Ambizione, speranza, amore, sesso, disillusione e voglia di rivalsa: sono solo alcuni dei temi portanti di Magico (The Orchard), il nuovo, atteso album di Mondo Marcio, uno dei rapper che ha maggiormente contribuito, all’inizio degli anni Duemila, alla rinascita dell’hip hop in Italia. L’artista milanese torna sulle scene con un album potente, innovativo, incisivo e di rottura, personale e sociale, che mette in luce le nuove ingiustizie della contemporaneità. Magico, disponibile da oggi sia in formato digitale che fisico, include i featuring con Arisa, Caffellatte, Gemitaiz e Nyv e la straordinaria partecipazione di Saturnino. L’album verrà presentato dal vivo in tre concerti a Roma (1° febbraio – Largo Venue), Milano (2 febbraio – Magazzini Generali) e Torino (3 febbraio – Hiroshima Mon Amour).
Nella title track Magico si intuisce che la vera magia è la musica. Quali sortilegi e incantesimi può realizzare, al giorno d’oggi, il rap?
«L’incantesimo più importante e incredibile è quello di farti stare meglio, anzi, di farti stare bene. Poiché la ricerca della felicità è la cosa più importante e più difficile, come cantava Gazzè, “una musica può fare”: a me ha salvato la vita, sia ascoltarla che farla. Il disco parla di magia personale, di tenerti stretta la cosa che ti fa stare bene, la tua specialità e di tenere accesa la fiammella, quella che ti porta luce quando c’è meno luce del solito»
In Mezzanotte, uno dei pezzi più personali ed emozionanti dell’album, affermi che “Non ho preso il virus, ma sono pieno di tagli”. Che cosa intendi esattamente? Come hai vissuto questi due anni di pandemia?
«Sono stati due anni claustrofobici, mi sono state legate le mani, come a tutti gli artisti: non potevo lavorare, non potevo viaggiare, non potevo fare quello che mi faceva stare bene e, per questo, non stavo bene. La cosa positiva è che mi ha obbligato a guardarmi dentro: ho dovuto gestire la depressione, gli attacchi di ansia, il senso di mancanza e di incompletezza, avere a che fare per la prima volta nella mia vita con gli psicofarmaci. Sono tematiche che hanno riguardato tanti miei amici e anche persone molto più giovani di me, per me era importante parlarne, anche perchè c’è molta difficoltà nel gestire la salute mentale adesso. Sono difficoltà che per fortuna sono riuscito a superare, per questo era importante parlarne: se ce l’ho fatta io, allora puoi farcela anche tu»
In brani come Show Off e Bambola Voodoo sembrano essere fatti apposta per la dimensione live. Quando scrivi un brano già pensi alla sua rappresentazione dal vivo o questo accade in una fase successiva?
«Dipende, è difficile per me scrivere un pezzo pensando subito alla dimensione live, ma può capitare che, a metà lavoro, capisco che può funzionare e magari ci metto un ritornello. Seguo molto l’istinto, non mi è mai capitato di scrivere una canzone sapendo già prima che brano avrei scritto. Mi sono sempre fatto guidare dalla musica, e poi ci legavo le parole che mi arrivavano dall’alto»
In Marcio non farlo racconti la costante sensazione di essere sempre in guerra, non tanto con il mondo, quanto con te stesso. Adesso hai fatto pace con te stesso?
«Delle cose da risolvere ci sono sempre, noi, in quanto esseri umani, siamo sempre un po’ irrisolti, quando otteniamo qualcosa ce ne manca subito un’ altra. Nella canzone parlo degli anni più difficili, che per me sono stati quelli dell’adolescenza, caratterizzati dal compensare le mancanze con gli abusi di serate, di relazioni fine a se stessi, di droghe e di alcool. Parlo anche per i ragazzi che sono in comunità e che stanno attraversando un periodo difficile: devi in qualche modo mantenere la rotta e seguire la stella polare, tenere la fiammella accesa e fare pace con te stesso, perchè non puoi vincere una guerra contro te stesso»
Sempre più spesso gli album rap sono uno sfoggio di collaborazioni, quasi delle playlist che possono essere ascoltate in modo casuale, piuttosto che lavori con un’ispirazione unitaria. Secondo te gli album, soprattutto in ambito hip hop, sono destinati a scomparire a favore dei singoli?
