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I soldi di Gazprom e l'imbarazzo Uefa sulla finale Champions League

Il prossimo 28 maggio si dovrebbe giocare a San Pietroburgo ma i venti di guerra spingono l'Europa a chiedere che sia cambiata la sede. Che, però, è casa del potente sponsor riconducibile a Putin

Cosa frena la Uefa dal prendere posizione netta e dichiarare che il prossimo 28 maggio 2022 la finale della Champions League si giocherà ovunque, ma non nella Gazprom Arena di San Pietroburgo? Ufficialmente solo la tradizionale prudenza di Nyon che, prima di prendere decisioni drastiche che abbiano a che fare con questioni di politica, è solita contare fino a mille e poi ricominciare anche perché - ricordano sempre i dirigenti - deve tenere insieme norme e sensibilità di 55 paesi differenti. Nel caso dei venti di guerra tra Russia e Ucraina e dell'atto conclusivo della Champions League 2021/2022 il sospetto, però, è che ci sia anche altro sotto forma di un rapporto strettissimo tra la stessa Uefa, Gazprom e Vladimir Putin, l'uomo meno amato oggi dalle cancellerie del Vecchio Continente.

Gazprom non è solo il più grande fornitore di gas d'Europa, tema divenuto centrale in queste settimane di crisi militare e politica. Per la Uefa è uno sponsor da decine di milioni di euro a stagione (stimati circa 300 nell'ultimi decennio) con un peso specifico notevole se è vero che al momento risulta partner sia della ricchissima Champions League che dell'Europeo 2024. E che già un anno fa la finale della competizione maggiore non si è disputata lì dopo gli slittamenti e gli spostamenti causati dalla pandemia a partire dalla primavera 2020.

La posizione di Nyon, dunque, appare di doppio imbarazzo. Da un lato l'indubbio ruolo di uno dei principali sponsor il cui legame con Putin è impossibile da non prendere in considerazione, dall'altro la sensazione di immobilismo mentre l'Europa sta cercando di fare pressioni di ogni genere, anche industriale e commerciale, sul Cremlino perché abbandoni i propositi di ingresso in Ucraina. Si può rischiare di perdere un partner da decine di milioni di euro togliendo d'imperio la finale a San Pietroburgo?

Alla Uefa per il momento hanno deciso che la risposta è 'No' e lo hanno scritto in una nota, pubblicata quando il tema è diventato di pubblico dominio: ""La Uefa sta monitorando in maniera costante e da vicino la situazione. Al momento, non ci sono piani per cambiare la sede". Troppo morbido per placare le proteste che si stanno levando da molti stati, in prima fila la Gran Bretagna di Boris Johnson che nei mesi della Superlega è stato, invece, il principale alleato del numero uno di Nyon, Aleksandr Ceferin, per disinnescare i piani dei club ribelli. Johnson ha detto di ritenere "impensabile" la conferma dell'attuale programma e che una decisione va presa in fretta perché la Russia è destinata a rimanere isolata nel consesso europeo.

I tabloid si sono spinti oltre, immaginando una candidatura di Wembey per prendersi la finale tolta a San Pietroburgo. Anche su questo, però, ci sarebbe molto da discutere con non poco imbarazzo da parte della Uefa. La pessima gestione della fase finale dell'Europeo a casa di Sua Maestà, i disordini fuori e dentro lo stadio la notte della sfida tra Italia e Inghilterra e le incredibili carenze organizzative in tema di sicurezza, fotografate da un rapporto indipendente che ha parlato di "strage sfiorata", sono costate alla Football Association due giornate di squalifica (una con la condizionale).

Immaginare di premiare gli inglesi, dunque, aprirebbe un altro fronte non da poco anche per evitare una possibile finale tutta made in Premier League disputata a Londra, come se la Champions League dovesse rassegnarsi a diventare una questione tutta britannica. Ad oggi, però, Nyon fa sapere che l'argomento non è sul tavolo. Meglio aspettare e sperare nel miracolo, in una rapida de-escalation e nel successo del lavoro delle diplomazie che tolga dall'imbarazzo i vertici del calcio europeo.

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Giovanni Capuano