Regina Coeli, carcere nel cuore di Roma
Ansa
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Carceri, cresce il rischio "suicidio" tra gli agenti

Un terzo degli uomini della Penitenziaria soffre di depressione e stati d'ansia gravi. In tre anni si sono tolti la vita 17 agenti

Il 35,45% degli agenti della Polizia penitenziaria si troverebbe in una condizione di elevato rischio “suicidio” per la presenza di un forte stato depressivo, ansia,alterazione della capacità sociale e forti sintomi somatici.

Il dato che emerge da un questionario sullo stress correlato al lavoro, compilato nelle scorse settimane da 600 agenti che prestano servizio all’interno delle carceri italiane, è davvero sconvolgente

Solo nel 2017, gli uomini della polizia penitenziaria che si sono tolti la vita in servizio, prima di recarsi sul luogo di lavoro o appena terminato il turno, sono stati sei. Altrettanti hanno compiuto lo stesso drammatico ed estremo gesto l’anno precedente e 5 nel 2015.

In tre anni, diciassette uomini, si sono uccisi perché si sono sentiti abbandonati e sopraffatti dal disagio lavorativo.

Il problema dei detenuti psichiatici

Molto dello stress lamentato dagli agenti, nel questionario, dipenderebbe dalla chiusura degli ospedali psichiatrici. Con la chiusura degli OPG, infatti, è aumentata la presenza di questi detenuti negli istituti penitenziari causando nuove criticità e problematiche di gestione sia del detenuto con problemi psichici che del ristretto esasperato dalla coesistenza con il soggetto malato. Tra le cause anche, carenza di personale, formazione scadente e dirigenti poco attenti e preparati.

Ma, se quasi un terzo degli agenti della penitenziaria dichiara un disagio al limite della sopportazione, il 65% lamenta una situazione di forte malessere.  

Pochi agenti, troppi detenuti  

Un primo aspetto, all’origine dei disagi, dell'esasperazione e del malessere degli agenti, risulta essere il carico di lavoro da tutti percepito come eccessivo, difficile da sostenere.

Un punto sicuramente di facile comprensione, considerando il sovraffollamento carcerario e l’organico degli operatori di polizia, inadeguato sia sotto il profilo numerico che di età: agenti sempre più anziani a dover contrastare un numero sempre crescente di detenuti.

Dall’indagine è emerso che a creare stress e ansia anche le pause dell’orario di lavoro che risultano non sono sufficienti e gli straordinari che, negli ultimi anni, hanno la tendenza a diventare ordinari.

“In generale i lavoratori hanno un controllo molto scarso sulla gestione del proprio lavoro- spiega a Panorama.it,Angelo Urso, Segretario Generale della Uilpa Penitanziari- questa scarsa autonomia non riguarda solo le modalità operative, ma anche tempi e ritmi che delineano un contesto rigido e privo di margini di flessibilità”.

Altrettanto critica sarebbe la mancanza di chiarezza del ruolo che l’agente è chiamato a svolgere.

Gli incarichi "abusivi" degli agenti 

“Una percentuale piuttosto importante degli agenti ha dichiarato di non sapere come svolgere il proprio lavoro, di non avere chiari compiti e responsabilità - prosegue Urso - un problema che è consequenziale alla carenza di personale e che li costringe, ogni giorno, a dover ricoprire più ruoli ed incarichi in più settori, talvolta anche di responsabilità maggiori rispetto al grado di servizio dell’agente”

Infatti, sarebbero 9 lavoratori su 10 a lamentarsi di una condizione di scarsità di personale.

Questo genererebbe stanchezza che porterebbe, la maggior parte degli agenti, al timore di sbagliare, con possibili conseguenze sia per la sicurezza del carcere, sia per gli operatori che hanno rilevanti responsabilità anche di carattere penale.

Ansia e forti stati depressivi sarebbero generati anche dalla gestione dei detenuti stranieri oltre che dai soggetti con problemi di carattere psicologico.

Una formazione inadeguata 

“Con la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari è aumentata la presenza dei detenuti con problemi psichiatrici nei normali istituti penitenziari – puntualizza Angelo Urso – anche in questo caso la formazione ricevuta dagli agenti per fronteggiare queste situazioni, è ritenuta dagli stessi insufficiente”.

Il 94,5% degli intervistati considera questo uno dei fattori più critici, per la difficoltà di far fronte alle crisi anche violente che hanno frequentemente questi detenuti.

“La durata della vita lavorativa si allunga. Si va in pensione più tardi e sono pochi i giovani che subentrano- prosegue il segretario generale Uilpa- uno degli aspetti più delicati è, infatti, il turno di notte. Circa l’85% degli agenti dichiarano una maggiore e sempre crescente difficoltà di adattamento ai turni avvicendati, comprensivi di quello notturno, soprattutto per gli operatori più anziani”.

A generare il malessere che nel 35% dei casi, ha portato ad un disagio pesante e dai risvolti allarmanti tra gli agenti, c’è anche la poca esperienza e capacità di gestione degli eventi critici da parte dei dirigenti e commissari. 

I dirigenti sono "distratti" e poco preparati

Gli agenti dichiarano che di fronte alle difficoltà che si trovano ad affrontare quotidianamente nei settori carcerari, il supporto di dirigenti e, talvolta, dei colleghi è scarso.

In effetti, i dati, fanno emergere rapporti critici con addirittura segnalazioni di molestie, prepotenze e vessazioni.

“In generale viene lamentato un approccio distante e poco comprensivo delle problematiche di chi lavora in prima linea - continua Urso-  e i momenti di comunicazione sono scarsi o del tutto assenti. Sono carenti anche le risposte della direzione alle problematiche dei detenuti. Non a caso quasi la metà degli agenti afferma che “le richieste vengono regolarmente ignorate”, mettendo così il personale nella stressante condizione di non avere delle risposte da dare”.

Ma dall’indagine effettuata tra gli agenti, c’è un aspetto inquietante: il 73% del personale di polizia penitenziaria denuncia di non sentirsi tutelato dalla direzione e teme che “le responsabilità non sarebbero adeguatamente identificate se qualcosa dovesse andare male”.

In sostanza, temono atteggiamenti “pilateschi” da parte dei vertici del carcere.

Strutture fatiscenti e divise poco dignitose

Non poteva non emergere dal sondaggio anche le condizioni fatiscenti nelle quali gli uomini e le donne della Penitenziaria, sono costretti a lavorare. Quindi, carceri prive dei requisiti igienico-sanitari minimi e strutture non sicure sotto il profilo costruttivo.

Persino le divise, secondo il 72% dei lavoratori, non permetterebbero di presentarsi in maniera dignitosa ed autorevole.

“E’ necessario un potenziamento del personale e l’ottimizzazione delle procedure operative per ridurre i carichi di lavoro e quindi stati di stress critici tra gli agenti- conclude Angelo Urso- occorre porre attenzione alla formazione in quanto è uno strumento indispensabile per mettere gli operatori in grado di affrontare le situazioni critiche che sono inevitabili nel lavoro carcerario. Analogamente, però, è indispensabile anche quella per i commissari finalizzata a superare le gravi e fondamentali carenze del management che gli agenti hanno denunciato nel sondaggio”.

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Nadia Francalacci