Chi è Alberto Lorusso, l’ex «badante» di Totò Riina
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Chi è Alberto Lorusso, l’ex «badante» di Totò Riina

Vita, problemi, affidabilità dell'uomo che ha raccolto le confidenze del capo di capi salvo poi.....

James Bond italiano, boss della Sacra corona unita, o un guascone. Chi è Alberto Lorusso, detto «la badante», cioè il detenuto che ha raccolto e incalzato, i deliri di Totò Riina, ormai al crepuscolo, durante l’ora d’aria nel carcere di Opera (Milano)? Su di lui i mass media si sono sbizzarriti in suggestioni fantasiose e farraginose. In realtà, non è un boss della Sacra corona unita, né è stato indagato o condannato come capo di una consorteria mafiosa. Lorusso ha amicizie nella Scu, ma non è affiliato. Anche il suo accento che non è tarantino, trae in inganno. In realtà, è grottagliese, città dove è cresciuto. 

Lorusso nasce a Montemesola, in provincia di Taranto, nel 1959. Figlio di una famiglia numerosa, a 13 anni, inizia a fare lavori saltuari, ma capisce che le droghe sono una miniera di soldi. Inizia così il suo curriculum delinquenziale tra gli anni ’80-’90: traffico di stupefacenti, tentato omicidio, omicidio, occultamento di cadavere, associazione mafiosa. Sempre vicino a Grottaglie, nella sua fortezza. 

Si sposa ha un figlio e poi divorzia. Inizia una relazione con una donna, bracciante agricola, da cui nascono altri figli. Viene arrestato nel giugno del 1994, ma dal carcere di Taranto, dov’è recluso, viene pizzicato da microspie ancora coinvolto nella gestione dei traffici di droga. Per la sua capacità d’influenza all’esterno, nel 2001 viene trasferito in regime carcerario severo (il 41 bis), nelle carceri di Voghera, Brescia, Novara, Cuneo. 

Intelligente, curioso, ma anche spesso sopra le righe, Lorusso vive in totale isolamento: rare le visite dei familiari: il pugliese passa il suo tempo leggendo libri. S’informa su tutto: vede la tv e sente la radio. Scambia qualche parola con un detenuto brigatista rosso. Per documentarsi, chiede alla biblioteca testi sul terrorismo. Alcuni gli vengono negati. Non si scoraggia. Poco incline all’obbedienza delle regole, chiama i suoi legali per ottenere l’acquisto dall’esterno di libri. 

Si diploma in ragioneria, ma non si laurea in archeologia punica, né conosce l’alfabeto fenicio. Nell’aprile del 2013 viene trasferito nel carcere di Opera per occuparsi della «socialità» con Riina. Il Dipartimento dell’amministrazione carceraria con la Direzione nazionale antimafia, dopo l’ok delle procure di Palermo, Caltanissetta, Firenze e Lecce, lo scelgono come il più idoneo per stare con il boss, perché è in carcere da 20 anni, è isolato dal contesto familiare e criminale.

Ci rimane per 9 mesi. Lorusso durante i suoi colloqui con il capomafia, dimostra di sapere del processo Stato-mafia. Oggi si grida al complotto o all’intruso. Ma è dal 2008 che sul presunto patto tra boss e istituzioni, giornali, tv e radio, se ne occupa, proprio da quando è iniziato il processo, a carico dei due ufficiali dell’Arma, Mori e Obinu, assolti in primo grado. E Lorusso in cella ha accesso ai media. 

Il suo avvocato, Vincenzo D’Elia, interpellato da Panorama, dice: «È molto probabile che Lorusso, sapendo di Riina, si sia documentato sulla mafia e sui processi al fine di interloquire alla pari, non dal punto di vista criminologico, ma per conversare, per chiacchierare, anche facendo lo “sbruffoncello”. Del resto l’ha fatto anche con il compagno di cella delle brigate rosse». 

L’altro legale, Gaetano Vitale, sbotta: «Non ha scelto lui di andare da Riina. Ce l’hanno messo. Hanno trovato il più isolato e più “fesso”. Stava finendo di pagare il suo conto con la giustizia. Non è giusto. Chiederemo i danni». 

Da Opera, Lorusso è stato prima trasferito a Roma, con i pm palermitani che lo interrogano e lo indagano per falsa testimonianza. Ora è recluso a Cuneo. Ma i colloqui tra Riina e il Lorusso, apparsi sui media da ottobre scorso a oggi, hanno il fine di rendere il processo Stato-mafia, un’agorà, dove il giudice è l’opinione pubblica? O sono mosaici suggestivi d’interferenza sulla Corte? 

Di certo penalizzano un uomo che da vent’anni sconta la sua vita criminale in cella. Nel 2018 era prevista la fine della pena. Ora, altri lustri dietro le sbarre, oltre alla sua scontata convocazione come testimone al processo Stato-mafia. Il tutto in nome di una bulimia mediatico-giudiziaria.   

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Anna Germoni