Il preside del liceo Volta di Milano: «La mia esperienza dimostra che la scuola non è nel caos»
Domenico Squillace, dirigente del liceo scientifico Volta di Milano.
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Il preside del liceo Volta di Milano: «La mia esperienza dimostra che la scuola non è nel caos»

Il professor Domenico Squillace spiega perché il rientro in classe non sarà così drammatico come tanti paventano. E aggiunge: «Se tutti staremo alle regole, ce la faremo».


«La riapertura delle scuole si può fare e si deve fare. Se tutti staremo alle regole, con coscienza e prudenza, sono convinto che ce la faremo». È fiducioso il dirigente del Volta, il più prestigioso liceo scientifico di Milano. Domenico Squillace era finito sui giornali (e ancor più sui social media) lo scorso febbraio, quando aveva mandato una lettera aperta agli studenti, nella quale rievocando la peste manzoniana li invitava a «preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità». Oggi Panorama lo intervista per sapere come sta affrontando la fase due dell'emergenza coronavirus.


Come si sta organizzando, professor Squillace?

«Noi abbiamo riaperto il liceo Volta il primo settembre per le attività di recupero. Per ora siamo a ranghi ridotti, perché mancano tutte le prime, che sono nove classi. Già avere nove classi in meno vuol dire avere 250-260 ragazzi in meno. Il 14, invece, partiremo con tutti».

Come?

«Noi ci siamo posti il problema insieme al responsabile esterno della sicurezza e al medico che ci sta affiancando, uno specialista in medicina del lavoro. E abbiamo elaborato un piano che prevede due tipi di turnazione con due diversi obiettivi».

Qual è il primo obiettivo?

«Ridurre il carico di persone sulla nostra scuola, che è molto affollata. Sono oltre 1200 alunni in un edificio che non nasce come scuola, per cui non abbiamo aree comuni, come corridoi e atri, molto grandi. Quindi il primo obiettivo è stato di ridurre il numero di persone da gestire: all'ingresso, all'intervallo, al cambio di ora... Problema che abbiamo risolto con una turnazione fatta nel seguente modo: tutte le classi un giorno alla settimana restano a casa, facendo didattica a distanza».

Come durante il lockdown?

«La differenza è che gli insegnanti saranno a scuola. E i ragazzi saranno collegati con le solite piattaforme. Il secondo tipo di turnazione si pone l'obiettivo di aderire alle indicazioni venute dal Comitato tecnico scientifico sulla ripartenza delle scuole, per cui gli alunni devono stare a un metro di distanza da bocca a bocca».

Le famose rime buccali.

«Le famosissime, ormai, rime buccali. Noi questo dato lo abbiamo addirittura incrementato: abbiamo tenuto una distanza di metro e 20, per essere un pochino più sicuri. Abbiamo calcolato aula per aula, prendendo le misure in maniera minuziosa. Abbiamo verificato quanti alunni ogni aula poteva contenere. Fatto questi calcoli, abbiamo distribuito le classi nelle aule e abbiamo visto che non tutte le classi potevano essere accolte per intero nelle aule».

E allora?

«Abbiamo dato la precedenza ai più piccoli: prima e seconda liceo, il biennio. E li abbiamo messi nelle aule più grandi, in modo che possano stare uniti, sempre insieme. Le prime perché si deve formare il gruppo classe. Le seconde perché l'anno scorso hanno fatto in presenza solo metà anno scolastico».

E i più grandi?

«A quasi tutte le classi del triennio capiterà una classe che non riesce ad accogliere tutti gli studenti. Prendiamo la quarta C, dove sono in 28. Li mettiamo in un'aula che ne contiene 25. Quindi ne avanzano tre. Ciò significa che ogni giorno ci saranno tre alunni assenti, assenze programmate da noi. In quel singolo giorno di assenza, i ragazzi a casa faranno dei lavori che assegneremo loro. In questo modo ai singoli ragazzi capiterà di stare a casa una volta ogni 15-20 giorni».

Non tanto...

«In effetti si tratta di turnazioni molto blande. In questo modo noi riduciamo la presenza a scuola di un quarto, passando dagli oltre 1200 studenti a circa 900. Ed è un numero più accettabile. Inoltre questi 900 ragazzi non entreranno più da un solo ingresso principale. Metà entrerà dall'ingresso principale e metà da un ingresso di servizio. I due gruppi da 450 ragazzi sono poi organizzati in due turni, in maniera tale che il carico all'entrata sia di poco più di 200 ragazzi per turno».

E gli intervalli?

«Ce ne saranno due, differenziati a seconda dei turni. E così sarà tutto un po' più gestibile. Ovviamente noi faremo tenere a tutti (ragazzi e professori) la mascherina durante le lezioni almeno per il primo mese. Vogliamo vedere come vanno i dati dell'epidemia, capire che cosa succede dopo 15/20 giorni dall'apertura delle scuole. E poi igienizzante à gogo: i ragazzi dovranno pulirsi il banco a fine lezione e i professori la cattedra e la tastiera del computer a ogni cambio d'ora. Con 12 bidelli non ce la facciamo a garantire una pulizia continua delle superfici. Più o meno è questo il nostro piano di rientro».

Personale in più ne avete avuto?

