Negroland di Margo Jefferson
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Negroland, il memoir di Margo Jefferson

Margo Jefferson, critica teatrale del New York Times, racconta la sua formazione identitaria di ragazza borghese di colore negli Usa degli anni Cinquanta

Margo Jefferson è nata poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale ed è cresciuta negli Stati Uniti degli anni Cinquanta e Sessanta. Il suo è un paese di abbagliante modernità, in pieno boom economico, ma con due enormi falle: è sessista, ed è profondamente e radicalmente razzista. In molti stati del sud, per fare uno tra molti esempi, i bambini afroamericani non possono ancora frequentare le scuole “per bianchi” e le aggressioni del Ku Klux Klan sono all’ordine del giorno.

Margo Jefferson ha la pelle nera, anzi, “caffè al latte”. È nata al nord, a Chicago, proviene da una famiglia benestante, e nella vita ha sempre studiato e lavorato “con i bianchi”. Eppure la sua infanzia non è immune dal razzismo, quello quotidiano degli altri americani bianchi (o meglio, che si illudono di essere tali), e quello più sottile della classe sociale di colore di cui fa parte, in cui ha imparato a muoversi e riconoscersi. È questa la realtà che Jefferson racconta nelle pagine di Negroland (66thand2nd, 2017), un testo che sarebbe riduttivo definire solamente memoir, vista la profusione di riflessioni sociologiche e di aneddoti storici che vanno oltre l’esperienza diretta di Jefferson, scritto con un’ironia feroce, dirompente e amara.

Riappropriazione e denuncia

Il primo punto fondamentale di Negroland è la scelta della sua autrice di riappropriarsi di un termine: Negro, che nel libro troviamo scritto in tutte le sue declinazioni ma sempre con la N maiuscola. Scrive Jefferson:

Trovo ancora che Negro sia una parola sbalorditiva, illustre e terrificante […] il cui significato varia in base alla collocazione e al contesto, e ai modi in cui la Storia curva, sbanda, avanza e ristagna.

Negroland, dunque, diventa uno Stato nello Stato, quello della buona aristocrazia di colore, che viene accusata di imitare l’élite bianca, che deve salvare il resto dell’America nera attraverso una condotta sì di successo ma sempre sobria e misurata.

Le regole di Negroland raccontate da Jefferson sono tante: dalle persone da frequentare, agli errori che potrebbero costare l’espulsione per un anno dalle cene di Natale, ai capelli e ai tratti fisici “accettabili” e a quelli che si deve proprio sperare di non avere. Sono regole spesso venate, oltre che di razzismo, di sessismo: le donne, come spesso accade, devono stare attente ad ancora più cose e, inutile dirlo, il colore della loro pelle più è scuro e più sarà fonte di problemi. Margo Jefferson si immerge nei ricordi e racconta questo status quo con ironia pungente, che non lascia scampo a nessuno, neppure alla sua famiglia, neppure ai suoi ricordi d’infanzia.

Costruire l’identità

A Negroland ci consideravamo la Terza Razza, sospesa tra le masse di Negri e tutte le classi di caucasici. Come il terzo occhio, la Terza Razza possedeva una saggezza, una capacità intuitiva e un sapere illuminato che mancavano alle altre due. […] I bianchi volevano essere bianchi tanto quanto noi. E anche loro ce la mettevano tutta. Fallivano come noi. Fallivano anche più di noi. Ma potevano passare per bianchi, e così non protestava nessuno.

L’altro punto fondamentale di Negroland è che si tratta prima di tutto di un testo sui processi identitari: quello della ragazzina Margo e di sua sorella Denise, (che ha un arco plantare perfetto per fare la ballerina ma sono pochi gli insegnanti che accettano ragazze di colore), quello della famiglia Jefferson, che ha servito gli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale (ma con dormitori separati), quella dell’“élite di colore” di cui i Jefferson fanno parte, e quella più in generale degli afroamericani. Un percorso in cui il particolare e l’universale sono per forza di cose legati da un rapporto a doppio senso, e in cui l’esterno, l’Altro, agisce più o meno consapevolmente, più o meno aggressivamente, sulla formazione dell’Io.

L’Io raccontato da Margot Jefferson è per molti versi estremamente specifico: è l’Io di una donna afroamericana, bambina negli anni Cinquanta e adolescente nei primi anni Sessanta, della buona borghesia. Ma è un’identità che si intreccia con la Storia, intesa come scontro tra le genti, come processi di sopraffazione, di incontri e di liberazioni.
Ed è da questa presa di consapevolezza nasce il lungo racconto di Negroland.

Margo Jefferson
Negroland
66thand2nd, 2017
256 pp, 16 euro

Per approfondire:

Citizen: quando il razzismo è quotidiano

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Matilde Quarti