Dalle parrucche del Re Sole ai «tagli» opere d’arte dei giorni nostri. A Parigi va in mostra l’epopea della pettinatura. Un’occasione per riflettere sul potere comunicativo delle acconciature che, come abiti, gioielli e accessori, hanno un ruolo importante nella costruzione dell’apparenza. Nella messa in scena di noi stessi.
In principio era la parrucca argentea di Andy Warhol, poi venduta all’asta e passata alla storia come un reperto della Pop Art. Oggi il nuovo trend è l’imprevedibile carosello di colori dei capelli di Theo Hernandez, il difensore del Milan, che nel giro di poche partite è passato dal biondo platino al fucsia, all’indaco. Cambiamenti prontamente registrati dai social, impazziti anche per il nuovo taglio di Annalisa, la cantante di Bellissima e Mon amour, che dopo aver spopolato con la sua chioma fluente rosso fuoco ha cambiato immagine, proponendo un caschetto nero e sexy. È una storia che si ripete ciclicamente, che ha visto tra i tanti modelli di stile Louise Brooks col suo caschetto iconico, la biondoplatinata Jean Harlow, Veronica Lake con la sua pettinatura a schiaffo, il taglio sbarazzino chic di Jean Seberg di Fino all’ultimo respiro.
I capelli sono l’oggetto del desiderio più democratico che esista. Basta un niente per reinventarsi e far parlare di sé, perché sono un efficace strumento di marketing, fin dai tempi della Bibbia, da quando Dalila recise la capigliatura di Sansone, e con quel gesto lo privò della sua forza. Potere di un paio di forbici e dell’intuito femminile. Da allora i capelli non hanno smesso di esercitare un fascino indubbio, spesso ambiguo.
Lo sa bene Denis Bruna, curatore della mostra Des cheveux et des poils, in programma fino al 17 settembre a Parigi, al MAD, Musée des Arts Décoratifs. Secondo Bruna, non c’è differenza tra una creazione di moda e un’acconciatura. «La pettinatura, al pari di un abito, ha un ruolo importante nella costruzione dell’apparenza, nella messa in scena di sé stessi. Le acconciature femminili, maschili, infantili, ma anche le barbe, i baffi e la disposizione di altri peli corporei rivelano codici sociali e culturali». È una storia complessa, venata anche di erotismo: Baudelaire celebrò in una poesia la capigliatura femminile e tanti artisti hanno raccontato i capelli come oggetto del desiderio. «È un aspetto importante» sottolinea Bruna. «Spesso quelli lunghi sono associati alla femminilità e all’erotismo. Una volta era presente anche il tema dell’odore dei capelli, che nell’Ottocento era considerato molto sensuale e poi è sparito. Nel Ventesimo secolo si mette in moto la macchina commerciale per vendere gli shampoo: i capelli delle donne, che dagli anni Venti sono più corti, vengono lavati sempre più spesso e non si parla più del loro odore».
La costruzione dell’identità attraverso le acconciature non si lega soltanto all’aspetto femminile. Anche la vanità maschile gioca un ruolo importantissimo in questa storia. «Nel ’600 e nel ’700 nell’Europa Occidentale gli uomini indossavano abiti colorati, paillettes, pizzi, e portavano elaborate parrucche perché lo esigeva la moda» nota Bruna. «Le acconciature erano un dettaglio fondamentale. Poi, nell’Ottocento gli uomini iniziarono a indossare abiti più sobri e a portare i capelli corti. Ma allo stesso tempo si diffuse una grande diversità e fantasia, con baffi dalle costruzioni elaborate e favoriti».
Una serie di cambiamenti ben documentati nella mostra parigina, dove c’è tutto, senza preclusioni di genere: i dipinti del Seicento che testimoniano mode e stravaganze di chi voleva mettersi in testa un pezzo di barocco, le acconciature stile Piccolo Lord dei ragazzini dai colletti di pizzo inamidati, i gioielli realizzati con i capelli, i medaglioni che custodivano una ciocca dei capelli dell’amata o dell’amato, i pettinini di tartaruga che fanno tanto vintage, così come le creazioni di capelli nella moda contemporanea. E naturalmente nella mostra c’è spazio anche per i «non capelli», per le teste rasate, che dopo essere state assoluto appannaggio degli uomini duri e virili (da Yul Brynner a Telly Savalas), a partire da Sinead O’Connor in poi sono state sdoganate anche dalle donne più audaci, Demi Moore/Soldato Jane in primis.
L’esposizione allestita al Musée des Arts Décoratifs copre ogni ambito di questo tema complesso e affascinante, spaziando dai curatissimi capelli della principessa Sissi alla permanente perfetta di Farrah Fawcett, dalle magnifiche stole naturali che coprivano la schiena delle donne preraffaellite alle treccine dei rapper, fino ad arrivare alle provocazioni degli stilisti che considerano i capelli le stoffe di domani. È una storia che si dipana sia attraverso le trovate della gente comune sia grazie alle invenzioni dei protagonisti. Ma quali sono i riferimenti obbligati secondo Bruna? «È difficile far riferimento a personaggi precisi, a parte icone come Louise Brooks. Citerei piuttosto una donna generica della corte di Maria Antonietta e un’altra vissuta intorno al 1795, all’epoca in cui portavano i capelli molto corti, prima della moda “alla garçonne” arrivata negli anni Venti del Novecento». Più facile parlare dei protagonisti delle tendenze, dei parrucchieri superstar. «Tra i pionieri ci sono Antoine, Guillaume, le sorelle Carita, Alexandre de Paris, Vidal Sassoon. Fanno parte della nuova generazione Marisol, Shinji Konishi, Jean-Baptiste Santens, Olivier Schawalder, Charlie Le Mindu, Sam McKnight, Nicolas Jurnjack».
In mostra c’è pure tutto l’apparato di strumenti che fanno da contorno all’arte dell’acconciatura: i classici caschi per la permanente degli anni 60, i phon, gli arricciacapelli e ogni sorta di accessorio. Dispositivi che hanno anche un valore collezionistico e, per certi aspetti, rimandano all’aspetto fetish, un versante non trascurabile in questo mondo. Una geografia ramificata, per nulla scontata, che porta su latitudini misteriose: nella mostra si prende in considerazione il mondo dei capelli, così come quello contiguo della barba – anche delle donne barbute di ieri e di oggi – e ci si spinge in altri territori, assai più delicati, ben rappresentati dall’Origine del mondo, il provocatorio dipinto di Gustave Courbet, un riassunto inarrivabile di tutto ciò che può significare un semplice ciuffo ribelle.




