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Atletismo, la nuova crisi di mezza età

Ore in palestra, maratone, windsurf. I 50 enni di oggi sfidano il tempo con sforzi muscolari spesso sopra le loro possibilità

Il respiro affannoso che sfiora l’enfisema non lascia molti dubbi. Quello che, alle 7 del mattino, vi sorpassa in un lago di sudore, la testa china sul proprio ritmo travagliato, è lui: il 55enne un po’ sovrappeso che prima di abbattersi sulla scrivania dell’ufficio divora a falcate i sentieri del parco, mentre voi, che siete lì solo per amore del vostro setter, lo guardate allontanarsi chiedendovi se arriverà vivo a fine corsa.

Non solo ci riuscirà, ma il giorno dopo, e quello dopo ancora, sarà di nuovo lì, più rantolante e motivato che mai, all’inseguimento della forma fisica che finora, per palese noncuranza, gli era sfuggita. Del resto, fateci caso: jogger, runner, maratoneti, ciclisti, monopattisti, frequentatori di palestre esibiscono sempre di più teste brizzolate, polpacci un po’ artrosici, avambracci lievemente frolli. Intrappolati in diabolici attrezzi multifunzione, si cimentano in pesi al di sopra delle loro possibilità; e neppure occhieggiano la trentenne tonica che gli passa accanto, piuttosto sbirciano i muscoli del palestrato in canottiera pensando che anche loro, tra qualche mese, vedrai che roba, che tricipiti, che addominali.

Sia chiaro. Uomini e donne senza distinzione, accomunati da una fitnessmania «attempata» che li spinge ai confini del ragionevole. Che l’atletismo, si chiede il giornalista americano Paul Flannery (lui stesso accanito maratoneta), sia la nuova crisi di mezza età? Più del botulino, dell’ultimo modello di Audi, dell’amante giovane? Considerazione che nel suo piccolo ha innescato online dibattiti, riflessioni, qualche polemica piccata: non si era detto che l’esercizio fisico fa bene, che non è mai troppo tardi? Adesso invece è nevrosi da sfottere? Se non nevrosi, è però fenomeno dilagante, e i numeri lo confermano. Alle maratone mondiali, secondo la U.S. Triathlon organization, un terzo dei partecipanti ha fra i 40 e i 49 anni; a quella di Boston dello scorso aprile, per esempio, i runner over 40 erano oltre 8.200 (circa il 31 per cento del totale). In Italia non va diversamente: più di un terzo di chi pratica atletica leggera, calcetto, ciclismo è sopra i 45 anni (dati Censis); e, guarda un po’, la fascia 60-64 anni è quella dove si verifica il maggiore calo della sedentarietà: -3,9 per cento (Istituto nazionale di statistica, nell’edizione 2019 «Noi Italia»).

Baby boomers fermamente intenzionati ad allungarsi la vita e accorciarsi il girovita. Anche se l’obiettivo non è solo, come recita la scheda compilata in palestra, «tonificarsi i glutei e perdere peso», bensì cambiare le regole del gioco: realizzare un progetto, resettare una vita dove il lavoro va per sottrazione e i figli sono ormai fuori casa. Costruirsi una versione perfezionata di sé man mano che si invecchia. Anzi, il termine invecchiare è rimosso, sostituito da un più gentile «passaggio del tempo». «Le persone rispondono alle ansie dell’età spingendo in là, con sport di resistenza e fitness estrema, i limiti di ciò che riescono a fare fisicamente» riflette il già citato Flannery. «Call it midlife correction» conclude.

E che ci sarebbe di male, nella «correzione della mezza età»? Niente, non fosse per la tentazione di strafare mentre l’orologio biologico continua, sottotraccia, a segnare il ritmo. «È la sindrome di highlander, l’illusione che l’attività fisica possa rendermi immortale» spiega Pierluigi De Pascalis, professore a contratto di Didattica del fitness all’Università di Foggia (e autore del libro Vigoressia. Quando il fitness diventa ossessione). «L’organismo ha le sue tappe fisiologiche, il primo decadimento, muscolare e ormonale, avviene già dopo i 30 anni e accelera nei decenni successivi. Lo sport può rallentarlo, ma si parla di rallentare, appunto. Che è  cosa diversa dalla percezione comune di fermare o addirittura portare indietro le lancette dell’orologio».

La differenza tra l’atleta di 30 anni e quello di 50 ha una sua concreta (e mesta) realtà: ogni ventennio le prestazioni sportive calano del 20 per cento. E dando per scontati i vantaggi dell’attività fisica su pressione, colesterolo, prevenzione del diabete e di infarto, ciò che spesso non si dice è che lo sport ha, come un farmaco, anche effetti collaterali. La signora un po’ agée che, con scellerato entusiasmo, trascorre le serate sulla «pedana vibrante» (un aggeggio che promette i benefici di 4 ore di palestra in 20 minuti), così come il nostro maratoneta tardivo, ignorano che lo sport ha una sua posologia.

