1994-2014. Berlusconi leader, nel bene e nel male
ANSA/ANGELO CARCONI
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1994-2014. Berlusconi leader, nel bene e nel male

Da vent'anni la politica italiana gira attorno ad un uomo ed ai suoi sogni (gli stessi di allora) - Videomessaggio, 1994 - Fotostoria - Le frasi - La politica estera

26 gennaio 1994-26 gennaio 2014. Vent’anni esatti. Che cominciano con “L’Italia è il Paese che amo” e finiscono (ricominciano) con “Forza Italia”. Un cerchio aperto. E un leader, Silvio Berlusconi, dato per finito così tante volte ma che non si arrende e ogni volta risorge.

In questi giorni col colpo di scena della sua ultima e spiazzante metamorfosi: la maschera dell’uomo senza maschere, per dirla con Giuliano Ferrara sul “Giornale”. Un uomo, un leader, della sua età. Tre scatti sul “Sunday Times”, forse per la prima volta un reality del Cavaliere senza le edulcorazioni di fotoshop. Un uomo d’esperienza, con la naturalità di un volto segnato, più che dall’età, dalle vicende formidabili che ha attraversato, sempre sulla cresta di consensi e polemiche, da numero 1: dal rivoluzionario imprenditore immobiliare e televisivo al leader che inaugura un linguaggio nuovo della politica e fa scuola non solo in Italia, passando per il presidente del glorioso Milan che offre un assist calcistico al battesimo di “Forza Italia”.

Nel bene o nel male, chiedete a chiunque all’estero di citare un politico italiano famoso e vi sentirete rispondere Berlusconi. Alessandro Campi, sul “Messaggero”, politologo tutt’altro che berlusconiano, riconosce al Berlusconi che si fa crudamente ritrarre sul “Sunday Times” addirittura “genio creativo” e “il fiuto per gli umori profondi del popolo”.     

C’è tanto di buono in questi vent’anni: il pericolo scongiurato di un’Italia che nel ‘94 rischiava di finire in mano al Pds di Occhetto, tanti buoni atti di governo soprattutto in politica estera (come il riequilibrio dell’Italia filo-atlantica vicina a Israele), un contrasto alla crisi nel 2008 più efficace di quanto oggi si pensi. Ma sono stati anche vent’anni di delusioni, amarezze e occasioni perse. Pesa la sconfitta nel duello con una certa magistratura e con i piccoli partiti, dall’UDC a FLI fino al “tradimento” di Alfano. La pecca più grave: non aver formato una classe dirigente di Forza Italia e del centrodestra all’altezza della visione liberale del fondatore.

Però quel primo discorso è senza macchie e va ricordato. Vale anche oggi. È un manifesto insuperato. Sempre attuale.   

Silvio Berlusconi appare in tv il 26 gennaio 1994 per quel videomessaggio che appartiene alla storia di tutti.

Le parole d’ordine della sua sfida liberale stanno tutte dentro 6 fogli scarsi, spaziati, sottolineati dal Cavaliere dove vuol rimarcare un concetto, come il “qui” che è l’Italia: luogo delle radici, della vita, della costruzione dell’impresa economica, sportiva, e politica. Nove minuti e 25 secondi liquidati con sufficienza dai commentatori di regime, da Angelo Panebianco a Curzio Maltese, e che invece segnano la storia d’Italia e la cambiano, gelando l’aspettativa delle sinistre dopo che il ciclone di Mani Pulite ha spazzato via il pentapartito imperniato sul PSI di Craxi e la DC di Andreotti e Forlani (il CAF). Pregustava la vittoria il Pds, “graziato” da magistratura e Parlamento a colpi di spugna su decenni di finanziamenti illeciti al Pci dall’Unione Sovietica. Il campo dei moderati, sgominato dal Pool di Milano, da landa desolata facile preda della “gioiosa macchina da guerra” post-comunista con Berlusconi riprende vita e colore. Azzurro.

Alla quarta riga del discorso “Per il mio Paese”, Berlusconi dice che ha deciso di “scendere in campo” (si è già dimesso da ogni carica sociale del suo gruppo). Dice di sapere quel che non vuole ma anche quel che vuole, e di avere “la ragionevole speranza di realizzarlo”, d’essere stato “costretto” a contrapporsi a una sinistra mai cambiata (stessi uomini, stessa cultura, stessa mentalità). Offre “al Paese un’alternativa credibile al governo delle sinistre e dei comunisti”, una “nuova Repubblica”, la Seconda. Esalta il valore dell’esperienza, della “testa sulle spalle”, la concretezza, la capacità di “far funzionare lo Stato” (al figlio Luigi ha detto: “Papà deve aggiustare l’Italia”). Delinea il “polo delle libertà” e lancia “Forza Italia”, che non è l’ennesimo partito ma “una libera organizzazione di elettrici e elettori”, un movimento che non nasce “per dividere ma per unire”, e il cui programma di governo sarà “fatto solo di impegni concreti e comprensibili”.

Le parole chiave: libertà, competizione, famiglia, profitto, efficienza. E, naturalmente, individuo e iniziativa privata. No all’invidia sociale. “La storia d’Italia è a una svolta”. “È possibile farla finita con una politica di chiacchiere”. L’Italia resterà una “democrazia occidentale”. Berlusconi dà speranza. Parla di “un grande sogno” (il sole in tasca). Di “un’Italia più giusta”. Conclude con l’esortazione a “costruire insieme, per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo italiano”.

Il resto, i vent’anni dopo, li conosciamo. Il trionfo nelle elezioni del 1994, l’avviso di garanzia del Pool di Milano “consegnato” a mezzo stampa a Berlusconi premier, lo sfilamento della Lega di Bossi dalla maggioranza, la tenaglia tra magistratura anti-berlusconiana e capo dello Stato anche lui spregiudicatamente ostile al Cavaliere: Oscar Luigi Scalfaro. Il ribaltone. Il governo Dini. La sinistra al governo. La traversata del deserto. Poi la fiducia concessa altre due volte dagli italiani a Berlusconi: nel 2001 e nel 2008. Infranta, la prima, sulla dissidenza dell’Udc di Casini, la seconda su quella di Fini. Sempre sotto il martellamento delle manovrine di Palazzo e della magistratura che assedia il fortino di Arcore.

Fino al processo Ruby, alla sentenza Mediaset, alla decadenza dal Senato, alla richiesta di affidamento ai servizi sociali. Ma anche alla rinascita con “Forza Italia” e all’opportunità di rifondare la Repubblica insieme a Renzi. Vent’anni in cui purtroppo, a dispetto di sogni e speranze, per l’Italia poco è cambiato.

Non quanto, almeno, Berlusconi avrebbe voluto.   
         

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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