Citizen: il razzismo in America
David Hammons, In the hood, 1993
Lifestyle

Citizen: quando il razzismo è quotidiano

La poetessa afroamericana Claudia Rankine mette in dialogo poesie, saggi, e immagini per riflettere sul razzismo quotidiano negli Stati Uniti di oggi

Claudia Rankine, poetessa afroamericana, esce in Italia con un’opera complessa e amara, pubblicata negli Stati Uniti nel 2014: Citizen. Una lirica americana (66thand2nd), un libro costruito attraverso il dialogo tra immagini, poesie e brevi saggi. In quest’opera sofferta, Rankine riflette sugli episodi di razzismo, a volte volontario, altre inconsapevole, a cui gli afroamericani (ma il discorso può certamente essere ampliato anche all’Europa) sono esposti quotidianamente.

Scrivo “riflette” perché quello della riflessione è il significato primo che la stessa Rankine, in dialogo con Claudia Durastanti all’ultimo Salone del Libro di Torino, ha dato alla sua opera. Nonostante tra le righe si avverta un’amarezza feroce, nonostante ogni episodio, piccolo o grande, sia la constatazione di qualcosa che non cambia.
Citizen è dunque un mosaico di situazioni che vanno a costruire un quadro più grande, anche attraverso immagini della più varia natura, dal frame video, alla foto, al quadro.

Rankine delinea situazioni di razzismo quotidiano, come venire respinti da una psichiatra con cui si era preso un appuntamento telefonico che, trovandoti davanti alla porta, risponde spaventata “non credo proprio che lei abbia un appuntamento con me”. Ma anche uno stato di invisibilità più sottile per cui, in fila alla cassa di un negozio, un cliente – bianco – passa sovrappensiero davanti a un altro cliente – nero –.

Rankine racconta ogni episodio alla seconda persona. Spiega la poetessa, sempre in dialogo con Durastanti, di aver inizialmente scelto il “tu” come un gioco letterario, per opporlo alla prima persona, che nella cultura americana è sempre la persona bianca. Rankine si è poi resa conto della mobilità di questo “tu” all’interno dei vari episodi, e di come diventasse uno spazio in cui lettore può scegliere o meno di muoversi. La seconda persona utilizzata nelle liriche e nei saggi è spiazzante, chiama il lettore direttamente in causa ed è un tu che ciascuno, leggendo, declinerà secondo la propria esperienza personale, secondo il proprio vissuto. È una seconda persona che necessariamente induce a una riflessione sulla propria identità e sulle proprie azioni.

Questi piccoli quadri lirici non sono isolati, vengono infatti messi in rapporto con un altro razzismo, che nasce dalla stessa matrice ma si sviluppa in una direzione più pericolosa, mortale. È il razzismo delle forze dell’ordine: negli ultimi anni hanno ucciso ragazzi afroamericani disarmati, giustificando le loro azioni sempre con le stesse parole: “mi era sembrato che…”, “aveva un aria sospetta...”. Rankine attribuisce questi episodi agli “occhi dei bianchi che guardano i neri” e lo sguardo, così, diventa veicolo non di realtà ma di un’immaginazione pericolosa. A questa la poetessa oppone un altro modo di guardare, una sorta di “prova video” in grado di spostare l’attenzione sul reale svolgimento dei fatti, superando così un’immaginazione artificiosa mediata e plasmata da sovrastrutture culturali.

Da questo punto di vista è particolarmente importante il saggio su Serena Williams, posto da Rankine nelle pagine iniziali del libro. Serena Williams è stata infatti oggetto, agli Open del 2012, di una squalifica sbagliata, determinata da una decisione arbitraria del giudice di gara. A partire da questa squalifica è stata introdotta anche nel tennis la prova video. Rankine inserisce l’esperienza di Serena Williams, le difficoltà che lei e sua sorella Venus hanno dovuto affrontare in quanto donne e in quanto afroamericane, dimostrando come le loro ribellioni siano sempre state veicolate come “intemperanze”, “mancanze di classe”, con la ferrea volontà di isolarle dalla catena di eventi che le ha provocate. La vicenda di Serena Williams si collega dunque direttamente agli assassini da parte della polizia, invocando – anzi, pretendendo – la necessità di uno sguardo obiettivo.

Citizen, con un meccanismo di accumulo, mostra al lettore una serie di fatti: fatti tutti uguali, con una radice comune, ma allo stesso tempo tutti diversi, perché riguardano soggetti diversi. Questa dinamica di ripetizione porta alla luce un problema definito: l’umiliazione dell’umano, la volontà – in certi casi consapevole ma spesso tragicamente incoscia – di un’élite di restare tale mediante la sopraffazione dell’ “altro” afroamericano.
Quella di Citizen non è una lettura consolatoria: chiama alla presa di posizione, a imparare a utilizzare il proprio sguardo come una “prova video”, perché la quotidianità non è – solo – un match di tennis.

Claudia Rankine
Citizen. Una lirica americana
66thand2nd, 2017
160 pp., 16 euro

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Matilde Quarti