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EPA/WILL OLIVER
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Attacco a Londra: l'offensiva strisciante dell'Isis

Daesh vuole imporsi nella quotidianità europea con l'azione di cellule organizzate ma anche di emulatori meno disposti a sacrificare la propria vita

L'attacco terroristico del 15 settembre nella stazione metropolitana di Parsons Green, rivendicato dall'Isis, tiene accesi riflettori sul terrorismo islamico.
Terrorismo sempre più aggressivo e diffuso, benché più debole nei risultati, il cui trend conferma un'evoluzione senza precedenti: solo nel Regno Unito è il quinto attacco del 2017, sei altri sono stati sventati, 379 jihadisti arrestati, 105 accusati e 32 condannati.

Un ordigno esplosivo improvvisato (tecnicamente un Ied – improvised explosive device), dotato di timer e collocato all'interno di uno dei vagoni della metropolitana, ha provocato più panico che danni.

Pochi feriti, una ventina quelli accompagnati all'ospedale, la maggior parte con ustioni, altri a causa della concitazione seguita all'allarme amplificato dalle urla e dalla massa di passeggeri che si è accalcata sulle due uniche vie di uscita della piccola stazione.

A poche ore dall'attentato, e in assenza di dettagli che verranno resi pubblici nei prossimi giorni, cosa ci dice quanto avvenuto, ancora una volta, a Londra?

Sul piano tecnico non possiamo parlare di “grande attentato”. L'esplosivo, presumibilmente fabbricato in maniera artigianale, è deflagrato solo in parte; il resto è bruciato in una fiammata rilasciando un “forte odore di sostanza chimica”, come riportato da alcuni testimoni.

Artigiani del terrore

Il che confermerebbe l'artigianalità di un ordigno a base di perossido di acetone e la scarsa dimestichezza nella preparazione dello stesso, così come accaduto per la cellula jihadista spagnola di Barcellona ad agosto, metà della quale è rimasta uccisa nel tentativo di confezionare l'esplosivo fatto in casa, il “Tatp”, o “madre di Satana”. Un esplosivo adatto a colpire le persone, a creare panico, ma limitato nella capacità di arrecare danni significativi ad edifici o veicoli.

Un terrorismo sempre più debole

Il terrorismo ha colpito, è vero, ma è sempre più debole nelle sue manifestazioni. Da un lato il fenomeno Stato Islamico ha dimostrato una progressiva diminuzione della capacità operativa: dagli attacchi di Parigi e Bruxelles del 2015 in poi, il numero di vittime per attentato è diminuito, così come la capacità di reperire armi ed equipaggiamenti di tipo militare (fucili Kalashnikov ed esplosivi da guerra), al tempo stesso la capacità operativa ha subito un brusco stallo, passando dalle tecniche dei commando suicidi coordinati e le auto-bomba derivate dalle tecniche utilizzate in Medio Oriente e in Nord Africa, alle azioni dei singoli attaccanti, su veicoli comuni o a piedi, con armi da taglio acquistate nei supermercati.

Terrorismo di serie B

Oggi gli attaccanti, singoli soggetti o piccoli gruppi, sono disorganizzati, spesso scoordinati e con un approccio al terrorismo quasi “amatoriale”: un jihad di serie B che fallisce sul piano operativo ancora prima di colpire.

Ma, sebbene con effetto ridotto in termini di risultati, la scelta dell'ordigno esplosivo potrebbe confermare due elementi importanti: il primo è il binomio volontà-capacità di costruire ordigni esplosivi ampiamente utilizzati in teatri di guerra come Iraq, Siria e Afghanistan.

Il secondo è l'adozione di una tecnica alternativa a quella degli attacchi diretti e con armi improvvisate (auto e coltelli, come a Barcellona o Westminster) che consente di “risparmiare” sul numero di attaccanti, non più sacrificati attraverso il martirio, disponibili forse in numero sempre più limitato e a rischio di intercettazione.

Meno terroristi disposti a sacrificarsi per l'Isis?

Forse, in parte: una conferma potrebbe essere il tentativo di fuga dell'attentatore di Londra. Ma è anche la conferma che ciò sia parte di un piano di più ampio respiro e che guardi in prospettiva strategica. Ad ogni azioni eclatante capace di attirare l'attenzione mediatica seguono sempre azioni individuali, improvvisate ed emulative. E allora, l'azione della metropolitana di Londra, diverrebbe un richiamo implicito dell'Isis ai lupi solitari, le “armi di prossimità” del califfato, per colpire seguendo le indicazioni diffuse attraverso i social network ampiamente utilizzati dagli jihadisti. Dunque potremmo aspettarci tali azioni in tempi estremamente brevi.

Inoltre, il risultato ottenuto a Londra, indipendentemente dall'assenza di vittime o dalla mancata distruzione di obiettivi fisici, è quello di aver comunque parzialmente paralizzato una città, messo in allarme il sistema di sicurezza nazionale (e internazionale) e provocato ciò che il terrorismo si prefigge: paura, isteria, dispersione di energie e risorse.

Su questo c'è al momento poco da fare, se non continuare con l'azione repressiva e preventiva da parte degli organi investigativi di intelligence e di polizia. Impossibile bloccare la volontà di singoli attaccanti, più facile identificare i gruppi grazie all'intercettazione delle comunicazioni tra i componenti di cellule jihadiste, improvvisate o strutturate che siano.

Si chiude un ciclo: ma l'Isis colpirà ancora

Analizzando la situazione su un piano più generale, siamo di fronte alla conclusione del ciclo storico di successi dell'Isis, inteso come entità territoriale che, senza soluzione di continuità, prosegue la sua esistenza come minaccia terroristica senza più riferimenti geografici, lasciando così il posto a quelli ideologici di un fenomeno che è sempre più sociale, emulativo, influenzato dalla propaganda attraverso il Web e rafforzato dal rientro dei foreign fighter jihadisti in fuga dai campi di battaglia iracheno e siriano.

L'Isis di oggi risorge dalle ceneri mediorientali di Mosul e di Raqqa, quelli che furono i luoghi simbolo di un fenomeno decennale, iniziato nella metà degli anni duemila, e che oggi sta volgendo al termine ma si impone sulla quotidianità europea come fenomeno impalpabile ma concreto, e per questo più pericoloso, sebbene al momento la capacità tecnica non abbia raggiunto un livello di preoccupazione.

Vi è la volontà di colpire, questo basta ad aprire a scenari in cui il ruolo delle migliaia di veterani della guerra in Iraq e Siria avrà un peso significativo. E tra questi le tante donne straniere (531 sono quelle catturate dalle autorità irachene), ed europee, che insieme ai loro figli potrebbero rientrare nei paesi di origine, tra i quali anche l'Italia.

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Claudio Bertolotti