«Non te lo so dire, di certo il trend non è quello di ascoltare un album per intero, ma sono le playlist, degli album a mo’ di compilation. Purtroppo il livello di attenzione è inesistente e la gente si stanca dopo 20 secondi. Mi piace andare in controtendenza, per me la musica, così come il cinema e l’arte in generale, è qualcosa che mi fa entrare in un mondo. Per entrare in un mondo ho bisogno di un disco, di un viaggio da fare, di un percorso con l’artista che mi racconta la sua storia. Per questo volevo dare un senso agli artisti che collaborano nel disco: con Gemitaiz condividiamo la stessa visione musicale, fare la nostra cosa senza cavalcare i trend. C’è una presenza massiccia di voci femminili (Arisa, Caffellatte e Nyv) per bilanciare la mia componente musicale. Il disco parla molto di Paradiso e Inferno, di Dio e di diavolo, che sono soprattutto stati mentali personali, e volevo rappresentare questa dicotomia anche dal punto di vista musicale con voci più angeliche, in contrapposizione con il mio timbro più scuro»
Tu e Fibra, nel 2006, avete rivitalizzato una scena hip hop che, dopo i trionfi degli anni Novanta, sembrava esautorata. Ti senti ancora la responsabilità di mantenere in vita il vero hip hop?
«Cerco di non avere responsabilità perché non sarei interessante come artista se mi mettessi addosso i panni del paladino o del salvatore di qualcosa. Il mio ruolo è utile se è un ruolo di rottura, quello che posso fare io è farti vedere le cose in maniera diversa, posso farti venire un’idea che non ti sarebbe venuta alternativamente o raccontarti la mia storia, in modo da farti sentire più forte e meno solo. Se devo essere un esempio, voglio essere il cattivo esempio, preferisco condividere le mie esperienze difficili piuttosto che dirti “fai così”»
Una volta Chuck D dei Public Enemy ha definito il rap “la CNN del ghetto”. Secondo te è ancora così o è una definizione ormai superata?
«Premesso che non sono cresciuto nel ghetto, per me è sempre stato così. Nella mia musica ho sempre fatto il telegiornale delle mie emozioni, delle mie paure e dei miei sogni, ed è il motivo per cui il rap oggi è così popolare. Il rap parla nella stessa lingua dei giovani e gli fornisce un mondo al quale possono relazionarsi facilmente, a differenza dei telegiornali»
Alcuni sostengono che la trap abbia i giorni contati, altri che la trap è ormai è un genere a sé stante rispetto al rap, e che, per questo, continuerà ad andare avanti. Tu che ne pensi?
«Penso che le sonorità e i generi siano abbastanza irrilevanti, certi trend arrivano e poi spariscono nel nulla. Quello che rimane è ciò che hai da dire: se quello che hai da dire ha un valore e tocca nel profondo qualcuno, allora la gente si ricorderà di te. Le mode e le sonorità sono cicliche, nulla sparisce mai definitivamente. Io faccio la musica che amo, cerco di fare il miglior album possibile e metto tutte le influenze che amo nei miei album. Magico parla proprio di non farsi influenzare dal giudizio esterno, non seguire le mode e restare fedeli a se stessi, trovando la soluzione dentro di te»
Nel 2014 hai collaborato con un’icona come Mina nell’album Nella bocca della tigre, una collaborazione che si è ripetuta anche nel 2019 in Angeli e Demoni. Che cosa hai imparato da un’artista del suo calibro?
«La lezione più grande che ho imparato da Mina è sicuramente l’umiltà, vedere come si è posta con me è stato un grande insegnamento. Mina è famosa per il suo “buona la prima”, quando va in studio la prima registrazione che fa è quella che poi finisce sul disco perchè lei prova i pezzi all’infinito prima di registrare. Mi ha insegnato che, a prescindere dal nome che hai, devi essere il più preparato nella stanza»
Alcuni artisti pop e rock hanno preso, negli ultimi due mesi, delle posizioni politiche molto nette, mentre nel rap, che pure nasce come musica di protesta, quasi nessuno si è schierato apertamente. Come te lo spieghi?
«Se ti schieri politicamente, è molto facile che il tuo messaggio venga manipolato dai media. Oggi lo status quo è incerto, c’è tanta paura e tanta incertezza, tra covid, guerra e recessione. Quello che posso fare io è giocare il mio ruolo, che è quello di entertainer e di confidente. Già tanti politici hanno usato ultimamente i testi dei rapper per manipolarli, non è per questo che io e i miei colleghi abbiamo iniziato a fare arte, che serve a rendere più sopportabile la vita. Nel momento in cui strumentalizzo l’arte, non gli rendo giustizia»