Che tipo di attività fisica scegliere, quanta, quali devono essere i  tempi  di recupero? Boh. Quasi nessuno se lo fa dire, quasi tutti improvvisano. Il fai-da- te sportivo in genere ha due uscite: si prosegue implacabili con la disciplina di una setta (e analoghi sensi di colpa se si salta una «messa» sportiva); oppure si adotta un ritmo un po’ a casaccio: tre settimane di tenacia, pausa prolungata per raggiunta stufaggine, ripresa per non sentirsi inadeguati, nuovo rallentamento perché tutto duole, e così via. Attività fisica sì, ma a strappi.

«Quello occasionale, sforzi eccessivi e frenate, è un ritmo terribile» avverte De Pascalis. «Ogni allenamento è uno stress per l’organismo, il corpo reagisce adattandosi e migliorando. Se rimuovo lo stimolo e poi lo riprendo, ogni volta l’organismo dovrà ricominciare da capo, sarà uno stress enorme senza i benefici».

Qualche indicazione, giusto per non fare solo teoria: inizio graduale fino a stabilizzarsi su quattro volte la settimana, un’ora al giorno, scegliendo fra corsa, bicicletta, nuoto, palestra. I pesi, evitando di frantumarsi sotto 25 chili per sconfiggere l’«effetto tendina» (il tricipite rilassato, incubo di ogni donna dopo i 40 anni), sono essenziali per conservare la massa muscolare. In palestra, il neofita di mezza età dovrebbe farsi seguire da un trainer, almeno i primi tempi. E tenere a mente un paio di regole: se, con i pesi, per esempio, fa fatica ad arrivare a 10 ripetizioni, significa che sta sbagliando e il carico è eccessivo. Seconda regola: assecondare il proprio corpo perché è lui l’allenatore migliore. Ci mettiamo a correre? In questo caso il ritmo giusto è quello che ci fa avvertire una lieve difficoltà nel parlare con l’eventuale compagno di jogging. Se discorriamo amabilmente vuol dire che stiamo andando troppo piano, se ci viene l’affanno invece dobbiamo rallentare.

Se si esagera, poco male? Molto, invece. «Gli sforzi eccessivi producono uno stato infiammatorio e uno stress ossidativo che portano all’invecchiamento cellulare» avverte De Pascalis. Altro che elisir di giovinezza. Per non parlare dei danni ad articolazioni e muscoli già usurati dalla semplice età. Ne sa qualcosa Simone Curci, fisioterapista e osteopata milanese. Sui 50 anni, sportivo da sempre, confessa di essersi fatto male a un ginocchio nei giorni scorsi surfando su un’onda del lago di Garda. «Sono il primo a fare troppo, alle volte. Detto questo, dopo i 40 anni il tessuto muscolare e articolare e le capacità neuromotorie non sono più quelle di una volta. E se rincorri prestazioni che non ti puoi più permettere, ne paghi il prezzo. Avrai meno capacità di reagire agli infortuni, e si allungheranno i tempi di recupero». Tra i pazienti che ha «tra le mani», racconta di una coppia di accaniti maratoneti sui 55 anni, costretti a stare fermi dopo l’ennesimo danno da usura: «Fanno allenamento quotidiano ad alto livello, ovviamente gli viene la tendinite. Quando li avverti che devono stare fermi per dieci giorni ti guardano con espressione affranta. A un trentenne glielo puoi dire di fermarsi, lo capisce, un 50enne va in crisi. Gli hai rotto il giocattolo, va in carenza endorfinica».

Se si fa un giro online, fra blog e forum di sportivi oltre i 40 anni, si avverte un senso di urgenza quasi mistica. «Occorre accelerare il processo delle intenzioni e trasformarlo in azioni con la forza del cuore&cervello» suggerisce Antonella. Più concreto, Andreadicorsa, 51 anni, annuncia che «l’obiettivo del nuovo anno sarebbe correre almeno un paio di maratone sotto le 2h45’!». Marco rende noto che, a 50 anni, ha deciso per il motocross: «Sono entrato in pista dopo una mezza giornata con un istruttore, che mi ha insegnato come stare in sella in piedi e da seduto, dove posizionare i piedi, come affrontare la staccata, la curva, l’accelerazione ecc. In effetti ho trovato la pista molto impegnativa...». Su Turning50, infine, qualcuno suggerisce «quattro tipologie di squat molto in voga: bulgaro, rumeno, jump, sumo».

«Ho amici che dopo ogni corsa, tutti i giorni, postano i loro tempi di percorrenza con ogni minima variazione, per esibire le prestazioni. Follie» racconta Curci. «E poi, per fortuna, ci sono anche quelli che non gliene frega niente. Quando gli dico quello che faccio io, mi rispondono: ma tu sei fuori. Ma fatti una pizza che è meglio...».  

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