La crisi economica causata dalla pandemia rilancia la minaccia del terrorismo nostrano, anche di matrice jihadista. Per adesso
si tratta di lettere minatorie, che tuttavia preoccupano il Viminale. Dopo gli attentati in Francia e Austria il «virus del terrore» rischia di contagiare l’intera Europa.
Una missiva a firma le Nuove Brigate rosse (…) chiede la revoca delle misure governative adottate per contrastare la pandemia minacciando la collocazione di ordigni esplosivi presso sedi giornalistiche, sedi politiche, stazioni ferroviarie, banche e uffici pubblici».
La segnalazione è stata diramata a metà settembre dal Dipartimento di pubblica sicurezza. Non si tratta dell’unico allarme che il «virus del terrore» sta riprendendo forza sfruttando il caos provocato dalla pandemia. «Nell’ultimo mese ci sono state diverse segnalazioni su possibili azioni del terrorismo nostrano anche di matrice jihadista. L’emergenza dettata dal Covid viene vista come un’opportunità per colpire dalle frange del terrore di vario colore» dice una fonte di Panorama, impegnata in prima linea per garantire la sicurezza del Paese.
E poi ci sono le tensioni con gli anarchici che il 24 novembre a Torino hanno lanciato bombe carta e uova contro le sedi dei quotidiani La Stampa e La Repubblica per protestare contro la conferma in appello delle condanne per terrorismo a 13 loro compagni. «I terroristi siete voi» sostengono gli anarchici «Voi che terrorizzate la popolazione manipolando l’informazione secondo quanto vi viene commissionato da chi comanda».
Le Nuove Brigate rosse hanno spedito e continuano a farlo – «a sedi di partito e amministratori locali di diverse città italiane» – lettere minatorie che preoccupano il Viminale. Nell’ordinanza di servizio «Terrorismo – Nuove Brigate rosse», in nostro possesso, si legge che c’era anche un ultimatum al governo se non avesse allentato le restrizioni anti-Covid. I fantomatici nipotini di Renato Curcio avevano minacciato attentati «per il 19 novembre 2020». Per fortuna nessuna bomba è scoppiata, ma il riapaprire sulla scena delle Nuove Brigate rosse ha allertato le questure con l’ordine di «rafforzare i servizi di prevenzione generale e di controllo del territorio già in atto nei confronti di obiettivi sensibili per la circostanza».
Un’altra allerta è scattata a Torino a inizio di novembre, pochi giorni dopo la barbara uccisione di tre persone a Nizza da parte di un migrante tunisino sbarcato a Lampedusa, e prima di quella di quattro innocenti a Vienna per mano di un killer della guerra santa. La Questura del capoluogo piemontese ha smentito che fossero minacce di matrice islamica derubricandola a «lettera sconclusionata», ma uno stralcio dei documenti ufficiali visionati da Panorama rivela che «è stata recapitata (…) una busta indirizzata all’arcivescovo di Torino contenente un foglio dattiloscritto riportante frasi dal tono particolarmente ingiurioso e minaccioso, sia nei confronti del Vescovo metropolitano sia verso tutti i luoghi di culto della cristianità cattolica».
Per questo è stata predisposta «la massima intensificazione dei servizi di vigilanza e prevenzione nei confronti di tutti i luoghi di culto e simbolo della cristianità nella città metropolitana di Torino, nonché di tutti gli obiettivi sensibili per la circostanza, con particolare attenzione» a otto chiese e sedi cattoliche. Il portavoce della diocesi, don Livio Demarie, conferma che la lettera anonima al vescovo Cesare Nosiglia «conteneva insinuazioni e giudizi sulla chiesa cattolica in generale e il Papa, ma non minacce jihadiste».
Torino è un’area calda, dove la Digos non sottovaluta un’altra minaccia in tempi Covid: la saldatura fra ultrà, frange anarchiche e piccole bande di giovani magrebini di seconda generazione scaturita in violente proteste contro le restrizioni per contenere il virus. Fra i fermati c’era anche Nizar Haddouni, 18 anni, che vive a Porta Palazzo e ha ammesso con la stampa locale la «gara a chi faceva più casino. Tra noi e gli altri gruppi di periferia: Vallette, Mirafiori, Barriera Milano».
