la cosiddetta «medicina difensiva»: ovvero la pratica attraverso cui il medico, moltiplicando per i pazienti test, esami e accertamenti spesso superflui o eccessivi, si tutela contro eventuali azioni di responsabilità medico-legali, che talvolta sono la diretta conseguenza di errori collegabili a un suo mancato aggiornamento. Una cifra talmente enorme che, se investita altrove, garantirebbe a operatori sanitari e pazienti servizi un Servizio Sanitario di vera eccellenza.

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Stefano Piazza