Il futuro del vino toscano
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Il futuro del vino toscano

Andrea Mazzoni, insegnante e consulente enologo, affronta il tema: «Bisogna partire da formazione e ricerca»

Quale è il futuro per il vino Toscano? Ne parlo con il prof Andrea Mazzoni insegnate di generazioni di enologi, consulente enologo, appassionato della sua terra, ma soprattutto pensatore di larghe vendute.

Da cosa deriva questa ampiezza di vedute?

Non certo da un fattore genetico quanto da un fattore fortuito. Ho avuto la fortuna di avere dei familiari di larghissime vedute, da mio padre a mia zia, che mi hanno permesso di allargare gli orizzonti, fino ai miei più grandi insegnanti che ho incontrato sulla mia strada, dall’Ing Danilo Rupi di Arezzo al Prof Carlo Miconi di Conegliano Veneto, per poi confrontarmi con dei grandissimi professionisti che sono stati dei maestri come Rivella e Tachis

Quindi la formazione è importante?

La formazione è fondamentale perché permette di acquisire quegli strumenti che consentono di operare secondo una rielaborazione critica dei problemi.

La formazione serve non solo a trovare le soluzioni quando le cose vanno male ma soprattutto a consolidarle quando sembra che tutto vada bene. È vero?

Sì, abbiamo diversi casi anche in Toscana sui quali dovremmo ragionare e lavorare. Due sono i problemi fondamentali. Uno è il cambio generazionale perché ci siamo illusi di affrontarlo nelle aziende familiari. Il cambio generazionale può avvenire solamente se le nuove generazioni vanno a formarsi altrove, affrontando vantaggi e svantaggi. Vedere altre realtà aiuta a conoscere altri metodi e vedute e a mettersi in discussione.

Il secondo è la mancanza di una tecnologia; noi abbiamo ancora degli ottimi artigiani: cantinieri, calzolai, tecnici di vario tipo e ottimi accademici, ma manca il tecnologo, quello che fa da raccordo tra l’accademia e l’operativo. Il paradosso è che nel 1979, che non è la preistoria, c’erano tutte queste realtà ma mancava una scuola enologica che facesse da raccordo tra gli operatori e gli accademici e c’è stato bisogno del sottoscritto che insieme al Prof Diadori fondasse la Scuola Enologica di Siena.

In Toscana abbiamo una panoramica di produttori con connotazioni che devono essere contestualizzate e ottimizzate. Abbiamo alcuni produttori di origini aristocratiche che dovrebbero riconvertirsi in veri e propri imprenditori. La creazione di un equo reddito servirebbe anche a recuperare e mantenere doverosamente l’immenso patrimonio storico e culturale che abbiamo, come sta facendo attualmente la monarchia inglese. Fare bene impresa è utile a tutto il Paese.

Siena, che ha nella provincia grandi eccellenze conosciute nel mondo, come dovrebbe muoversi?

Dovrebbe riappropriarsi del governo del territorio. Il Sindaco di Siena dovrà diventare il regista di una economia integrata, polivalente fra l’arte e le eccellenze enogastronomiche e agrarie del territorio, come già raffigurato nell’affresco del Buongoverno di Ambrogio Lorenzetti. Nel mondo enogastronomico è fondamentale il binomio vincente fra vino e gastronomia, non si può pensare di promuovere queste due eccellenze su binari paralleli, come dimostra il lavoro vincente fatto dal Piemonte, dove il culto dell’abbinamento vino/cibo è stato il cavallo di battaglia di quel tipo di economia.

Vent'anni fa non si riusciva a vendere una bottiglia di Barolo, “neppure a regalarla”, come diceva il noto giornalista Daniel Thomases; oggi con il denaro necessario per una bottiglia di Barolo se ne comprano almeno quattro di vino toscano.

Quale è stato il metodo che ha consentito di raggiungere certi risultati?

È stato l’interazione tra formazione e produzione con una comunicazione di grande livello che supporta e valorizza certe scelte. Per esempio uno dei motivi per i quali è avvenuto questo fenomeno è stata proprio la differenziazione che ha esaltato il valore attraverso la zonazione delle grandi zone di produzione tipo Barolo e simili.

Sempre in Piemonte per esempio c’è una tradizione di aziende diretto coltivatrice che affonda le proprie radici nella lungimiranza dei vecchi quadri regnanti sabaudi i quali hanno favorito la costituzione di queste piccole realtà attraverso la riforma fondiaria.

Successivamente le ultime generazioni di coltivatori diretti piemontesi avevano acquisito un tipo di formazione andando a lavorare nell’industria e portando quindi in campagna quel tipo di impostazione. I figli di questi a loro volta si sono formati alla scuola enologica di Alba come i nomi eclatanti di Angelo Gaja, Sandrone, Gagliardo ed altri e a loro volta i loro figli stanno andando all’estero a formarsi come Fabio Alessandria, Livio Taretto ecc. solo per citarne alcuni.

I nostri piccoli coltivatori invece hanno un’ origine diversa, perché o sono di derivazione mezzadrile (e il contratto di mezzadria non ha niente a che vedere purtroppo con l’esercizio di impresa), o provengono da altri settori...chi faceva l’impiegato pubblico, chi l’artigiano e successivamente hanno investito il loro “gruzzoletto” in campagna. Anche tutti questi piccoli coltivatori devono acquisire una connotazione imprenditoriale adeguata al momento e al mercato.

Poi c’è un’altra categoria: quelli che provenendo da altri settori hanno investito in agricoltura attratti dalla rivalutazione del capitale immobiliare. Oggi è necessario che questi soggetti sia pur lungimiranti, che si sono dimostrasti dei giganti nella patrimonializzazione, si riconvertano in imprenditori e quindi creino reddito con le produzioni agricole. Un po’ della lucida razionalità di Max Weber potrebbe essere utile al raggiungimento del risultato!

I celebri vini toscani che rapporto hanno con il mondo e come potranno evolversi?

Innanzitutto utilizzando formazione e ricerca scientifica in funzione delle esigenze attuali (bio sostenibilità e cambiamenti climatici), nonché valorizzando punti di forza come biodiversità e sostenibilità; utilizzando a pieno le strutture esistenti sul territorio come istituti di ricerca tipo il Crea che abbiamo la fortuna di avere sul territorio , il Cnr delle Università di Siena Firenze e Pisa, la Scuola Enologica di Siena.

Dobbiamo riattivare poi strutture utili per questo scopo, che esistevano nel passato e che purtroppo non ci sono più attualmente, come l’Accademia della Vite e del Vino e l’Enoteca Italiana. Di pari passo una comunicazione di alto livello che supporti le aziende con storytelling appropriati. E su questo sarebbe auspicabile una formazione adeguata e specifica di queste agenzie.

Il futuro del vino profumerà di toscana o di qualche paese emergente?

Profumerà di Toscana se saremo in grado di affrontare i cambiamenti sociali e climatici altrimenti saremo destinati a soccombere e a passare a gustarci delle ottime bottiglie cinesi o cilene.

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Federico Minghi