Secondo Sherif El Sebaie, esperto di politiche di integrazione nel capoluogo piemontese, «alcune periferie non sono un laboratorio di integrazione, ma una bomba a orologeria pronta a esplodere. La pandemia e la relativa crisi economica colpiscono anche questi quartieri». Lo studioso non ha dubbi: «È un mix esplosivo di microcriminalità da parte di bande giovanili composte da marocchini ed egiziani di seconda generazione sfociato nei saccheggi dei negozi di lusso durante le proteste anti restrizioni per il coronavirus. Un terreno fertile per la nascita del radicalismo jihadista».
E in Piemonte sono un ulteriore campanello d’allarme per l’ordine pubblico i processi a No Tav e cellule anarchiche dell’inchiesta «Scripta manent», definite «la Champions League dell’eversione», che ha confermato in appello le condanne per terrorismo da 16 a a 20 anni. «L’allerta Nuove Br riguarda diverse questure. La crisi economica fa da calamita per frange di estrema sinistra ed estrema destra, che provano a sfruttare la situazione» conferma la nostra fonte che si occupa della sicurezza interna. Gli anarchici insurrezionalisti sono in prima linea e a Bologna è comparsa la scritta «No army» sul cartello che indica il drive-in dell’esercito per i tamponi sul virus.
A destra, Forza nuova è molto attiva, con il suo leader, Roberto Fiore, che sui social denuncia: «In #Spagna, come in #Italia, i governi della #dittaturasanitaria stanno trascinando il popolo in un abisso di fame, miseria e morte». E invita alla rivolta contro «il rinchiudere tutti anziché curarne pochi, fino all’arrivo del ricco vaccino». Sul fronte della minaccia jihadista è stato arrestato l’11 novembre a Varese, dove aveva presentato richiesta di asilo, il falsario ceceno Turko Arsimekov.
L’antiterrorismo ha scoperto pagamenti, attraverso una terza persona, collegati all’attentatore di Vienna, Kujtim Fejzulai di origini macedone e un contatto con il ceceno Abdoullah Abouyedovich Anzorov, che a Parigi ha decapitato il docente Samuel Paty. Arsimekov ammette solo il proprio ruolo di «casella postale» di un enorme giro di documenti falsi di una misteriosa organizzazione, che viene ora analizzata dagli inquirenti.
Una rete di falsari probabilmente intrecciata alla «filiera balcanica» del terrorismo in Europa, alimentata da due diaspore. La prima è quella degli ex jugoslavi – come l’attentatore di Vienna – con ramificazioni «in un’area che va dal Triveneto italiano alla Germania, passando per Austria e Svizzera» secondo Sergio Bianchi, arabista e analista della sicurezza. La seconda, quella dei 30.000 ceceni rifugiati dalle guerre russe in Caucaso dell’inizio Duemila, in gran parte in Austria. In questo humus prolifica, specie fra i giovanissimi, «un comune sentire sotto forma di una sub-cultura jihadista anti-occidentale fatta di siti, chat e comunicazione nei social media» spiega Bianchi.
Dopo gli assalti jihadisti a Parigi, Nizza e Vienna, molte prefetture hanno chiesto un aumento della vigilanza antiterrorismo, soprattutto sui luoghi di culto. L’esercito garantisce la protezione di 61 siti religiosi in 13 città, compresi centri islamici possibili obiettivi di ritorsioni, e di 150 sedi diplomatiche mobilitando 2.000 uomini. L’attentatore di Vienna voleva colpire i mercatini natalizi, ma ha deciso di agire il giorno prima della chiusura totale causa pandemia. Molto dipenderà se saranno allentati o meno gli attuali confinamenti, ma il periodo natalizio sarà da allarme rosso per il rischio terrorismo o azioni di protesta anti-Covid.
A livello globale il rapporto di un istituto specializzato dell’Onu (Unicri) apparso in novembre ha rivelato che Isis e Al Qaeda invitano i propri membri ad agire «come bombe biologiche» diffondendo il virus «fra gli infedeli». Il direttore dell’Unicri, Antonia Marie De Meo, scrive nell’introduzione dell’alert: «È allarmante che alcuni gruppi abbiano tentato di abusare dei social media per incitare potenziali terroristi a usare il Covid-19 come un’improvvisata arma biologica».
