Cimice asiatica
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Cimici asiatiche: 10 cose da sapere

Stanno invadendo le campagne della Pianura Padana, con molti avvistamenti anche in città. Difficili da eliminare, dovremo conviverci ancora per un bel po'

Le cimici cinesi, brune o asiatiche, comunque vogliate chiamarle (il nome scientifico è Halyomorpha halys), amano viaggiare in gruppo e in questi ultimi giorni sono state protagoniste di autentiche invasioni in molte zone della Pianura Padana. Da dove vengono, perché sono così tante, che danni fanno e come possiamo liberarcene? Panorama.it ha chiesto tutto a Roberto Ferrari, entomologo del Centro Agricoltura Ambiente “G.Nicoli” di Crevalcore, in provincia di Bologna. Ecco cosa ci ha risposto.

1. Da dove arrivano?

Vengono dal Sud-est asiatico anche se sono già distribuite in varie parti del globo. Per esempio sono arrivate negli Stati Uniti da una decina d'anni. Probabilmente la causa di questa loro diffusione è la globalizzazione, lo scambio di merci, ma non si sa con certezza.

2. Perché questa invasione?

Sulla base dell'esperienza americana sappiamo che questo insetto ha un'enorme capacità di adattamento e di moltiplicazione. Qui in Italia il primo esemplare è stato trovato da uno studente che raccoglieva insetti in campo nel Reggiano per la sua tesi di laurea. Poi qualche esemplare è stato avvistato nel Bolognese. Dopo due-tre anni abbiamo intere province letteralmente piene.

3. Non ci sono predatori che possano aiutare a ridurne il numero?

Quando un insetto nuovo, anche se simile ad altri già presenti come le cimici nostrane, arriva in un ambiente nuovo, quell'ambiente non è abituato alla sua presenza e non ha quella schiera di antagonisti naturali che altrove lo tengono sotto controllo. Questo è un fenomeno normalissimo che non riguarda solo le cimici. Ora sono stati individuati alcuni parassitoidi (potenziali predatori, n.d.r.) che potrebbero adattarsi ai nuovi arrivati, li stanno studiando all'università di Bologna e vengono allevati anche in laboratorio. Ma al momento la loro incidenza in campo è bassissima. Serviranno molti anni prima che la natura trovi un equilibrio.

4. Il clima mite incide sulla proliferazione di questi insetti?

In realtà sono presenti tutto l'anno, si adattano a tutte le stagioni. Molti in inverno muoiono, ma tanti sopravvivono e si vanno a rintanare in rifugi dove sono protetti dalle intemperie e la temperatura è più mite: cantine, soffitte, casolari abbandonati. Entrano in una specie di letargo che dura tutto l'inverno e ricompaiono la primavera successiva. La sensazione è che fossero scomparsi, in realtà erano sono inattivi.

5. Perché si concentrano in Pianura Padana?

Perché qui abbiamo una serie di colture da loro molto appetite, col doppio problema che ne subiamo maggiormente i danni e che l'insetto trova da mangiare in abbondanza e prospera. E' ghiotto di tutte le piante da frutto, pesche mele, pere, cachi, marginamente anche l'uva, e poi gli ortaggi, ma l'infestazione si è anche vista in colture con semi. L'insetto ha un apparato boccale che è una specie di stiletto dal quale succhia i liquidi del frutto o del seme. Perciò non attacca le piante strettamente erbacee ma tutte la altre sì, dalla soia al pomodoro, passando per tutti i frutti succulenti.

6. Comportano danni per l'uomo?

Non provocano malattie e non pungono, ma tendono ad aggregarsi in quantità elevate del tutto sconosciute alle cimici nostrane. Nel periodo autunnale riempiono letteralmente le case. Più che di danni parlerei di disagio per chi subisce l'invasione.

7. Perché si spostano in gruppi così grossi?

Emettono un feromone di aggregazione che avverte gli altri insetti della stessa specie di fare gruppo. Nel periodo estivo il fenomeno di aggregazione agisce su tutta la popolazione che si può concentrare in grandi quantità in aree abbastanza ristrette. Nel periodo autunnale le cimici cominciano a cercare dei ripari nelle ore più fredde, di notte. Quando viene individuato un buon posto, ci si aggregano in quantità industriali. In America le ditte secializzate arrivano munite di aspirapolvere e ne catturano migliaia di esemplari alla volta.

8. Come è possibile liberarsene?

La cimice puzza se la schiacci, ma emette cattivo odore anche se la prendi in mano o la infastidisci. Moltiplicandolo per centinaia di esemplari, è chiaro che può comportare un disagio. Eliminarle non è semplice. Si è visto per esempio che anche buttandole nel gabinetto e tirando lo sciacquone c'è il rischio che tornino su. Un buon metodo consiste nel munirsi di un secchio con acqua e un tensioattivo, in pratica un detersivo, che le soffoca e le fa affogare. Così si riesce a sbarazzarsi di parecchi insetti senza far loro emettere grandi quantità di odore.
Esisono poi trappole, in commercio anche in Italia, che usano lo stesso feromone di aggregazione delle cimici per attirarle e consentono di catturarne anche 100-150 a settimana e ridurre così la popolazione che potrebbe entrare in casa.
Infine, in campo come in casa, una certa protezione è data dall'uso di reti, o di zanzariere nel caso delle abitazioni, che costituiscono una barriera meccanica all'ingresso degli insetti.

9. Siamo destinati a convivere con queste cimici per anni?

Non è un problema di facile soluzione. Si stanno studiando vari tipi di strategie. Da noi per fortnua le grosse invasioni a livello domestico sono ancora limitate, ma è probabile che vi assisteremo in futuro. Sull'agricoltura i danni ci sono già e sono forti. A tutti i livelli si stanno tentando varie soluzioni che possano essere integrate: insetticidi che funzionino meglio, trappole nuove o con impieghi diversi, parassitoidi da diffondere gradualmente sul territorio creando delle biofabbriche a cielo aperto per farli prosperare in funzione anti-cimice. Ci si muove insomma su più fronti, l'obiettivo prima o poi si raggiungerà: l'ambiente dopo un po' di anni dà il suo contributo.

10. La loro diffusione si allargherà a zone oggi non ancora colpite?

Per alcuni anni è facile che il problema invece di diminuire aumenti, e si estenda ad aree dove attualmente ancora non c'è. Ora è presente principalmente in Pianura Padana, ma stiamo studiando la sua diffusione in aree collinari dove al momento si trova in quantità molto più basse e con danni ancora limitati (soprattutto alle viti), per cercare di prevenire.

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Marta Buonadonna