«Per il momento no, Noi puntiamo soprattutto ad avere dei collaboratori, cioè i bidelli, in più. Anche perché nella scuola italiana degli insegnanti in più arriveranno a giorni, ma saranno dedicati prevalentemente, com'è giusto che sia, a scuole materne e primarie, dove hanno problematiche diverse rispetto a un liceo. I nostri ragazzi sono più autonomi».

Prevede che arriveranno anche da voi altri insegnanti?

«In quanto a insegnanti, per noi non dovrebbe arrivare granché: poco o nulla. Mentre potrebbe esserci in più qualche collaboratore scolastico, che sarebbe una buona cosa».

Ma lei non sente l'esigenza di avere più docenti?

«Se me li danno, mi fanno un grande favore. Ma capisco che diano la precedenza alle scuole materne e primarie. E che alle superiori diano la precedenza agli insegnanti di laboratorio negli istituti tecnici, per sdoppiare i gruppi. Mi pare una logica corretta. Noi puntiamo ad avere dei bidelli in più. Per noi sarebbe una manna dal cielo perché tenere igienizzata una scuola di 1200 studenti con 12 bidelli è un'impresa titanica».

E i banchi?

«La bagarre sui banchi è una sciocchezza. Si tratta di una stupidaggine: è da tutta l'estate che si parla dei banchi, come se fosse questo il problema della scuola italiana. Pure voi, giornalisti, insomma... (ride, ndr). I banchi noi li abbiamo. Io i banchi doppi non li vedo da quando frequentavo la scuola media, qualche secolo fa. Noi abbiamo tutti banchi singoli da sempre. Se ci arrivano quelli nuovi, ne buttiamo alcuni fra i più vecchi e rovinati».

La situazione al liceo Volta è abbastanza sotto controllo, quindi?

«Nei limiti del possibile sì. È una situazione difficile, inedita. Bisogna stare alle regole, stare un po' calmi. Guardi, la scuola italiana muove circa otto milioni di persone, fra studenti, personale e docenti, cioè il 12-13% della popolazione italiana. Vuole che su questa percentuale non ci saranno dei casi di infezione, dei piccoli focolai di contagio? Ci saranno sicuramente. Quindi, calma: si faranno le chiusure temporanee. Bisognerà convivere con questa cosa per un po'. L'importante è stare alle regole».

Lei dice: con calma affrontiamo anche quest'emergenza.

«Affrontiamo tutto. Se poi dovesse precipitare la situazione. ci sarà un nuovo lockdown. Ma non solo nelle scuole... Speriamo di no, comunque. La scuola ha bisogno di riaprire. Non solo per una questione culturale, ma anche per una questione sociale. La scuola non è solo un luogo di istruzione. Se i bambini piccoli non vanno a scuola, qualcuno deve stare a casa. E spesso tocca alle mamme... Ha anche una funzione sociale».

Però, leggendo i giornali, sembra che la scuola sia nel caos più assoluto.

«Secondo me c'è un po' di esagerazione, un po' di enfasi. C'è la polemica politica, che è naturale ci sia, non sta a me commentarla... La situazione non è completamente sotto controllo. Diciamo che è una situazione in essere. Vediamo che cosa succede. Se dovesse esserci un'impennata della curva di contagio, la percepiremmo 10/15 giorni dopo la riapertura. Per cui verso il 10 ottobre riusciremo a capire come sta andando».

E l'emergenza supplenti?

«Ma l'emergenza supplenti c'è ogni anno. C'è tutti gli anni perché la scuola italiana, con qualsiasi tipo di governo (di destra, di sinistra, di centro), non è riuscita a darsi un sistema di reclutamento regolare. Tipo: ogni due anni c'è il concorso, che piova, che nevichi o che tiri vento».

E i lavoratori fragili?

«Anche lì: sembrava che ci fossero mezzo milione di professori fragili. Invece saranno pochi, pochissimi. A scuola mia, su 100 insegnanti ne avrò un paio».

Un dato interessante.

«Certo: mica il fatto di avere 55 anni rende fragili. Sennò dovremmo chiudere tutta la scuola italiana, che è quella con l'età media degli insegnanti più alta d'Europa... L'importante sono le regole. Che poi sono regole minime: mascherine, igienizzanti e distanziamento sociale. Se rispettiamo questi tre punti cardinali, la scuola può farcela».

Ma le famiglie e gli studenti seguiranno le regole?

«Che devo dire? Io spero di sì. Alle famiglie il ministero della Salute ha chiesto di misurare la temperatura ai ragazzi. Se supera i 37,5, devono stare a casa. È giusto, come dice il ministero? È sbagliato, come dice il professor Andrea Crisanti, secondo il quale dovremmo misurarla a scuola? Non lo so. Per adesso è così. Certo, monitorare 1200 temperature ogni mattina per noi sarebbe complicato».

Quindi lei invita le famiglie a collaborare?

«Sì, noi chiediamo ai genitori di vigilare sullo stato di salute dei loro figli. Comunque appena ci accorgeremo che un ragazzo sta poco bene, chiameremo la famiglia, che dovrà riportarselo a casa».

La situazione, dunque, non è drammatica?

«Io sono moderatamente ottimista. Altrimenti non farei questo mestiere».

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Elisabetta Burba