Nord-Est: allarme scontro migranti

A Trieste suona il campanello d’allarme dello scontro fra opposti estremismi sui migranti provenienti dalla rotta balcanica. Il 24 ottobre sono scoppiati tafferugli con cariche della polizia fra un gruppo di antagonisti, che si opponeva a una manifestazione autorizzata del gruppo Facebook «Son Giusto» con l’adesione di alcune frange di estrema destra.
Davanti alla stazione ferroviaria del capoluogo giuliano, dove si concentrano capannelli di migranti, i manifestanti hanno srotolato uno striscione con lo slogan: «Trieste: Lampedusa: stessi destini…. basta clandestini!». Gli antagonisti, come documentato da numerosi video, non hanno obbedito all’invito a sgomberare da parte di Polizia e Carabinieri reagendo con insulti e violenza.
Le forze dell’ordine volevano evitare lo scontro tra le due fazioni: un’ottantina di militanti contro l’immigrazione incontrollata ed i militanti di sinistra, in eguale numero, che si sono presentati all’improvviso in piazza Libertà proprio per ostacolare il sit-in di protesta bollato come «fascista». La situazione è degenerata in cariche e tafferugli, che hanno portato la procura di Trieste a indagare 60 militanti antagonisti per «inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, rissa» oltre a un paio di esponenti di destra.
Nonostante l’evidenza dei fatti tutti i consiglieri comunali del Pd hanno difeso gli aggressori criticando l’autorizzazione della Questura alla manifestazione di «Son Giusto». E lanciando il solito allarme «democratico» contro «i gruppi fascisti». Il consigliere regionale Dem, Roberto Cosolini, ex sindaco di Trieste ha scritto su Facebook: «Vedo immagini con giovani donne sanguinanti che non mi sembrano “aggressivi antagonisti”».
Il vero problema è che l’arrivo dall’inizio dell’anno di 5.000 migranti lungo la rotta balcanica, e chissà quanti non intercettati, sta esasperando gli animi. Militanti di estrema sinistra del Nord Est vengono a dare man forte a due associazioni locali Linea d’Ombra ODV e Strada Si.Cura, schierati al fianco dei migranti. Dopo gli scontri del 24 ottobre è arrivato a Trieste un manipolo di talebani dell’accoglienza provenienti da gruppi come Bozen solidale, «associazione no profit attiva in accoglienza e integrazione nella provincia di Bolzano. Antifascista, antirazzista, antisessista». Oppure del Centro sociale Rivolta di Marghera composto da estremisti di sinistra e ambientalisti violenti. Alla campagna, che ha organizzato la missione «solidale» a Trieste, aderiscono anche altri gruppi simili di Padova, Trento, Treviso, Venezia e Vicenza.
Durante i tre giorni nel capoluogo giuliano, senza alcun controllo da parte della Polizia, il manipolo della «campagna solidale per la libertà di movimento» ha lasciato acqua, scatolette e biscotti lungo i sentieri carsici dei clandestini in arrivo dalla Slovenia. Il tutto accompagnato da un foglio con le parole in inglese «Benvenuti in Italia», faccina sorridente e in rosso l’eloquente scritta «fuck police».
Le immagini della sortita sul Carso triestino sono state pubblicate sulla pagina facebook Lesvos calling. Fra le foto salta agli occhi quella che ritrae uno slogan incredibile, scritto con la vernice rossa su un rudere: «Fascisti tornate a casa (o in foiba) – rifugiati benvenuti!» rigorosamente in inglese per farlo capire ai migranti. Un oltraggio sull’altopiano carsico, dove la foiba di Basovizza, monumento nazionale è uno dei buchi neri utilizzati dai partigiani di Tito per scaraventare migliaia di italiani a guerra finita.
Le foto, dei viveri e dell’invito a infoibare, sono state postate il 31 ottobre e accompagnate da un testo che non lascia dubbi. «Questa mattina, insieme alle compagne e ai compagni di Trieste, abbiamo simbolicamente varcato il confine Italo sloveno – scrivono i talebani dell’accoglienza – chiuso da una settimana (per il virus, nda), dimostrando la porosità di muri e barriere della Fortezza Europa».
Fausto Biloslavo








